Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16980 del 09/07/2013


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Civile Ord. Sez. L Num. 16980 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 29954-2010 proposto da:
ROTONDO FRANCESCO nato a MESSINA il 25/08/1971, LA
ROSA FILIPPO nato a GIARRE il 28/05/1966, ROTONDO
ANTONIO nato a MESSINA il 02/08/1973, MANCUSO ANTONIO
nato a MESSINA il 22/12/1969, D’ORAZIO ANTONINO nato a
MESSINA il 01/02/1967, PANDOLFINO PIETRO nato a
MESSINA il 20/07/1964, PACHERA SALVATORE nato a
CATANIA il 04/10/1964, CUTRI’ GIOVANNI nato a REGGIO
2013
1157

CALABRIA il 05/04/1971, SILVESTRO MARCELLO nato a
MESSINA il 02/02/1974, POLLARA PAOLO nato a MESSINA il
13/10/1972, ORECCHIO PLACIDO nato a MESSINA il
15/06/1975, LASCARI GIOVANNI nato a MESSINA il
01/03/1964, TROVATO TINDARO nato a SPADAFORA il

Data pubblicazione: 09/07/2013

04/01/1961 (ME), ROTONDO ROBERTO nato a MESSINA il
30/01/1980, MANGRAVITI NICOLA nato a MESSINA il
14/07/1962, CUTUGNO ANGELO nato a MESSINA L’1/12/1972
CTGNGL72TO1F158K, URDI FRANCESCO nato a MESSINA il
07/09/1959, elettivamente domiciliati in ROMA, C/0

e difesi dall’ avvocato NOTARIANNI AURORA, giusta
delega in atti;
– ricorrenti contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A.,(già FERROVIE DELLO
STATO SOCIETA’ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI
22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SACCA’ ANTONINO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1064/2010 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 15/07/2010 r.g.n. 1223/09;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/04/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato NOTARIANNI AURORA;
uditi gli Avvocati ARTURO MARESCA e ANTONINO SACCA’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

STUDIO LEGALE FAZZARI VIA Q. MAIORANA 9, rappresentati

Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il

rigetto del ricorso. —

R. Gen. N. 29954/2010
Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con separati ricorsi al Tribunale, Giudice del lavoro, di Messina, Angelo Cotugno,
Francesco Urdì, Filippo La Rosa, Giovanni Cutrì, Paolo Pollara, Placido Orecchio,
Giovanni Lascari, Pietro Pandolfino, Nicola Mangraviti, Antonio Mancuso, Tindaro

Francesco Rotondo, Salvatore Pachera, marittimi iscritti nei registri della gente di mare,
premesso di aver prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze di R.F.I. Bluvia
S.p.A. presso la sede di Messina essendo arruolati con ripetuti contratti stipulati,
dall’anno 2001 in poi, per uno o più viaggi e per un massimo di 78 giorni, di volta in
volta imbarcati sulle navi traghetto delle società di armamento per la tratta
Messina/Villa San Giovanni – Messina/Reggio Calabria e quindi sbarcati con
risoluzione del rapporto e liquidazione delle relative spettanze chiedevano, nei confronti
della R.F.I. S.p.A., che venisse dichiarata la nullità dei contratti a termine per violazione
della normativa del codice della navigazione e di quella di diritto comune nonché per
abuso nella reiterazione di successivi contratti a termine con conseguente declaratoria
della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, della illegittimità dello
sbarco quale licenziamento intimato senza il rispetto della forma scritta e senza giusta
causa e con richiesta di immediata riassunzione o reintegra e di risarcimento del danno.
Nel contraddittorio con la società convenuta, il Tribunale di Messina accoglieva le
domande disponendo la reintegra dei ricorrenti nel posto di lavoro a partire dalla
scadenza dei termini apposti ai contratti secondo la tabella di decorrenza indicata in
sentenza e condannando la RFI al pagamento in loro favore del risarcimento del danno
come pure specificamente indicato. A seguito di appello da parte della società, la Corte
di appello di Messina, in riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande.
Riteneva la Corte territoriale: – che la principale fonte regolante i rapporti in questione
Caterina Maro estensore

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Trovato, Antonino D’Orazio, Marcello Silvestro, Roberto Rotondo, Antonio Rotondo,

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Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

fosse il codice della navigazione, essendo il ricorso alle norme del codice civile solo
residuale; – che la fattispecie ricadesse nell’ambito della disciplina di cui all’art. 326 del
cod. nav. prevedente una tipizzazione legale della causale giustificatrice del termine e
dall’art. 332 del cod. nav. disciplinante il contenuto del contratto; – che, a differenza di

volta in volta la specificazione della causale; – che nessuna modifica era stata apportata
ad opera del c.c.n.l. di settore ovvero del d.lgs. n. 368/2001; – che andava esclusa la
diretta applicabilità della Direttiva comunitaria 1999/70CE che faceva salve le
discipline di settore; – che nessuna regola contraria poteva ricavarsi dalla pronuncia di
questa Corte n. 12723/2006, invocata dagli appellati a sostegno della inapplicabilità
della normativa dettata dal codice della navigazione, in quanto, a differenza della
fattispecie sottoposta all’esame della S.C., nei casi in questione vi era nei contratti un
semplice richiamo alla contrattazione collettiva non implicante anche quello alla
normativa ordinaria; – che nessuna violazione della disciplina speciale era riscontrabile ú 5′
nei contratti; – che l’indicazione di un periodo di durata “massimo” poteva ritenersi
illegittima nella sola espressione “massimo” con la conseguenza che la stessa andava
considerata come non apposta ed il contratto stipulato per l’intera durata; – che
risultavano altresì rispettate le percentuali di assunzione a termine di cui al c.c.n.l..
Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori propongono ricorso affidato a tre
motivi.
Resiste con controricorso la R.F.I. S.p.A..
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Il difensore dei ricorrenti ha, altresì, segnalato la pendenza dinanzi a questa Corte di
altri ricorsi aventi ad oggetto questioni analoghe.
MOTIVI DI RICORSO
Caterina Afarotta est

re

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quanto previsto per i contratti a termine ordinari, in quello nautico non era richiesta di

