Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16971 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 16/06/2021), n.16971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 10174 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore fallimentare, rappresentata

e difesa, per procura speciale allegata alla memoria del 7 gennaio

2021, dagli Avv.ti Cristiano Caumont Caimi, Giuseppe Pizzonia e

Laura Puddu, elettivamente domiciliata in Roma, via della Consulta,

n. 1/B, presso lo studio del primo difensore;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 5829/27/14, depositata in data 11

novembre 2014;

nonchè

sul ricorso iscritto al n. 26750 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore fallimentare, rappresentata

e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti

Cristiano Caumont Caimi, Giuseppe Russo Corvace, e Giuseppe

Pizzonia, elettivamente domiciliata in Roma, via della Scrofa, n.

57, presso lo studio del primo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 2128/12/16, depositata in data 12

aprile 2016;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con riferimento al procedimento R.G. n. 10174/15:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a (OMISSIS) s.p.a. un provvedimento di diniego del rimborso del credito Iva indicato nella dichiarazione relativa all’anno 2010 stante l’omessa presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta 2008, in quanto presentata oltre il termine di novanta giorni; avverso il provvedimento di diniego la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Pavia;

avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: la domanda di rimborso era stata tempestivamente presentata in quanto il credito Iva era stato esposto nella dichiarazione per l’anno 2010 e non aveva rilevanza la circostanza che per l’anno 2008 la dichiarazione non era stata presentata; l’amministrazione finanziaria poteva in sede giudiziale prospettare ragioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle espresse nelle motivazioni del provvedimento di diniego, purchè relative all’oggetto della controversia, sicchè poteva validamente essere contestata la mancanza dei presupposti sostanziali per il riconoscimento del rimborso Iva; era sussistente, nella fattispecie, il presupposto per il riconoscimento del diritto al rimborso, non rilevando l’assenza del diritto di proprietà su beni realizzati in forza del contratto di concessione di costruzione e gestione, in quanto nella dizione di “acquisto di beni ammortizzabili” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, lett. c), era da ricomprendersi anche la costruzione di un’opera funzionale alla acquisizione del diritto di concessione, posto che tale diritto rappresenta un bene immateriale suscettibile di ammortamento;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria, contenente anche procura di nomina di nuovo difensore; con riferimento al procedimento R.G. n. 26750/16:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a (OMISSIS) s.p.a. una cartella di pagamento con la quale, a seguito di controllo automatizzato sulla dichiarazione Modello Iva/2011 relativa all’anno di imposta 2010, aveva contestato un minore rimborso Iva ed un minore credito Iva, irrogando le conseguenti sanzioni; la pretesa era basata sulla verifica dell’omessa presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta 2008, in quanto presentata oltre il termine di novanta giorni; avverso la cartella di pagamento la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Pavia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: era legittima la cartella di pagamento con la quale si contestava la detraibilità dell’Iva relativa ad un pregresso credito di imposta per la quale era stata omessa la dichiarazione; era legittima, altresì, la pretesa relativa al credito chiesto a rimborso per l’anno 2010, atteso che nella successiva dichiarazione per l’anno 2011 la società aveva esposto un credito Iva che ricomprendeva anche il credito chiesto a rimborso;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, si rende necessaria la riunione del procedimento R.G. n. 26750/2016 al procedimento R.G. n. 10174/2015, attesa l’identità soggettiva e parzialmente oggettiva delle questioni;

relativamente al procedimento R.G. n. 10174/2015:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere pronunciato su di un motivo, relativo alla mancanza del presupposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, nonostante il fatto che la società non aveva prospettato alcuna ragione di doglianza, con il ricorso originario, avverso il suddetto motivo di diniego del rimborso;

deduce, in particolare, parte ricorrente che il diniego di rimborso dell’Iva chiesto per l’anno 2010 era stato motivato sia in relazione all’intervenuta decadenza, per avere la società omesso di presentare la dichiarazione relativa all’anno 2008, sia per assenza del presupposto dell’acquisto di un bene ammortizzabile, sicchè, posto che la società, con il ricorso originario, aveva limitato l’impugnazione al solo profilo relativo alla intervenuta decadenza, il giudice del gravame avrebbe dovuto dichiarare inammissibile per difetto di interesse il ricorso introduttivo, posto che la definitività del motivo di diniego non impugnato, autonomo rispetto all’ulteriore motivo, avrebbe dovuto escludere, in ogni caso, l’annullamento del provvedimento di diniego;

il motivo è inammissibile;

lo stesso non tiene conto della ratio decidendi della sentenza censurata;

