Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16965 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.07/07/2017),  n. 16965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4657-2016 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE 204,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOZZA VENTURI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 19,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO CARNEVALI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6191/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

La Corte d’appello di Roma con sentenza 9.11.2015 n. 6191: a) ha rigettato la eccezione di difetto di legittimazione attiva di Equitalia Sud s.p.a., proposta dall’appellato S.L. (sul presupposto del mancato subentro della società appellante nel rapporto litigioso, oggetto del giudizio introdotto dallo S. con atto di opposizione ex art. 615 c.p.c. al preavviso di fermo notificato da Equitalia GERIT s.p.a.) rilevando che, a seguito della modifica dell’art. 2504 bis c.c., la fusione mediante incorporazione di due o più società non dà luogo a fenomeno successorio ma realizza un procedimento evolutivo-modificativo dell’unico soggetto giuridico (identificato nella società incorporante); b) ha rigettato la eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla convenuta appellante Equitalia Sud s.p.a., rilevando che, qualora venga impugnato un atto del Concessionario del servizio di riscossione (nella specie “preavviso di fermo amministrativo” per mancato pagamento di importi relativi a cartelle emesse per sanzioni pecuniarie irrogate per violazioni delle norme del Codice della Strada) ma vengano dedotti vizi di invalidità afferenti gli atti presupposti relativi alla formazione del titolo esecutivo stragiudiziale, sussiste un litisconsorzio necessario tra il Concessionario e l’ente titolare del diritto contestato; c) ha annullato in conseguenza la decisione di prime cure, disponendo la rimessione della causa al Giudice di primo grado per la integrazione del contraddittorio nei confronti della Amministrazione titolare della pretesa sostanziale contestata dall’opponente.

– S.L. ha impugnato la sentenza di appello con due motivi.

– Ha resistito con controricorso Equitalia Sud s.p.a..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

– che il primo motivo (violazione art. 100 c.p.c., art. 101 Cost., artt. 112, 113 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con il quale il ricorrente reitera la originaria eccezione di difetto di legittimazione attiva di Equitalia Sud s.p.a., è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha rilevato come dall’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale parte 2, n. 84 del 23.7.2011, Equitalia GERIT s.p.a. (che è stata parte del giudizio di primo grado definito con sentenza n. 8.8.2013 del Tribunale di Tivoli) si è fusa per incorporazione in Equitalia Sud s.p.a. (che ha proposto appello avverso detta sentenza), ed ha fatto corretta applicazione della norma di cui all’art. 2504 bis c.c. – nel testo modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – conformemente alla interpretazione che della stessa è stata fornita da questa Corte di legittimità laddove ha affermato che il procedimento di fusione determina la unificazione di distinte strutture organizzative di tipo societario, senza incidere sulla originaria soggettività giuridica della società incorporata ovvero delle società che si sono fuse paritariamente – che non subisce, pertanto, alcuna soluzione continuità, come invece accade in relazione al distinto fenomeno estintivo-successorio (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 2637 del 08/02/2006). Ne segue che la fusione disposta in pendenza di una causa della quale sia parte la società fusa od incorporata, non determina l’interruzione del processo, nè quindi la necessità di riassumerlo nei confronti della società incorporante o risultante dalla fusione (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10653 del 03/05/2010). Se dunque è ammissibile l’appello proposto nei confronti della società incorporata (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24498 del 18/11/2014), non è del pari dubbio che la società incorporante, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti (formatosi a seguito di una vicenda, non estintiva, ma evolutivo-modificativa, che comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente distinto dal vecchio), debba ritenersi pienamente legittimata a proporre appello avverso la sentenza emessa nei confronti della società incorporata, non potendo neppure escludersi che la società incorporata possa continuare ad essere parte nel processo da essa o contro di essa instaurato e pendente al momento della fusione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 18188 del 16/09/2016), in ogni caso dovendosi identificare la parte processuale in un unico e medesimo soggetto giuridico.