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Udienza 3/4/2013
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1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa applicazione
degli artt. 325, 326, 332, 340 e 341 cod. nav., della legge n. 230/1962 e del d.lgs. n.
368/2001 con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. – Omessa,
contraddittoria, illogica ed insufficiente motivazione su un punto essenziale della

dolgono della ritenuta legittimità della clausola appositiva del termine espressa con la
formula “max 78 giorni”. Evidenziano che il codice della navigazione ha anticipato la
specifica normativa di tutela del diritto comune affermando il principio di preferenza del
contratto a tempo indeterminato prevedendo un effetto anche per il contratto privo di
durata o di indicazione del viaggio e che la formula indicata nei contratti per cui è causa
adempie in modo solo apparente all’onere di enunciazione di cui all’art. 332, comma 1
n. 4, cod. nav. potendosi equiparare questa ipotesi a quella dell’omessa enunciazione.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa applicazione
degli artt. 325, 374 e 332 cod. nav., dell’art. 19 c.c.n.l. attività ferroviarie, degli artt. 1,
2, e 11 d.lgs. n. 368/2001, dell’art. 39 della legge n. 247/2007, della clausola 3 della
Direttiva 1999/70/CE in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – Omessa,
contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto essenziale della controversia:
sulla causa del contratto, sull’applicabilità del c.c.n.l. e sui limiti”. Censurano la
decisione della Corte messinese nella parte in cui ha ritenuto che gli artt. 325 e 332 cod.
nav., contenendo una tipizzazione della causale giustificatrice dell’apposizione del
termine al contratto di arruolamento, non rendessero necessaria la specificazione volta
per volta di tale causale al pari di quanto richiesto per la stipula dei contratti a termine
ordinari. Contestano l’esistenza di tale tipizzazione legale ed in ogni caso evidenziano
che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, sulla disciplina del lavoro
nautico avrebbe inciso sia la regolamentazione di settore di cui al c.c.n.l. (che ha
Caterina Marotta e

sore

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controversia: sulla validità del termine con indicazione della durata massima”. Si

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riconosciuto che la forma comune dei rapporti di lavoro nautico è quella del contratto a
tempo indeterminato e richiamato l’accordo europeo UNICE-CCEP-CES del 18/3/1999
e quindi la Direttiva 1999/70/CE) sia il d.lgs. n. 368/2001, attuativo della Direttiva
1999/70, che ha previsto l’indicazione delle ragioni che giustificano l’apposizione del

rispettata la condizione di validità prevista dall’art. 19 del c.c.n.l. con riguardo ai limiti
quantitativi di utilizzo dei contratti a termine evidenziando l’erroneità del confronto tra
il numero dei marittimi in continuità di rapporto di lavoro e quello dei marittimi
stagionali provenienti dal Turno generale.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa applicazione della
Direttiva 1999/70/CE, clausole 2, 3, 5, della Direttiva 2009/13/CE, degli artt. 20, 21, 47
Carta di Nizza della Convenzione CEDU. Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione”. Censurano la sentenza della Corte di appello di Messina nella parte in cui
ha ritenuto non applicabile al caso in questione la normativa comunitaria (e, di
conseguenza, il d.lgs. n. 368/2001 attuativo di quest’ultima) in quanto non dettata per
settori speciali quale il lavoro marittimo, nella parte in cui ha ritenuto che la Direttiva
1999/70/CE non è self executing nonché nella parte in cui ha ritenuto, in ogni caso, non
contrastante con tale Direttiva la disciplina del codice della navigazione. Evidenziano
che la Direttiva 1999/70/CE, come si evince dal contenuto di cui alla clausola 2, è
applicabile a tutti i lavoratori a tempo determinato, compresi, quindi i lavoratori
marittimi ed è precettiva nelle disposizioni sui principi di uguaglianza e non
discriminazione. Rilevano che la successiva Direttiva 2009/13 in materia di lavoro
marittimo non ha sostituito il quadro generale contenuto nella Direttiva 1999/70.
Pongono, infine, la questione di pregiudizialità comunitaria con riferimento
all’applicabilità o meno al lavoro marittimo della Direttiva 1999/70.
Caterina Marotta este

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termine. Rilevano, inoltre, l’errore in cui è incorsa la Corte di merito nel ritenere

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IL CONTESTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE NAZIONALE
4.

L’illegittimità dei termini (ipoteticamente) apposti ai vari contratti a tempo

determinato è dagli odierni ricorrenti ricollegata, in via principale, alla mancata
specifica indicazione, in tali contratti, dei termini di durata e delle ragioni giustificatrici

determinata dalla reiterazione di contratti a termine in un contesto (arruolamento su navi
in esercizio nello Stretto di Messina per 24 ore al giorno e con una frequenza di corse
stimate, per i vari collegamenti tra il continente e la Sicilia, in 150 al giorno) che, lungi
giustificare le assunzioni a termine in considerazione della specialità del lavoro nautico
ovvero della sussistenza di ragioni oggettive, è servito a sopperire alle carenze
strutturali di organico.
Al riguardo, il ricorso prospetta la questione di interpretazione di una norma
comunitaria – la Direttiva 1999/70 – che, ad avviso di questa Corte, è rilevante ai fini del
decidere ed in relazione alla quale non si ritiene di essere in presenza di un “acte clair”
in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte di Giustizia ovvero
dell’evidenza dell’interpretazione tale da rendere inutile e non obbligato il richiesto
rinvio pregiudiziale.
5. Va innanzitutto esaminato il contesto normativo e giurisprudenziale nazionale.
In termini generali va detto che il rapporto di lavoro marittimo si basa, come tutti
gli altri rapporti di lavoro, sul normale scambio tra prestazione e retribuzione, ma si
contraddistingue dagli altri settori lavorativi a causa di un elemento aggiuntivo relativo
alla sicurezza della nave e della navigazione. Tale elemento aggiuntivo ha costituito la
ragione della differenziazione del lavoro nautico rispetto alla generale nozione di cui
all’art. 2094 cod. civ. in termini di specialità della fattispecie ed ha giustificato la
previsione di un corpus normativo autonomo.
Caterina Marotta es ore

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degli stessi. La stessa, inoltre, è prospettata sotto il profilo della situazione di abuso

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Il contratto di lavoro dei naviganti è così regolato dalle norme del codice della
navigazione (approvato con R.D. 30 marzo 1942, n. 327) che, ai sensi dell’art. 1, si
applica prioritariamente, potendosi ricorrere al diritto civile solo in presenza di vuoti
normativi, e che prevale su quelle che, in generale, si applicano al contratto di lavoro