invero, in sentenza si dà atto del fatto che il provvedimento di diniego del rimborso Iva relativa all’anno 2010 era basato sulla circostanza che era stata omessa la dichiarazione relativa al periodo di imposta 2008 e che il giudice di primo grado aveva ritenuto inammissibile, in quanto nuova, l’argomentazione della amministrazione finanziaria secondo cui, comunque, il rimborso dell’Iva non poteva essere riconosciuto in quanto mancava il presupposto dell’ammortizzabilità dei beni;

proprio in relazione a tale ultimo punto della decisione di primo grado il giudice del gravame, accogliendo la ragione di doglianza dell’Agenzia delle entrate, ha ritenuto che, nelle liti originate dalla negazione del credito, era sempre consentito all’amministrazione finanziaria prospettare in giudizio argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle espresse nella motivazione del provvedimento negato;

sicchè, il giudice del gravame, con il suddetto passaggio motivazionale ha, in sostanza, escluso che il provvedimento di diniego contenesse anche l’ulteriore contestazione relativa alla non ammortizzabilità del bene acquistato, sebbene, nel contempo, ha ritenuto di potere comunque esaminare la questione nel merito, atteso, come chiarito, il diritto in sede processuale, di contestazione dei presupposti del credito nel caso in cui la controversia ha ad oggetto il diniego del rimborso di un credito; sotto tale profilo, il giudice del gravame ha compiuto un accertamento relativo all’esatto contenuto delle ragioni poste alla base del provvedimento di diniego e ha, quindi, verificato che lo stesso era basato unicamente sulla contestazione della decadenza conseguente alla mancata presentazione della dichiarazione relativa all’anno di imposta 2008;

tale passaggio motivazionale non è stato oggetto di specifica contestazione da parte della ricorrente, sicchè la ragione di censura è inammissibile, posto che si fonda sulla non corretta considerazione che il provvedimento di diniego del rimborso conteneva anche la contestazione della insussistenza del presupposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), per avere erroneamente ritenuto che, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso Iva, non fosse ostativa l’assenza del diritto di proprietà dei beni realizzati dal concessionario, dovendosi ricomprendere nella fattispecie esaminata ogni operazione rivolta all’acquisizione di beni ammortizzabili e che, inoltre, i costi sostenuti per la costruzione dell’opera nell’ambito di un rapporto di concessione di progettazione e costruzione (c.d. project financing) funzionali all’acquisizione del diritto di concessione, fossero assimilati ai beni ammortizzabili, in quanto iscrivibili nell’atto dello stato patrimoniale e ammortizzabili fiscalmente, ai sensi dell’art. 103 TUIR, comma 2;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, esige, al fine di riconoscere il diritto al rimborso dell’Iva per gli acquisti di beni ammortizzabili, che si verifichi un effetto traslativo della proprietà o della titolarità di un altro diritto reale, mentre nel caso di specie era stato contrattualmente previsto che le opere da realizzarsi erano, sin dall’inizio, di proprietà del concedente;

il motivo è infondato;

la sentenza censurata chiarisce che la vicenda in esame va collocata nell’ambito delle attività svolte dalla società per l’esecuzione degli obblighi di costruzione e gestione di opere e servizi pubblici (c.d. project financing) ed ha ad oggetto la questione del diritto al rimborso dell’Iva da essa corrisposta per l’acquisizione di beni ammortizzabili in funzione della realizzazione degli obblighi di concessione;

va quindi osservato, preliminarmente, che il D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Dir. n. 2004/17/CE e Dir. n. 2004/18/CE), prevede una particolare forma di realizzazione delle opere pubbliche (concessione di lavori pubblici) nella quale la controprestazione per la società esecutrice è costituita essenzialmente dal diritto di gestire o sfruttare economicamente i beni costruiti, sicchè il concessionario trae il corrispettivo della propria attività di costruzione dai redditi derivanti, negli anni di durata della concessione, dall’utilizzo o dalla gestione dei beni;

l’effetto, comunque, derivante dal contratto in esame è l’acquisizione da parte del concessionario del diritto di concessione, cioè del diritto di gestire i beni, che lo stesso ha realizzato, per un certo periodo di tempo;

sotto tale profilo, parte ricorrente deduce che i costi sostenuti dalla concessionaria hanno riguardo a beni da essa realizzati di proprietà della concedente “sin dall’inizio”, secondo quanto previsto dal contratto di concessione, art. 6, e proprio tale circostanza sarebbe ostativa al riconoscimento del diritto al rimborso dell’Iva, in quanto la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), richiede che il suddetto diritto può essere fatto valere solo relativamente ai beni ammortizzabili che siano acquisiti, dunque oggetto di trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale; la suddetta linea interpretativa non può essere seguita con riferimento al caso di specie;