Tanto è sufficiente a mandare esente la sentenza di appello impugnata dal vizio denunciato, essendo stata accertato dai Giudice di merito che, nel caso di specie, le due società si erano fuse mediante incorporazione di Equitalia GERIT s.p.a. in Equitalia Sud s.p.a., che era quindi pienamente legittimata, quale incorporante, ad impugnare la sentenza di prime cure.

– il secondo motivo (violazione artt. 112 e 115 c.p.c.; art. 12 preleggi; art. 101 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è, invece, fondato.

Il ricorrente sostiene che tra Agente per la riscossione ed ente pubblico titolare del diritto di credito (nella specie relativo a sanzioni pecuniarie amministrative) non sussiste alcun vincolo litisconsortile necessario, come sarebbe dato desumere dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 e che, comunque, il Giudice di appello non avrebbe potuto rilevare il difetto di contraddittorio nei confronti dell’ente pubblico, essendo riservata in via esclusiva all’Agente della riscossione la scelta di chiamare in causa anche il titolare del diritto di credito.

Il Giudice di appello ha inteso ravvisare, al riguardo, una differente disciplina nel caso di opposizioni a cartelle di pagamento aventi ad oggetto “crediti di natura tributaria”, nelle quali, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte richiamata dal Giudice territoriale, non si configura alcun litisconsorzio necessario tra agente della riscossione ed ente impositore (essendo il primo soltanto onerato – ove non intenda subire le conseguenze derivanti dalla lite – della chiamata in causa dell’ente impositore, laddove attraverso la impugnazione della cartella o di atti ad essa successiva della procedura di riscossione coattiva a mezzo ruoli siano stati dedotti vizi di notifica relativi ad atti di pertinenza dell’ente creditore incidenti sul titolo presupposto: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007, cui si sono uniformate le successive pronunce della 5 sezione della S.C.) e di opposizioni a cartelle di pagamento concernenti “crediti per sanzioni amministrative pecuniarie”, per la quali invece sussisterebbe il litisconsorzio necessario tra agente della riscossione ed ente pubblico titolare della pretesa sanzionatoria (il Giudice territoriale ha richiamato, in proposito, il precedente di questa Corte cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12385 del 21/05/2013).

Tale distinzione, tuttavia, non tiene conto che la riscossione coattiva dei crediti delle Amministrazioni pubbliche statali istituzionali ed anche territoriali, tanto se di natura tributaria che di natura non tributaria, è disciplinata in modo unitario in conformità al sistema della riscossione a mezzo ruolo: la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 27, comma 1, in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, dispone infatti che “….decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, l’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione procede alla riscossione delle somme dovute in base alle norme previste per la esazione delle imposte dirette, trasmettendo il ruolo all’intendenza di finanza che lo dà in carico all’esattore per la riscossione in unica soluzione, senza l’obbligo del non riscosso come riscosso”; e il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 17, comma 1, (concernente riordino della disciplina della riscossione a mezzo ruolo) dispone che “….si effettua a mezzo ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalla imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici”, essendo estesa, dal medesimo art. 17 comma 2, tale disciplina – se pure in via facoltativa – anche alle entrate “delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti locali”. La relativa disciplina normativa va rinvenuta nelle disposizioni, collocate sotto il capo 2^, del Titolo 1^ e sotto il Titolo 2^, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che si applicano “anche alle entrate riscosse mediante ruolo a norma dell’art. 17 del presente decreto ed alle relative sanzioni ed accessori” (cfr. D.Lgs. n. 46 del 1999 e succ. mod., art. 18), con esclusione di alcune singole disposizioni espressamente indicate nel D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 19 e 20.

