Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16978 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 11/08/2016), n.16978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13842-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SAIMA AVANDERO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 169/2011 della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA,

depositata il 14/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che ha chiesto

l’accoglimento;

uditi per il controricorrente gli Avvocati LUCISANO e SCARPA che

hanno chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 14.4.2011 la CTR Campania ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogana avverso la decisione che in primo grado aveva ritenuto illegittimi gli inviti al pagamento notificati alla Saima Avandero s.p.a. a seguito dell’accertata violazione delle disposizioni in materia di depositi IVA e, segnatamente, a fronte del fatto che i beni oggetto di importazione risultavano introdotti nel deposito di (OMISSIS), in gestione alla parte, solo virtualmente.

Il giudice territoriale, pur dando atto della fondatezza della pretesa, ha tuttavia creduto di dover rigettare il proposto gravame sulla base della considerazione, da un lato della norma interpretativa dettata a margine del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis che “ha escluso che nei casi come quello de qua agitur vi sia la necessità della materiale introduzione della merce nel deposito IVA” (Il legislatore ha invero ritenuto che il compimento delle prestazioni di servizi, relative alla merce consegnata al depositano costituisce introduzione nel deposito IVA, intendendo in tal modo “dare rilievo alla funzione ed alla qualità professionale del depositarlo e mettendo in secondo piano il luogo in cui tale funzione si possa espletare”) e dall’altro dell’intervenuta autofatturazione delle merci immesse nel deposito all’atto della loro estrazione (la circostanza è invero decisiva in quanto l’autofatturazione “non si ritiene possa dar luogo ad evasione dell’imposta, in quanto il pagamento dell’IVA viene solo differito nel tempo”).

Per la cassazione di detta sentenza l’Agenzia delle Dogane si affida a due motivi di ricorso, ai quali replica la parte con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1.1. Con il primo motivo di ricorso le Dogane si dolgono, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis come novellato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis apparendo evidente l’illegittimità dell’impugnata decisione, atteso che essa “si fonda su un presupposto fattuale, richiesto dalla norma, che non è avvenuto”, dal momento che nella specie l’immissione delle merci nel deposito IVA non si era nella specie “mai realizzata” e che anche a seguito della sua interpretazione la norma “non esclude affatto il presupposto sostanziale per il trattamento agevolativo e cioè la necessaria introduzione fisica del bene nel deposito”.

2.1.2. Il secondo motivo del ricorso erariale lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vizio di contraddittoria motivazione, in quanto la sentenza “al contempo ammette la validità delle prove documentali, cioè dell’indagine della Guardia di Finanza”, ma “le svuota di significato laddove non riconosce poi la legittimità dell’operato dell’Amministrazione che ha posto in essere l’atto accertativo proprio sulla base di tali prove documentali”.

2.3. Il ricorso è affetto da pregiudiziale inammissibilità poichè i motivi che lo sostengono non esauriscono tutte le rationes decidendi sviluppate a conforto dell’impugnata decisione.

Invero, l’impianto motivazionale che sorregge la sentenza d’appello, per come si apprende da una piana lettura di essa, si snoda lungo un itinerario argomentativo che fa leva su una duplicità di argomenti e si riflette, sotto il profilo decisionale, in una pluralità di dicta che l’odierna ricorrente non censura nella loro totalità.

2.4. Ma valga il vero.

Osserva infatti il decidente sotto una prima angolazione – che costituisce la prima delle due rationes a sostegno della decisione e sulla quale si appuntano le censure di cui ai riportati motivi – che la pretesa erariale risulta ingiustificata alla luce della novellazione interpretativa a cui è stato sottoposta l’originaria prescrizione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, dovendo trarsi da essa l’asserto che “la norma interpretativa ha escluso che nei casi come quello de quo agitur vi sia la necessità della materiale introduzione della merce nel deposito IVA”, essendo intenzione del novellatore di “dare rilievo alla funzione ed alla qualità professionale del depositario e mettendo in secondo piano il luogo in cui tale funzione si possa espletare”.

Sotto una seconda angolazione – che non forma oggetto di censura – il decidente si è indotto ad ascrivere portata decisoria, in tal modo enunciando una seconda ratio decidendi, anche alla circostanza dell’intervenuta autofatturazione delle merci importate in sospensione di imposta all’atto della loro estrazione dal deposito, esplicitamente sottolineando l’autonoma rilevanza dell’osservazione con la non equivoca dizione di “altra argomentazione”, che anche dialetticamente intende rimarcare che la decisione adottata si vale a proprio supporto di un duplice concorrente ordine di ragioni.

Ciò porta a risolvere la vicenda in esame nel solco di quanto più volte affermato da questa Corte (4293/16; 22753/11; 20118/06) ritenendo che “in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa”.

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 7500,00= oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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