invero, questa Corte ha precisato (Cass. Sez. Un., 11 maggio 2018, n. 11533; Cass. civ., 23 dicembre 2019, n. 34291) che “Deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purchè sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi”; non è dunque ostativo al riconoscimento del diritto al rimborso Iva la circostanza che, i costi erano stati sostenuti con riferimento a beni da essa realizzati di proprietà della concedente “sin dall’inizio”, assumendo invece rilievo il rapporto di strumentalità dei costi con l’attività di impresa, profilo non oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate;

sotto ulteriore profilo, peraltro, va osservato che la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), stabilisce che è rimborsabile l’eccedenza detraibile dell’Iva relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, e quindi postula che si abbia riguardo a: a) beni; b) acquistati dal contribuente che chiede il rimborso; c) ammortizzabili;

in realtà, con specifico riferimento al caso di specie, va tenuto conto del fatto che i costi sostenuti dal concessionario per la costruzione delle opere oggetto del contratto sono funzionali all’acquisizione del diritto di concessione, diritto che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103, comma 2, rientra tra i beni immateriali ammortizzabili;

tale equiparabilità, sotto il profilo della disciplina di bilancio e fiscale, del diritto di concessione ad un bene immateriale che il concessionario può iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale ed ammortizzare anche fiscalmente, comporta che, in sostanza, è in relazione all’acquisizione di questo diritto che deve essere riconosciuto, correlativamente, il diritto al rimborso dell’Iva dei costi sostenuti per la realizzazione delle opere connesse al diritto di concessione, poichè sono pur sempre funzionali all’acquisizione di un diritto (il diritto di concessione) avente natura di bene immateriale ammortizzabile, costituendo l’onere che il concessionario deve sostenere per ottenere il diritto di concessione, relativo alla gestione dei servizi connessi all’infrastruttura e dal quale otterrà un profitto di impresa;

la sentenza censurata, dunque, è in linea con i suddetti principi, sicchè non è ravvisabile alcuna violazione di legge;

in conclusione, il ricorso è infondato, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente;

relativamente al procedimento R.G. n. 26750/2016:

le considerazioni espresse in relazione al procedimento R.G. n. 10174/2015, in particolare il riconoscimento del diritto al rimborso del credito Iva per Euro 1.200.000,00, assumono rilevanza anche nell’ambito del presente procedimento, posto che risulta dalla sentenza censurata che la contestazione dell’amministrazione finanziaria ha avuto, fra l’altro, riguardo anche all’indebito utilizzo del suddetto credito, in quanto chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale 2011 (per l’anno 2010) e riportato nell’anno successivo per l’utilizzo in compensazione;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, secondo periodo, art. 30, comma 1, art. 54-bis, art. 55, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 1.

in particolare, parte ricorrente censura la sentenza: per avere ritenuto che la presentazione oltre il termine di legge della dichiarazione Iva determini, di per sè, il venire meno del diritto ad utilizzare il credito nella successiva dichiarazione, senza alcuna verifica della effettiva sussistenza del credito; per avere ritenuto, inoltre, con riferimento all’importo Iva chiesto a rimborso, che sussisterebbe una duplicazione del credito, sebbene in relazione alla verifica sulla dichiarazione Iva successiva a quello oggetto di verifica, nella quale, secondo l’amministrazione finanziaria, il medesimo credito era stato utilizzato in compensazione;

il motivo è fondato, per quanto di ragione;

la questione prospettata con il primo profilo di censura ha riguardo alla legittimità della pretesa con la quale, in sede di controllo automatizzato della dichiarazione Iva per l’anno 2010, è stato disconosciuto il credito Iva che origina dal riporto di un credito indicato nella precedente dichiarazione ma presentata con ritardo oltre i novanta giorni e, quindi, da considerarsi omessa;

sul punto questa Corte (Cass., Sez. U, 8 settembre 2016, n. 17757) ha fissato il principio secondo il quale “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (conf. Cass. civ., 13 giugno 2018, n. 15459; Cass. civ., 23 febbraio 2018, n. 4392);

il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino alla dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purchè siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione; la sussistenza di tali requisiti esclude, difatti, la rilevanza dell’assenza di quelli formali, sempre che sia rispettata la cornice biennale prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, per l’esercizio del diritto di detrazione (secondo le precisazioni espresse, in particolare, Cass. Civ., 28 luglio 2015, n. 14767);

le Sezioni Unite, preme precisare, nel dettare il principio di diritto, hanno fatto espresso riferimento alla cornice biennale perchè essa identifica “il rilievo generale e interno” che governa l’esercizio del diritto di detrazione (punto 5.8.) sentenza;