La disciplina del rapporto di lavoro tra l’armatore – colui che assume l’esercizio
della nave – ed il prestatore di lavoro subordinato, nell’ambito della quale i
diritti dei lavoratori devono contemperarsi sia con le esigenze di sicurezza, di efficienza
e, in generale, di felice compimento della spedizione marittima o aerea, alle quali non
sono estranei interessi di ordine generale, sia con le peculiari circostanze in cui si
eseguono le prestazioni lavorative, è configurata in una serie di norme e regole che, più
che essere legate al fatto oggettivo della navigazione, viceversa si fondano sulla
esaltazione degli interessi pubblici e sulla delicata e difficile relazione tra aspetti di
diritto pubblico e di diritto privato del rapporto di lavoro rispondenti all’unitarietà del
sistema. La ratio della normativa è ricercata costantemente nella necessità di garantire
la coesistenza fra disciplina privatistica e pubblicistica indipendentemente dal suo
grado di effettività e concreta incidenza sui principi di eguaglianza e di parità di
trattamento; si sostiene la specialità del contratto individuandone di volta in volta gli
elementi nella sicurezza della nave e della navigazione, nel controllo di tipo
pubblicistico sulle competenze dei lavoratori mediante l’iscrizione agli Albi, Registri,
etc., nel forte regime disciplinare, nell’accentuato grado di subordinazione, nel rapporto
fiduciario intercorrente con l’armatore, nel potere gerarchico e disciplinare di carattere
pubblico, nelle condizioni di vita e di lavoro a bordo.
Tale caratteristica di specificità del contratto di lavoro nautico rispetto agli altri
contratti di lavoro è stata confermata dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei
Caterina Alarotta

nsore

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terrestre.

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lavoratori) che all’art. 35 che ha rimesso alla contrattazione collettiva di provvedere ad
applicare al personale navigante delle imprese di navigazione i principi della stessa
legge. Tale ultima disposizione, peraltro, con sentenza della Corte costituzionale 3
aprile 1987, n. 96, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non

(ciò sul presupposto che, quanto alla tutela del posto di lavoro, sussiste una sostanziale
omogeneità delle situazioni afferenti ai lavoratori comuni ed a quelli nautici la quale
impone l’uniformità delle discipline). In sede di tale decisione, il giudice delle leggi non
ha mancato di sottolineare che le stesse esigenze di sicurezza poste a base della
disciplina speciale non sono più pregnanti di quelle esistenti in settori di lavoro terrestre
a più elevato rischio, come nei settori dell’energia, nelle centrali nucleari, negli altiforni
siderurgici e negli impianti chimici ad alta tossicità, evidenziando che in questi casi la
tutela della sicurezza si collega a un fattore statico – impianto produttore -, laddove nella
navigazione essa é correlata a un fenomeno dinamico. Ad una specialità “attenuata”
sempre la Corte costituzionale è tornata a fare riferimento in successive decisioni: n.
41/1991 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, terzo comma, dello
Statuto dei lavoratori, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al predetto
personale anche dell’art. 18 della stessa legge, come modificato dall’art. 1 della legge
11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali); n. 364 del 1991 – che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, terzo comma, della legge 20
maggio 1970, n. 300 nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale
navigante delle “imprese di navigazione” dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 7 della medesima
legge; n. 80 del 1994; n. 72 del 1996 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 369, primo comma, del codice della navigazione e, in applicazione dell’art. 27

Caterina Marotta e

ore

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prevede la diretta applicabilità al predetto personale anche dell’alt 18 della stessa legge

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della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 930, primo
comma, dello stesso codice; n. 45 del 2003.
In particolare la Corte – pur dando atto che la ratio legis della disposizione di cui al
sopra citato art. 35 dello Statuto dei lavoratori è nel senso di ravvisare nel contratto

nautici una serie di fondamentali principi dello Statuto dei lavoratori – ha riconosciuto
che tale strumento non avesse adeguatamente protetto alcuni diritti fondamentali
previsti dalle leggi vigenti in favore dei lavoratori degli altri settori.
Anche questa Corte di legittimità è intervenuta in materia così, ad esempio, sin da

collettivo lo strumento più idoneo per rendere effettivi anche nei confronti dei lavoratori

subito ritenendo necessaria la forma scritta secondo quanto disposto dall’art. 2 della L r Ne
legge n. 604/66 ed a prescindere da quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, infatti, anche in
materia di lavoro nautico “la dichiarazione della volontà del datore di lavoro di recedere
dal rapporto, ai sensi della 1. n. 604 del 1966, art. 2, riveste la forma scritta e deve
risultare chiara ed univoca, in modo da rendere conoscibile al destinatario dell’atto
unilaterale l’intenzione del dichiarante” – così Cass. 9 giugno 1990 n. 5596 -.
Sempre questa Corte ha ritenuto applicabili al lavoro nautico “le norme limitative
dei licenziamenti di cui alla 1. alla 1. 15 luglio 1966 n. 604 e la tutela reale di cui all’art.
18 1. 20 maggio 1970 n. 300 globalmente considerate”

così Cass. 13 gennaio 2005 n.

492 -.
Ed ancora, con decisione del 23 marzo 2009 n. 6979, ha ritenuto che l’art. 343 cod.
nav. contempli (in genere nell’interesse del datore di lavoro) cause di risoluzione del
rapporto di lavoro incompatibili con i regimi di stabilità e di controllo giudiziale della
adeguatezza delle causali di risoluzione, introdotti dalle leggi 15 luglio 1966, n. 604 e
20 maggio 1970, n. 300; così ha ritenuto l’abrogazione tacita della norma in questione,
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potendosi considerare escluse da tale incidenza abrogativa solo quelle causali per le
quali l’automaticità della risoluzione non sia in contrasto con le esigenze, anche di tutela
formale, poste dalle leggi suddette; egualmente ha ritenuto tacitamente abrogata
l’ipotesi di cui al n. 5 dell’art. 343 cit., relativa all’arruolato che, per malattia o per

della nave da un porto di approdo, posto che tale previsione attribuisce efficacia
risolutiva automatica ad un’ipotesi di impossibilità, in genere temporanea, della
prestazione, in contrasto con i principi della legge n. 604 del 1966, nonché con quelli di
cui all’art. 2110 cod. civ..

lesioni, debba essere sbarcato o non possa riassumere il suo posto a bordo alla partenza

61019h.
Dunque, l’elaborazione compiuta dalla giurisprudenza, con il fondamentale ruolo
assunto nel corso degli anni dalla Corte costituzionale (si ricorda anche la più datata
sentenza n. 29 del 1976 con la quale si è sancita l’estensione anche ai rapporti
disciplinati dal codice della navigazione della disciplina processuale di cui alla legge n.
533/1973 sulla base della non applicazione del principio secondo cui “lex posterior
generalis non derogat legi priori speciali”), che è intervenuta diverse volte richiedendo
per il riconoscimento della legittimità della normativa speciale in materia di lavoro
nautico l’esistenza di effettive e concrete esigenze oggettive, ha circoscritto il carattere
autonomo del lavoro marittimo aprendo ampi spazi alla disciplina comune del diritto del
lavoro.
Ed infine lo stesso legislatore che, se pure non è ancora pervenuto ad una riforma
globale del codice della navigazione in grado di porre rimedio alle diverse
problematiche riscontrate finora, ha recentemente avuto modo di ridurre le distanze tra
la disciplina relativa al rapporto di lavoro nautico e quella applicabile a tutti gli altri
rapporti di lavoro subordinato.

