Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16980 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 11/08/2016), n.16980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12309-2014 proposto da:

SAIMA AVANDERO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2013 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA,

depositata l’11/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

uditi per il ricorrente gli Avvocati LUCISANO e SCARPA che hanno

chiesto l’accoglimento con rinvio;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11.11.2013 la CTR Campania ha respinto l’appello proposto dalla Saima Avandero s.p.a. avverso la decisione che in primo grado aveva confermato la legittimità dell’atto di contestazione ed irrogazioni sanzioni adottato dall’Agenzia delle Dogane a seguito dell’accertata violazione delle disposizioni in materia di depositi IVA e, segnatamente, a fronte del fatto che i beni oggetto di importazione risultavano introdotti nel deposito di (OMISSIS), in gestione alla parte, solo virtualmente.

Il giudice territoriale, nel rigettare il proposto gravame, ha sconfessato la tesi dell’appellante secondo cui i beni erano stati effettivamente immessi nel deposito sul rilievo che vi era in atti “un consistente indizio del mancato passaggio”, evincibile dalle dichiarazioni del legale rappresentante della impresa incaricata del trasporto T.G. (“… alcune volte i containers transitavano/sostavano presso il deposito di (OMISSIS), mentre altre volte vengono consegnati direttamente al legittimo proprietario…”), dalle fatture che evidenziano “con colore arancio” i trasporti che sono transitati per (OMISSIS) e dal fatto che in più occasione la data di estrazione della merce dal deposito risultava “antecedente” la data di trasporto. In ragione di ciò, era dunque corretta, a giudizio del decidente, la regolazione sanzionatoria della vicenda in base alla D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 atteso che “il trattamento dell’evasione dell’IVA all’importazione è omogeneo a quello della sottrazione dei diritti doganali ed, in particolare, ai diritti di confine”.

Avverso detta sentenza ricorre ora la Saima Avandero s.p.a. sulla base di due motivi, ai quali replicano le Dogane con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnata sentenza, essendo essa stata pronunciata in violazione e degli artt. 101 e 115 c.p.c., laddove la CTR ha ascritto rilevanza decisiva alla colorazione delle fatture, quantunque l’Agenzia appellante “non avesse fatto menzionè della circostanza, in tal modo pronunciando pure “in violazione del principio del contraddittorio”; e dell’art. 112 c.p.c., avendo deciso “sulla base di documenti che non hanno costituito oggetto di dibattito ed in ordine ai quali la società non era stata posta in condizioni di controdedurre”.

2.2. Entrambe le censure sollevate con il motivo in disamina – l’una afferente ad un pretesa violazione del principio dispositivo e del principio del contraddittorio, poichè la CTR avrebbe sentenziato sulla base di documenti non ritualmente acquisiti al processo, l’altra comportante una parimenti pretesa violazione del principio della domanda, poichè la CTR avrebbe posto a fondamento della decisione assunta i detti documenti – ancorchè rappresentate distintamente, mettono tuttavia capo ad una comune doglianza ovvero al fatto che il convincimento fatto proprio dal giudice d’appello sarebbe stato alimentato nella specie dalla rilevanza probatoria ascritta ad alcune fatture, non evidenzianti con “colore arancione in cui si legge da (OMISSIS) a (OMISSIS) (come riferisce il giudicante a proposito dei transiti in direzione del deposito) i trasporti che sono avvenuti non in direzione del deposito ma con recapito diretto presso il destinatario.

2.3. L’assunto così sviluppato non ha alcuna consistenza.

2.4. Intanto è doveroso osservare alla luce del complessivo tenore del ragionamento decisionale dispiegato del giudice territoriale che il rilievo da esso accordato alle fatture “arancioni” non esaurisce la totalità delle argomentazioni suffraganti l’adottata decisione d’appello, risultando anzi, l’attenzione da esso riservata al dato formale del rinvenimento di alcune fatture contrassegnate dalla detta colorazione e contenenti l’indicazione da (OMISSIS) a (OMISSIS) rispetto ad altre fatture attestanti invece il diretto recapito delle merci importate presso il destinatario, ove essa sia debitamente correlata all’intero contesto motivazionale, funzionale al rafforzamento degli altri elementi probatori valorizzati dal decidente. E’ invero significativo, sotto questa angolazione, che il quadro messo a fuoco dal giudice a quo muova prioritariamente dalla considerazione dedicati alle dichiarazioni rese dal T. per poi passare alla disamina della documentazione raccolta e per soffermarsi, quindi, sulla circostanza che in più occasioni era emerso che la data di estrazione dal deposito era antecedente al trasporto, in tal modo intendendo dar corpo ad un tessuto argomentativo che, al di là delle singole fonti considerate, risulta assai composito e provvisto di una pluralità di riscontri, che se da un lato mette in risalto l’obiettiva articolazione impressa dal giudicante al proprio ragionamento, dall’altro aiuta a focalizzare in modo adeguato alla sua intrinseca valenza dialettica il dato rappresentato dalle fatture “arancione” e dalle altre fatture oggetto di esame.