nella specie, il credito non risulta contestato e sussistono i presupposti sostanziali indicati dalle Sezioni Unite sicchè non c’è necessità di procedere ad accertamento induttivo, in quanto l’amministrazione non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza: principio, questo, che si specchia nella giurisprudenza unionale, secondo la quale occorre che il contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui alla Sesta Dir., art. 17, e “si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto” (citate Sez. U, n. 17757/2016, in motivazione);

nondimeno, la questione in esame si sposta su un piano esclusivamente fattuale, dovendosi verificare in concreto l’avvenuto rispetto della ridetta cornice biennale, profilo sul quale la sentenza impugnata nulla espone e che nemmeno risulta chiarito dalle parti nei loro scritti;

invero, in sede di rinvio, dovrà essere accertato se il credito posto in detrazione per l’anno di imposta 2010 è stato fatto valere entro la cornice biennale sopra indicata, quindi entro il termine di due anni da quando il credito è sorto;

in questo ambito, peraltro, va altresì tenuto conto del fatto che nel procedimento R.G. n. 10174/2015, è stato riconosciuto il diritto al rimborso del credito Iva per l’ammontare di Euro 1.200.000,00;

con riferimento al secondo profilo di censura, lo stesso ha riguardo alla ulteriore pretesa consistente nel mancato riconoscimento del credito di Euro 1.200.000,00 di cui la società aveva chiesto il rimborso con la dichiarazione per l’anno 2010, atteso che il suddetto credito era stato, altresì, utilizzato anche nella successiva dichiarazione relativa all’anno 2011;

le considerazioni che seguono, va premesso, presuppongono che il giudice del rinvio abbia accertato, come richiesto a seguito dell’accoglimento per quanto di ragione del primo profilo di censura, l’effettiva esistenza del credito in esame, fermo restando, come detto, il riconoscimento del diritto al rimborso del credito Iva di Euro 1.200.000,00;

ciò precisato, va quindi osservato che il giudice del gravame ha ritenuto che con la successiva dichiarazione relativa all’anno 2011 la società aveva utilizzato come credito Iva risultante dall’anno precedente anche l’importo di Euro 1.200.000,00 già chiesto a rimborso nell’anno precedente, il che avrebbe comportato una duplicazione del medesimo credito che non poteva essere utilizzato negli anni successivi proprio in conseguenza del chiesto rimborso; la suddetta affermazione, tuttavia, non è corretta;

la cartella di pagamento oggetto di controversia era conseguente al controllo automatizzato relativo alla dichiarazione Iva 2011 (relativa all’anno di imposta 2010), sicchè le eventuali pretese dovevano unicamente riguardare il contenuto della suddetta dichiarazione, pertanto avrebbe potuto essere negato il diritto al credito Iva relativo unicamente al periodo di imposta di riferimento;

in realtà, l’amministrazione finanziaria, nel contestare l’esistenza del credito Iva in quanto esposto nella dichiarazione Iva 2012 (relativa all’anno di imposta 2011), ha illegittimamente negato il suddetto credito senza avere proceduto, per questo anno di imposta, alla necessaria rettifica, come invece richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, secondo cui l’attività di controllo deve essere necessariamente riferita al periodo di imposta cui la dichiarazione si riferisce; nella fattispecie, invero, è stata data rilevanza al comportamento tenuto dalla società a fini dichiarativi per un periodo di imposta successivo a quello in cui si era esteso il controllo formale, sicchè la pronuncia, sotto tale profilo, non è conforme alla previsione normativa indicata;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sulle doglianze relative alla illegittimità delle sanzioni irrogate;

il motivo è fondato;

risulta dal ricorso che parte ricorrente aveva censurato dinanzi al giudice di primo grado le sanzioni irrogate sotto il profilo della violazione del legittimo affidamento e della buona fede, essendosi la società conformata a indicazioni contenute in precedenti atti dell’amministrazione finanziaria, nonchè per incolpevole errore sul diritto e per obiettiva incertezza delle norme applicabili (vd. pagg. 22 e 23 del ricorso);

le suddette ragioni di doglianza, inoltre, erano state riproposte nel giudizio di appello dalla società totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado e rimaste quindi assorbite (vd. pagg. 33-38, atto di controdeduzioni in appello);

il giudice del gravame ha omesso ogni decisione in ordine ai suddetti motivi di doglianza, incorrendo in tal modo nella violazione dell’art. 112 c.p.c.;

in conclusione, il primo motivo è fondato per quanto di ragione, è fondato il secondo motivo, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza censurata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

relativamente al procedimento R.G. n. 10174/2015: rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese forfettarie in misura del quindici per cento ed accessori;

relativamente al procedimento R.G. n. 26750/2016: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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