Caterina Marotta es

re

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‘x,

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Ciò ha fatto, in primo luogo, attraverso l’importante funzione normativa attribuita
alla contrattazione collettiva che è stata demandata ad intervenire per disciplinare aspetti
della materia ancora non codificati. La fonte di tale intervento è da ritrovarsi nell’art. 35
co. 3 dello Statuto dei lavoratori sopra citato.

a recepire disposizioni di rango internazionale. Si pensi alle leggi che hanno ratificato
una serie di convenzioni della Organizzazione Internazionale del Lavoro che
estendevano al lavoro marittimo una serie di garanzie già divenute patrimonio del
lavoro comune (così la convenzione sull’età minima – lavoro marittimo – n. 7/1920,
ratificata con il R.D.L. 20/03/1924, n. 591; quella sul lavoro marittimo n. 58/1936,
ratificata con la legge 02/08/1952, n. 1305; quella sull’età minima n. 138/1973 sostitutiva delle due precedenti – ratificata con legge 10/04/1981, n. 157; quella sulla
prevenzione degli infortuni sul lavoro dei marittimi n. 134/1970, ratificata con legge
10/04/1981, n. 157; quella sulla continuità dell’impiego della gente di mare n.
145/1976, ratificata con legge 10/04/1981, n. 159).
Si pensi anche (considerato che il codice della navigazione si applica in materia di
navigazione, marittima, interna ed aerea) alla legge n. 213/83 che ha stabilito le
modalità per il recepimento nell’ordinamento giuridico nazionale dei princìpi generali
contenuti la Convenzione relativa all’aviazione civile internazionale, stipulata a Chicago
il 7 dicembre 1944 nonché al d.lgs n. 96/2005 di recepimento degli annessi alla
Convenzione suddetta; si pensi ancora al d.lgs. n. 108/2005 di attuazione della Direttiva
1999/63/CE relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di
mare, concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla
Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) nonché al d.lgs. n.

Caterina Marotta est

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In secondo luogo, l’indicato avvicinamento è stato attuato attraverso interventi volti

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185/2005 di attuazione della Direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo
sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile.
Altro esempio evidente di avvicinamento della disciplina ordinaria a quella del
codice della navigazione è stato certamente rappresentato dalla riforma del

provveduto ad aggiornare il collocamento marittimo rendendolo più coerente con i
principi cui è da tempo ispirato quello ordinario. In base a tale nuova disciplina è
mutato il sistema di reclutamento nel senso che mentre prima i marittimi venivano
imbarcati secondo l’ordine numerico di iscrizione al Turno Generale esistente presso
ogni Ufficio di collocamento delle varie Capitanerie di Porto, ora il loro collocamento
è esercitato dagli uffici di collocamento della gente di mare, già istituiti ai sensi
dell’art. 2 R.D.L. 24 maggio 1925, n. 1031, che dalla data di entrata in vigore del
regolamento sono posti alle dipendenze funzionali del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali ed hanno funzioni simili a quelle conferite, con il d.lgs. n. 496/1997, ai
Centri per l’impiego per la generalità dei lavoratori, anche se diversamente da questi
ultimi non sono gestiti dalle Regioni, ma direttamente dallo Stato.
Dunque, in termini generali, pur senza che il legislatore nazionale pervenisse ad una
riforma del codice della navigazione, si è registrata con il tempo una riduzione delle
distanze tra la disciplina relativa al lavoro nautico e quella applicabile a tutti i rapporti
di lavoro i tipo subordinato ispirata senz’altro dal principio secondo il quale le esigenze
(specifiche) del lavoro marittimo vanno valutate con ragionevolezza ed i principi di
eguaglianza e parità di trattamento vanno sempre perseguiti assicurando il più alto
livello di protezione. Ciò è di indubbia evidenza ove il raffronto tra fattispecie di diritto
speciale e disposizioni della Costituzione operi in via diretta (essendosi in tal caso al di
fuori dell’ambito di priorità del diritto speciale ed imponendosi, come evidenziato in
Caterina Marott e ensore

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collocamento della gente di mare di cui al d.P.R. 18 aprile 2006 n. 231 che ha

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dottrina, una “despecializzazione” della materia nella misura in cui vi incide la capacità
espansiva dei valori fondamentali dell’ordinamento). Per il resto occorre, di volta in
volta, verificare se ed in quale misura le indubbie peculiarità del lavoro marittimo
giustifichino o meno la diversità delle discipline e se si possa individuare un nesso di

Ed è in questo secondo ambito che si innestano le problematiche che la fattispecie
sottoposta all’esame di questa Corte pone.
6. Nell’ambito della disciplina del codice della navigazione, l’art. 325 prevede
innanzitutto vari tipi di contratto di arruolamento, precisando che lo stesso può essere
stipulato : a) per un dato viaggio o per più viaggi; b) a tempo determinato; c) a tempo
indeterminato. La norma precisa, inoltre, che per “viaggio” si intende il complesso delle
traversate fra porto di caricazione e porto di ultima destinazione, oltre all’eventuale
traversata in zavorra per raggiungere il porto di caricazione.
Le ipotesi sottoposte all’esame di questa Corte sono state dal giudice di appello
ricondotte tutte nell’ambito della previsione di cui alla lett. b) dell’art. 326 cod. nav. cit.
posto che nei contratti stipulati tra le parti, con la dizione “max 78 giorni”, “è indicato
comunque un termine di durata”.
L’art. 326 del codice della navigazione prevede poi: «1. Il contratto a tempo
determinato e quello per più viaggi non possono essere stipulati per una durata
superiore ad un anno; se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a
tempo indeterminato. 2. Se, in forza di più contratti a viaggio, o di più contratti a
tempo determinato, ovvero di più contratti dell’uno e dell’altro tipo, l’arruolato presta
ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo
superiore ad un anno il rapporto di arruolamento è regolato dalle norme concernenti il
contratto a tempo indeterminato. 3. Agli effetti del comma precedente, la prestazione del
Caterina Marotta ete4sore

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causalità diretto tra la differenza delle situazioni e la diversità delle discipline.