2.5. A ciò (che ridimensiona considerevolmente la portata dell’argomento e, riflessamene, quella della relativa censura) deve far seguito anche la ò constatazione, più saldamente ancorata alla disamina di merito di essa, che – ferma in partenza l’insussistenza della denunciata violazione del principio della domanda, posto che la decisione è stata esattamente assunta nei limiti dei fatti costitutivi delineati introduttivamente dalla pretesa dell’erario (deposito virtuale di beni di importazione in sospensione di imposta), senza comportarne alcuna manomissione e senza vieppiù procedere alla sostituzione di alcuno degli elementi della causa petendi, come dedotto dalla ricorrente – quanto alle altre violazioni che la ricorrente con il motivo de quo imputa alla decisione della CTR per aver posto a fondamento della decisione, in urto al principio dispositivo e al principio del contraddittorio, documenti che non risultano allegati agli atti di causa (nella specie “fatture di colore arancione e fatture di colore diverso dal primo”) fa pregio in senso contrario – oltre all’inesattezza dell’appunto, atteso che non si tratta di fatture “di colore arando”, ma, come più specificatamene annota il giudice d’appello, di fatture in cui i transiti verso (OMISSIS) sono “evidenziati con colore arancione – una circostanza, doppiamente rilevante in fatto ed in diritto. E’ vero infatti che i detti documenti, asseritamente oggetto di autonomo esame da parte del decidente, erano tutt’altro che estranei alle carte processuali se – come trascrive la stessa deducente – l’appellante, pur senza sottolinearne la colorazione, vi aveva fatto menzione nel proprio atto d’appello parlando di “bollettini di consegna alla ditta incaricata dei trasporti” – e le fatture di colore arancione a questi effettivamente si riferivano – e se è la stessa decisione a darne conferma con le parole “dalle allegate fatture”, onde la loro produzione in giudizio costituisce un fatto processuale che smentisce la contestazione della parte. Nondimeno, se per questo la decisione adottata ha assunto a proprio presupposto un fatto negato dalla parte o altrimenti dalla stessa ritenuto come qui inesistente, la sua deducibilità come motivo di ricorso per cassazione fuoriesce dal perimetro del giudizio di legittimità descritto dagli artt. 360 c.p.c. e segg. per ricadere nell’ambito dell’errore revocatorio come questa Corte ha reiteramente affermato osservando – come qui ancora occorre riaffermare – che “costituisce errore di fatto deducibile, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, come motivo di revocazione della sentenza, quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio, ma della percezione, in contrasto con gli atti, e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa” (2668/16; 7488/11; 8251/03), di modo che altro e diverso, e non quello qui azionato avrebbe dovuto essere, se del caso, il rimedio esercitato dalla parte.

3.1. Il secondo motivo di ricorso, orchestrato su tre censure, solleva ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vizio di omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi relativi alla valenza probatoria ascritta alle dichiarazioni del T., posto che se la CTR avesse rettamente interpretato le dichiarazioni del medesimo e avesse valorizzato adeguatamente quelle degli autisti incaricati dei trasporti, “giammai avrebbe potuto logicamente concludere, come avvenuto, che l’utilizzo del deposito IVA era finalizzato al godimento dell’agevolazione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis in modo virtuale ed in difformità del dettato normativo che stabilisce l’effettiva introduzione delle merci nel deposito” (prima censura); relativi all’inapplicabilità alla specie del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 poichè se il giudice d’appello avesse dato seguito ad un corretto processo logico, muovendo dalla premessa che il trattamento sanzionatorio per l’IVA all’importazione è regolato dall’art. 70 D.P.R., non avrebbe dovuto accogliere l’appello erariale, “riconoscendo per implicito che per l’omesso pagamento dell’IVA all’importazione si applica la sopratassa di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13” (seconda censura); relativi all’insussistenza del fatto elusivo, vero che sebbene la CTP avesse ritenuto decisivo nell’accogliere il ricorso di parte l’intervenuta regolazione dell’imposta con il meccanismo dell’autofatturazione, “la CTR non avrebbe potuto sottrarsi all’obbligo di esaminare e decidere anche tale profilo della controversie, non potendo limitarsi ad accogliere l’appello erariale restando silente sulla questione (terza censura).

3.2.1. La prima censura è inammissibile, risultando la sua formulazione, in guisa di vizio alternativo di omessa o insufficiente motivazione, estraneo all’area previsionale del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla specie ratione temporis.

3.2.2. Com’è noto, riscrivendo con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. n. 134 del 2012 l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al fine tra l’altro, come emerge dai lavori parlamentari, di “evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica propria della Suprema Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris” il legislatore – ritornando quasi letteralmente al testo originario del codice di rito del 1940 (l’unica differenza testuale rispetto alla formulazione originaria è rappresentato dall’utilizzazione della proposizione “circe rispetto alla proposizione “di”) – ha ora previsto che il ricorso per cassazione ai sensi del motivo previsto dal citato n. 5 possa aver luogo non più “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, come recitava il testo sostituito, ma per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Hanno al riguardo prestamene rilevato le SS.UU. di questa Corte (8053/14) – tra l’altro esprimendo l’avviso che le disposizioni dell’art. 54 anzidetto siano pienamente applicabili al processo tributario di cassazione – che la scomparsa di ogni riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e la circostanza che nella nuova previsione sia menzionato il solo vizio di omissione – “che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore”, notano incidentalmente le SS.UU. – ma non quelli di insufficienza e di contraddittorietà portano a rideterminare l’area del sindacato di legittimità sulla motivazione nel senso che scompare “il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” – e che nelle parole delle SS.UU. comportano “una riduzione al minimo costituzionale del sindacato della motivazione in sede di giudizio di legittimità” -, mentre “il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5), concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con l’ovvio riflesso che “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.

3.2.3. Palese è dunque il difetto che affligge la lagnanza esposta dalla ricorrente con la censura in disamina, evidenziabile, giusta il decalogo interpretativo enunciato dalle SS.UU., sotto un triplice profilo ovvero in quanto il fatto costituito dall’utilizzazione solo virtuale e cartolare del deposito è stato puntualmente esaminato dal giudice d’appello che lo ha ritenuto “comprovato adeguatamente dalle dichiarazioni rese dal T.”, in quanto per effetto della citata novella processuale non è più prospettabile un vizio di omessa o insufficiente motivazione nel senso a suo tempo reso possibile dall’art. 360 c.p.c., comma 1, vecchio n. 5 ed in quanto, infine, l’omesso esame di elementi istruttori non integra il presupposto dell’omesso esame di un fatto decisivo se quel fatto sia stato come qui debitamente considerato dal giudice gravato.

33. Parimenti inammissibile si rivela la seconda censura, afferente alla immotivata o insufficiente motivazione dell’applicazione alla specie del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 ad onta della pur ritenuta soggezione di essa anche sotto il profilo sanzionatorio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70.

Ancorchè il vizio denunciato ricada nei limiti del controllo sulla motivazione come delineato dalla novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la lettura operatane dalle SS.UU. – giusta la quale “resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnate – nondimeno la sua prospettazione quale vizio di omessa o insufficiente motivazione e non già come violazione di legge ne preclude la cognizione alla Corte secondo lo schema qui azionato.

3.4.1. Fondata è per contro la terza censura afferente alla omessa motivazione in merito all’allegata – e ben rilevante come consta da C. Giust. 14.7.2014, C272/13, Equoland – circostanza dell’intervenuto assolvimento dell’imposta in sede di autofatturazione, atteso il totale silenzio osservato dal giudice d’appello sul punto in questione, onde trattandosi di fatto decisivo l’omesso esame di esso integra e soddisfa il novellato dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Cassata dunque, in accoglimento della terza censura del secondo motivo, l’impugnata sentenza, la controversia va rimessa al giudice del rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 1, che in altra composizione provvederà pura alla regolazione del carico delle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara infondato il primo motivo di ricorso ed inammissibili la prima e la seconda censura del secondo motivo di ricorso; accoglie la terza censura del secondo motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza nei limiti della censura accolta e rinvia avanti alla CTR Campania che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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