R. Gen. N. 29954/2010
Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

servizio è considerata ininterrotta quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione
del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni ».
L’art. 332 cod. nav. sancisce, quindi, che il contratto di arruolamento deve enunciare
«… 4) il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui l’arruolato deve assumere

l’arruolamento è a tempo determinato…» e che «se dal contratto ovvero
dall’annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza l’arruolamento non risulta
stipulato a viaggio o a tempo determinato esso è regolato dalle norme concernenti il
contratto a tempo indeterminato».
La disciplina è completata dall’art. 373 in materia di prescrizione, secondo il quale:
«1. I diritti derivanti dal contratto di arruolamento si prescrivono col decorso di due
anni dal giorno dello sbarco nel porto di arruolamento successivamente alla cessazione
o alla risoluzione del contratto. In caso di più contratti a tempo determinato o a viaggio,
che a sensi dell’articolo 326 siano regolati dalle norme sul contratto a tempo
indeterminato, il termine decorre dal giorno dello sbarco nel porto di arruolamento
successivamente alla cessazione o alla risoluzione dell’ultimo contratto. 2. La
prescrizione dei diritti spettanti agli eredi dell’arruolato ed agli altri aventi diritto in caso
di perdita della nave decorre dalla data di cancellazione di questa dal registro
d’iscrizione>> e dall’art. 374 cod. nav., in virtù del quale: «Le disposizioni degli artt.
326 (…..), possono essere derogate dalle norme corporative; non possono essere
derogate dal contratto individuale se non a favore dell’arruolato. Tuttavia, neppure con
le norme corporative si può aumentare il termine previsto dal primo e dal secondo
comma dell’art. 326, né si può diminuire il termine previsto dal terzo comma dello
stesso articolo».

Caterina Marotta este

e

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servizio, se l’arruolamento è a viaggio; la decorrenza e la durata del contratto, se

R. Gen. N. 29954/2010
Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

Come si rileva dalla normativa citata, lungi dall’essere espressamente previsto un
rapporto di normalità/eccezionalità tra contratto a tempo indeterminato e, per quanto di
interesse nel presente giudizio, contratto a termine, le due figure risultano affiancate
nell’ambito della generale categoria del contratto di arruolamento.

questione se, anche in tema di lavoro marittimo, valesse il principio secondo cui il
rapporto di lavoro subordinato è di regola a tempo indeterminato, costituendo, pur
sempre, l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria rispetto al suddetto principio.
Così, negli anni passati, sul presupposto della ricorrenza di elementi di discontinuità
tali da rendere l’assunzione a tempo indeterminato non solo non normale ma addirittura
incompatibile con l’organizzazione dell’attività imprenditoriale, si è pervenuti alla
conclusione che la normativa, dettata dal combinato disposto di cui agli artt. 326 durata del contratto a tempo determinato e di quello per più viaggi – 374 e 373 citati,
costituisse disciplina speciale regolante compiutamente la materia de qua, tale da
risultare indifferente rispetto ad altre norme di legge, che la riguardavano in generale,
e che nemmeno poteva operare l’analogia –

ex comma secondo dell’art. 12

Disposizioni sulla legge in generale in tema d’interpretazione – stante la rilevata
completa precisione delle disposizioni all’uopo contemplate dal codice della
navigazione. Si è così ritenuto che il rapporto di lavoro del personale navigante
esulasse dall’ambito di applicazione della legge n. 230/1962 e successive
modificazioni (con cui il legislatore aveva affermato il principio in base al quale il
rapporto di lavoro a termine era vietato, tranne nei casi tassativi indicati dalla legge e
dai contratti collettivi). Tale esclusione è stata riconosciuta, in virtù dell’autonomia del
diritto marittimo, per la quale (art. 1 cod. nav.) il ricorso alla legislazione di diritto
comune può aver luogo solo in via sussidiaria, ove manchino disposizioni del diritto
Caterina Marotta es

16

La giurisprudenza di questa Corte si è, invero, a lungo interrogata in ordine alla

R. Gen. N. 29954/2010
Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 cl R.F.L S.p.A.

della navigazione “e non ve ne siano di applicabili per analogia”, già con sentenza n.
5740 e n. 574 del 1983 delle Sezioni Unite di questa Corte (così Cass. 18 febbraio
1995, n. 1741 e nello stesso senso Cass. 21 dicembre 1990, n. 12118).
La questione è se una tale impostazione possa essere mantenuta considerando, da

interventi giurisprudenziali evidenzianti, come detto, una attenuazione della specialità
e, dall’altro, le sopravvenute determinazioni del legislatore comunitario ed i
conseguenti adeguamenti a queste da parte di quello nazionale.
Invero questa Corte nella decisione del 29 maggio 200g, n. 12723 ha attribuito
rilevanza alla scelta delle parti contraenti, esplicitata in sede di stipula del contratto di
arruolamento, di assoggettare quest’ultimo al contratto collettivo dei ferrovieri ed alla
disciplina di diritto comune dei contratti a termine come se tale opzione, più favorevole
al lavoratore, integrasse una sorta di autolimitazione datoriale rispetto al sistema del
codice della navigazione (ciò ha fatto considerando che il riferimento su base volontaria
ad una diversa disciplina è consentita dall’art. 374 cod. nav., secondo cui l’art. 326 cod.
nav., contenente la disciplina del contratto a tempo determinato e di quello per più
viaggi, può essere derogato “dalle norme corporative”, e anche dai contratti individuali
a favore dell’arruolato).
Se, però, una scelta pattizia manchi ovvero non sia chiaramente evincibile dal
contenuto del contratto (che ad esempio faccia riferimento alla contrattazione collettiva
solo ai fini della regolamentazione degli aspetti privatistici – inquadramento, trattamento
economico – e richiami, per il resto, la disciplina del codice della navigazione), vi è da
chiedersi se la suddetta impostazione tradizionale risulti ancora giustificata.
Come è noto, infatti, è intervenuta la Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 che
ha dato attuazione all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul contratto di lavoro a
Caterina Marotta estq4re

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un lato, l’evoluzione delle caratteristiche del lavoro marittimo sopra illustrate e gli

R. Gen. N. 29954/2010
Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

tempo determinato con il quale le parti firmatarie hanno innanzitutto riconosciuto che
i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei
rapporti di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori, riconoscendo che in alcune
circostanze i contratti a tempo determinato rispondono sia alle esigenze dei primi sia

In sede di tale accordo, recepito dalla Direttiva, è previsto:
Obiettivo (clausola 1)
«L’obiettivo del presente accordo quadro: a) migliorare la qualità del lavoro a
tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare
un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
Campo di applicazione (clausola 2)
«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto
di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o
dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro. 2. Gli Stati membri, previa
consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il
presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di
apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma
specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che
usufruisca di contributi pubblici».
Definizioni (clausola 3)
«1. Ai fini del presente accordo, il termine «lavoratore a tempo determinato» indica
una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di
lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il
raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il
Caterina Marotta est ore

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dei secondi.

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

verificarsi di un evento specifico. 2. Ai fini del presente accordo, il termine «lavoratore
a tempo indeterminato comparabile» indica un lavoratore con un contratto o un rapporto
di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a
lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In

raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di
quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».
Principio di non discriminazione (clausola 4)
«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato
non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo
indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a
tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. 2. Se del caso, si
applicherà il principio del pro rata temporis. 3. Le disposizioni per l’applicazione di
questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti
sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti
collettivi e la prassi nazionali. 4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a
particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo
determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in
materia di periodo di anzianità>3.5.0.,u) 3ìvstrf’..cai;

()’t

Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5)
«L Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle
parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le
parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la
prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o
Caterina Marotta este

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assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo + 16 c/ R.F.I. S.p.A.

categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la
giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale
dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei
rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2. Gli Stati membri, previa consultazione delle

i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati
«successivi»; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
Per quanto di interesse nel presente giudizio va ricordato che, secondo
l’interpretazione comunitaria, la clausola 5 è priva di efficacia diretta, e quindi in caso
di contrasto con una norma interna incompatibile in linea di principio non ne è
consentita mai la disapplicazione, in quanto non è incondizionata, non detta regole
sufficientemente precise per il ricorso ai contratti a tempo determinato, non vincola gli
Stati membri ad adottare una specifica tra le diverse misure preventive che vi sono
previste (vedi in sentenze Corte di Giustizia 4 luglio 2006, C-212/04 Adeneler e a.; 7
settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Impact; 10 marzo 2011, C- 109/09,
Deutsche Lufthansa ).
Dunque, la clausola 5 dell’accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli
Stati membri di prevedere la trasformazione in un contratto a tempo indeterminato dei
contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le
condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi, lasciando agli Stati membri
un certo margine di discrezionalità in materia.
Ne consegue che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che
uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano
stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di
Caterina Marotta es ore

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parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni

gitd eg’

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.L S.p.A.

lavoro del settore pubblico; è sufficiente invece che l’ordinamento giuridico interno
dello Stato membro interessato preveda in tale settore, un’altra misura effettiva per
evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato
stipulati in successione. La clausola 5, punto 1, impone solo agli Stati membri,

disposizione, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti; è
sufficiente la previsione di anche una sola di queste misure, ma è necessario che la
stessa rivesta un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente
effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione
dell’accordo quadro; esse non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano
situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento
giuridico comunitario (principio di effettività).
E’, quindi, stato emanato il d.lgs. n. 368/2001, attuativo di tale Direttiva
comunitaria, con il quale il legislatore nazionale ha riformato interamente la disciplina
dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, abrogando la precedente normativa
in materia (e così non solo la legge 18 aprile 1962, n. 230, ma anche l’art. 8-bis del D.L.
29 gennaio 1983, n. 17, l’art. 23 della L. n. 56 del 28 febbraio 1987), nonché tutte le
disposizioni di legge comunque incompatibili e non espressamente richiamate nel
decreto legislativo. Se da un lato la nuova legge (a sua volta, poi, modificata dalla legge
n. 247/2007, di approvazione del Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007, nonché
dalla successiva legge n. 92 del 28 giugno 2012 – c.d. Riforma del mercato del lavoro,
in vigore dal 18 luglio 2012 -, a differenza del criterio scelto dal legislatore del 1962, si
limita a consentire ai datori di lavoro di concludere contratti a termine a fronte di
ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo, lasciando così alla autonoma
Caterina Maroaa 4iensore

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l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

determinazione del datore di lavoro la individuazione delle singole ipotesi in cui è
ritenuto opportuno stipulare contratti di lavoro a termine, dall’altro lato, però, proprio
per consentire al lavoratore di verificare la legittimità della clausola di apposizione del
(ad

termine, la nuova disciplina impone non solo la stipulazione per iscritto

stato, in tal modo, liberalizzato nel senso che non costituisce più un fatto eccezionale
rispetto all’ordinaria assunzione con contratto a tempo indeterminato essendo tuttavia
richiesta sempre la sussistenza e la specificazione delle ragioni giustificative e
risultando demandata ai contratti collettivi la previsione di limiti quantitativi.
Il d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha, in conformità con la Direttiva 1999/70/CE,
senz’altro confermato (per come già affermato da questa Suprema Corte con le sentenze
del 21/05/2008, n. 12985 e dell’1/10/2010, n. 2279), pur anteriormente alla novella di
cui alla legge n. 247 del 2007, art. 39, (“Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di
regola a tempo indeterminato”), il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro
subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo, pur sempre,
l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria rispetto al suddetto principio, anche in
presenza di un sistema imperniato sulla previsione di una clausola generale (“ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo”), che ha sostituito il
precedente assetto normativo, fondato prima su un elenco tassativo e tipico di ipotesi
autorizzative, ai sensi della legge n. 230 del 1962, e successivamente sulla “delega” alla
contrattazione collettiva, ai sensi della legge n. 56 del 1987, art. 23.
Ciò porta a ritenere che al datore di lavoro è richiesto di motivare l’assunzione a
termine fornendo una giustificazione diversa e ulteriore rispetto a quella che
normalmente conduce all’assunzione. Ed, in realtà, per poter ritenere che il contratto a
termine ed il contratto a tempo indeterminato risultino pienamente sovrapponibili e
Caterina Marotta esten

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substantiam), ma anche di specificare le dette ragioni. L’uso del contratto a termine è

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo + 16 c/ R.F.l. S.p.A.

fungibili nella funzionalità tipologica e giuridica, rendendo puramente nominale la
configurazione del contratto a termine come contratto speciale, si dovrebbe dimostrare
che tale esito risulti compatibile con la portata letterale della disposizione del d.lgs. n.
368/2001, art. 1, ed, ancor prima, che la norma risulti isolabile dal contesto comunitario,

dall’interpretazione che degli stessi ha fornito il giudice comunitario, pur assumendo,
nel caso, l’interpretazione “comunitaria” valenza anche costituzionale ex art. 76 Cost.,
per essere la delega al governo (legge n. 422 del 2000, art. 1) strumentale e limitata
all’emanazione delle norme necessarie a dare attuazione alla Direttiva medesima. Sotto
il primo aspetto, tuttavia, l’asserita “acausalità” del contratto a termine, pur nel nuovo
quadro normativo, si pone in contrasto già con il tenore letterale stesso delle parole
usate dal legislatore, che, per come ha già evidenziato questa Corte e lo stesso giudice
delle leggi, ha inteso stabilire a carico del datore di lavoro un onere di puntuale
specificazione delle ragioni che obiettivamente presiedono alla apposizione del termine,
perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché
l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così Corte cost. n. 214/2009;
Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279). E, in realtà, la previsione di specifici presupposti
economici ed organizzativi e la necessità di una espressa motivazione in ordine alle
ragioni che presiedono all’apposizione del termine resterebbero un mero flatus vocis
ove il datore di lavoro potesse discrezionalmente determinare le cause di apposizione
del termine, a prescindere da una specifica connessione fra la durata solo temporanea
della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata ad
attuare. L’adozione di un diverso punto di vista interpretativo imporrebbe, del resto, di
dimostrare la sua idoneità a garantire, alla luce delle precisazioni progressivamente
offerte dalla Corte di giustizia, il risultato imposto dal diritto comunitario, che, fermo
Caterina Marotta est

re

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e cioè dai principi posti dalla Direttiva 1999/70/CE e dall’allegato accordo quadro e

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Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

restando la discrezionalità di ciascun Stato membro nell’elaborazione della norma
equivalente di diritto, obbliga, quale che sia la misura in concreto adottata, a realizzare
l’effettiva prevenzione dell’utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a
tempo determinato (così Corte giust. sentenza 23 aprile 2009, cause riunite da C –

C – 212/04, Adeneler e a., punto 101).
In tal contesto, si è precisato che «la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della
clausola 5, n. 1 lett. a) dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa si
riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività
e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro
a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla
particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i
contratti in questione, dalle caratteristiche ad essi inerenti o, eventualmente, dal
perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro»
(sentenza Angelidaki, punto 96; v. anche sentenza Adeneler e a., punti 69, 70; sentenza
13 settembre 2007, causa C – 307/2005, Del Cerro Alonso, punto 53). Con la
conseguenza, fra l’altro, che deve ritenersi incompatibile con le finalità della Direttiva il
ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato solo sulla base di una disposizione
generale, in assenza di alcuna relazione con il contenuto concreto dell’attività
considerata, che non consentirebbe di stabilire criteri oggettivi e trasparenti, idonei a
verificare se la clausola di durata corrisponda ad un’esigenza reale e sia idonea a
conseguire l’obiettivo perseguito e necessario a tale effetto (v. oltre alle già citate
sentenze Adelener e a., punto 74, Del Ceno Alonso, punto 55, Angelidaki, punto 100,
anche l’ordinanza 12 giugno 2008, causa C – 364/07, Vassilakis e a., punto 93), così
come appare egualmente incompatibile con tali finalità che le esigenze cui rispondono i
Caterina Afarotta est ore

24

378/07 a C – 380/07, Angelidaki e a., punti 80, 83,84, 94; sentenza 4 luglio 2006, causa

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

contratti a termine abbiano di fatto un carattere non già provvisorio, ma, al contrario,
“permanente e durevole” (così fra le altre la sentenza Angelidaki, punti 103 e 106).
LA FATTISPECIE CONCRETA
7. Nel caso sottoposto all’attenzione di questa Corte si discute di convenzioni di

parti essenziali – ed uniformi – come riportate in sede di ricorso introduttivo, è il
seguente: contratti per uno o più viaggi e per un massimo di 78 giorni con imbarco sulle
navi traghetto delle società di armamento per la tratta Messina/Villa San Giovanni Messina/Reggio Calabria.
Si tratta di contratti in relazione ai quali, come accertato dal giudice di merito, non è
invocabile la misura prevista dall’art. 326 cod. nav. per non avere gli arruolati prestato
ininterrottamente servizio per un tempo superiore ad un anno (comma 2) e per non
essere intercorso tra la cessazione di un contratto e la stipula di quello successivo un
periodo di tempo non superiore a sessanta giorni (comma 3).
Non si verte, inoltre, in una ipotesi di autolimitazione datoriale, per scelta delle parti
contraenti, nel senso di opzione per una regolamentazione del rapporto secondo la
disciplina comune (più favorevole al lavoratore). In sede di convenzione, infatti, ai sensi
dell’art. 332, n. 7, cod. nav., il c.c.n.l. per le attività ferroviarie è richiamato solo ai fini
dell’inquadramento e del trattamento economico nonché, specificamente, ai fini
dell’indicazione, per relationem, dei criteri percentuali di assunzione (art. 19 del
c.c.n.1.). Per tutto il resto i contratti di arruolamento in questione restano disciplinati dal
codice della navigazione.
LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE
8. Il problema è, allora, quello della verifica dell’applicabilità della Direttiva
comunitaria 1999/70/CE – punto di snodo per l’applicazione e corretta interpretazione
Caterina Marotta est ore

25

arruolamento stipulate dall’anno 2001 in poi, reiterate nel tempo, il cui contenuto, nelle

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Udienza 3/4/2013
Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A.

del d.lgs. n. 368/2001 – anche al lavoro marittimo. E, infatti, laddove si ritenesse la
suddetta applicabilità generale e la non conformità delle disposizioni del codice della
navigazione ai principi di cui alla Direttiva stessa non potrebbe che derivare, specie
quanto alla clausola 5, punto 1, che l’adempimento all’obbligo di prevedere misure

traduca in una applicazione delle disposizioni in quest’ultimo contenute anche ai
rapporti di lavoro marittimo.
Quale sia l’interpretazione da dare al suddetto atto normativo di origine europea è,
dunque, rilevante per il presente giudizio al fine di determinare quale sia la legge

e
9110.

sostanziale da applicare al merito della controversia e per decidere la stessa.
Sembra deporre nel senso dell’applicabilità della Direttiva 1999/70/CE anche al
lavoro marittimo il preambolo della stessa che così stabilisce: <41 presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro interinale». Inoltre, diversamente, da quanto è ad esempio accaduto in sede di altre direttive non vi è alcuna espressa esclusione dall'ambito di applicazione del lavoro marittimo. Si pensi, ad esempio, alle Direttive in materia di licenziamento collettivo 75/129/CE e 98/59/CE che hanno escluso esplicitamente l'applicabilità "agli equipaggi di navi marittime". Si pensi anche alla Direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro in cui, all'art. 1 punto 3, è previsto che la stessa non si applichi ai trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione. Utilizzabile sia quale argomento a favore dell'applicabilità generalizzata sia a favore della tesi opposta è la previsione di cui al punto 10 delle "Considerazioni generali" che Caterina Marotta esf,fjore idonee ad evitare abusi attuato dal legislatore nazionale con il d.lgs. n. 368/2001, si 26 b,r\eLl R. Gen. N. 29954/2010 Udienza 3/4/2013 Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A. demanda agli Stati membri e alle parti sociali la formulazione di disposizioni volte all'applicazione dei princìpi generali, dei requisiti minimi e delle norme in esso stesso contenuti, al fine di tener conto della situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attività di tipo ambito di applicazione così esteso da invitare gli Stati membri a tener conto delle specificità settoriali adattando i principi imposti dal legislatore comunitario (costituenti comunque il minimum ineludibile) alle varie realtà ovvero può essere intesa come un limite all'applicazione della Direttiva (riconoscendo il diritto degli Stati membri di mantenere e/o prevedere in determinate situazioni settoriali una disciplina anche non 0)- rispettosa di quel minimum di garanzie imposto negli altri casi). A sostegno della non applicabilità della Direttiva al lavoro marittimo potrebbe argomentarsi che il legislatore comunitario ha comunque disciplinato separatamente tale tipologia di lavoro. Si pensi alla Direttiva n. 95/21/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, riguardante l'attuazione di norme internazionali relativa alla sicurezza delle navi, alla prevenzione dell'inquinamento e alle condizioni di vita e di lavoro a bordo, per quelle navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo); si pensi altresì alla Direttiva 1999/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, concernente l'applicazione delle disposizioni relative all'orario di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità ed ancora alla Direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 aprile 2001, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare ed a quelle successive, modificative, intervenute nelle medesime materie. Caterina Marotta est ore stagionale. Ed infatti tale previsione può essere giustificata proprio in ragione di un 27 R. Gen. N. 29954/2010 Udienza 3/4/2013 Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A. Di contro potrebbe, però, anche sostenersi che l'esigenza di una disciplina "ad hoc" ha fondamento laddove si tratti di intervenire in relazione a determinate peculiarità (sicurezza delle navi, prevenzione inquinamento, condizioni di vita e di lavoro a bordo) mentre analoga esigenza non si ravvisa quanto si interviene in materia di contratto a sicurezza della navigazione (da cui discende il carattere inderogabile delle norme che regolano determinati aspetti del lavoro nautico). Né può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria una chiara risposta alle questioni interpretative sopra evidenziate. La Corte di Giustizia si è, infatti, solo espressa in ordine alla estensione della Direttiva anche ai lavoratori del settore pubblico (così CGE 7/9/2006 in C 180/04 e CGE 7/9/2006 in C 53/04). Tale pronuncia potrebbe, invero, essere significativa di una applicazione generalizzata. Peraltro, sempre secondo la Corte di Giustizia, l'accordo quadro, "non è teso ad armonizzare tutte le norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato" (C. giust. Ce 8 marzo 2012, Huet, C-251/11, punto 41) il che, invece, porta ad ipotizzare un campo di applicazione della Direttiva non così esteso come le considerazioni sopra svolte indurrebbero a sostenere. 9. La soluzione delle questioni poste a questa Corte dipende dall'adesione all'una ovvero all'altra soluzione interpretativa potendo risultare le modalità di arruolamento a termine per cui è causa ((come specificate al punto sub 7) non conformi alle prescrizioni di cui alla Direttiva 1999/70/CE (ove ritenuta applicabile) ed al d.lgs. n. 368/2001 che a quest'ultima ha dato attuazione (irrilevante essendo il riferimento operato dai ricorrenti alla Direttiva 2009/13 che non è ancora entrata in vigore). Caterina Marot a ejzsore 28 termine per tutelare situazioni non direttamente collegabili con l'interesse pubblico alla ‘31, R. Gen. N. 29954/2010 Udienza 3/4/2013 Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A. 10. Ed allora vanno poste alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, in forza degli articoli 19, paragrafo 3, lettera b, del Trattato sull'Unione europea e 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione del diritto dell'Unione e sulla validità degli atti adottati dalle - se siano applicabili al lavoro nautico le clausole dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE ed in particolare se la clausola 2, punto 1, sia riferibile anche ai lavoratori a tempo determinato assunti sulle navi traghetto che effettuano collegamenti giornalieri; - se l'accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE, ed in particolare la clausola 3 punto 1, osti ad una normativa nazionale che prevede (art. 332 cod. nav.) l'indicazione di una "durata" del contratto e non del "termine" e se sia compatibile con detta Direttiva la previsione di una durata del contratto con l'indicazione di un termine finale certo in ordine all'an ("max 78 giorni") ma incerto in ordine al quando; - se l'accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE, ed in particolare la clausola 3 punto 1, osti ad una normativa nazionale (artt. 325, 326 e 332 del codice della navigazione) che identifica le ragioni oggettive del contratto a termine con la mera previsione del viaggio o dei viaggi da compiersi, con ciò sostanzialmente facendo coincidere l'oggetto del contratto (prestazione) con la causa (motivo della stipula a termine); - se l'accordo quadro recepito dalla Direttiva osti ad una normativa nazionale (nella specie le norme del codice della navigazione) che esclude in caso di utilizzo di una successione dei contratti (tale da integrare abuso ai sensi della clausola 5) che questi siano trasformati in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (misura prevista dall'art. 326 cod. nav. solo per l'ipotesi che l'arruolato presti ininterrottamente servizio per un Caterina Marotta est ore 29 istituzioni, organi e organismi dell'Unione, le seguenti questioni: R. Gen. N. 29954/2010 Udienza 3/4/2013 Cotugno Angelo +16 c/ R.F.I. S.p.A. tempo superiore ad un anno e per l'ipotesi in cui fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai sessanta giorni) P.Q.M. La Corte, letto l'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, chiede interpretazione del diritto comunitario come sopra formulate. Ordina la sospensione del processo. Dispone, altresì, che copia dell'ordinanza sia trasmessa alla Corte di Giustizia unitamente agli atti del presente procedimento. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 3 aprile 2013. alla Corte di Giustizia dell'Unione europea di pronunciarsi sulle questioni di

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