Ne segue che, essendo affidata la riscossione a mezzo ruolo ai soggetti in possesso dei requisiti di legge (Agenti per la riscossione: ed anteriormente ai Concessionari del servizio di riscossione, ed ancor prima agli Esattori), la disposizione del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 39 (recante “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337”) secondo cui “Il concessionario (ora l’agente), nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite.” (che riproduce integralmente la identica previsione normativa contenuta nel D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 40 concernente “Istituzione del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi della L. 4 ottobre 1986, n. 657, art. 1, comma 1”, abrogato dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 68), come interpretata dai precedenti di questa Corte richiamati – in materia tributaria – anche dal Giudice d’appello cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 13082 del 15/06/2011; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21220 del 28/11/2012; id. Sez. 6 – 5, Sentenza n. 25523 del 02/12/2014), trova generale applicazione anche alla riscossione a mezzo ruolo delle entrate diverse da quella di natura tributaria, come emerge in modo inequivoco dall’esplicito riferimento all’ “ente creditore interessato” (e no n quindi al solo ente impositore), con la conseguenza che nel giudizio di opposizione a cartella di pagamento, ovvero agli atti ad essa conseguenziali non si dà luogo a litisconsorzio necessario tra Agente per la riscossione ed ente creditore.

Occorre chiarire che le norme predette sono state interpretate dalle SS.UU. di questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007), come “non derogatorie” dei criteri di individuazione della legittimazione passiva, essendo indubitabile che motivi di opposizione volti ad accertare la inesistenza del credito debbano essere fatti valere nei confronti dell’ente creditore, mentre motivi concernenti vizi di validità attinenti ad atti emessi dall’Agente della riscossione, legittimano evidentemente la partecipazione al giudizio di quest’ultimo. Tuttavia la “ratio legis” – da individuarsi nella esigenza di favorire una rapida soluzione delle controversie – consente al destinatario dell’atto di riscossione di impugnare direttamente l’atto portato a sua conoscenza per far valere il vizio del procedimento consistito nella omessa notifica degli atti presupposti, con ciò venendo ad incidere mediatamente sulla pretesa creditoria, potendo agire, proprio in virtù della indicata norma (D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39), indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro legittimato passivo, con la conseguenza che se oggetto della opposizione è la rimozione o la dichiarazione di inefficacia dell’atto esecutivo-conseguenziale emesso dall’Agente della riscossione “questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio. La risposta non può essere diversa per il caso in cui il contribuente, a fondamento dell’impugnazione dell’atto consequenziale, abbia dedotto l’omessa notificazione dell’atto presupposto…” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007; id. Sez. 6 5, Ordinanza n. 21220 del 28/11/2012).

Orbene nel caso di specie (come emerge dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata), il debitore ha proposto “opposizione alla esecuzione” ex art. 615 c.p.c., comma 1, minacciata dall’Agente per la riscossione con la notifica del “preavviso di fermo”, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86 atto prodromico alla applicazione della misura del fermo amministrativo considerata di natura cautelare e la cui adozione, dopo le modifiche introdotte alla norma dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 1, comma 1, lett. q) è attribuita alla esclusiva competenza dell’Agente incaricato della riscossione coattiva del credito (nella specie relativo a sanzione amministrativa pecuniaria). Dagli atti delle parti risulta ancora che il debitore opponente ha eccepito “la mancanza della notifica degli atti prodromici al preavviso di fermo” instando per la nullità, inesistenza, illegittimità ed improcedibilità del “preavviso di fermo amministrativo” (cfr. ricorso, pag.1; controric. pag. 3). Emerge ancora dagli atti delle parti che il Tribunale di prime cure aveva dichiarato la estinzione per prescrizione del credito (cfr. sentenza di appello impugnata, in motivazione pag. 1) e che lo S., costituendosi in grado di appello, ribadiva nel merito “l’inesistenza del debito verso l’Amministrazione per la decadenza e prescrizione dei pretesi crediti sottesi al preavviso di fermo…” (ricorso pag. 2), non essendo peraltro contestata dalle parti la statuizione del Giudice di appello secondo cui il debitore, con la opposizione introduttiva, aveva dedotto anche motivi concernenti “la stessa sussistenza della pretesa”.

Ne consegue che la controversia non ha ad oggetto soltanto la contestazione del diritto dell’Agente per la riscossione ad applicare la misura coercitiva o ad iniziare il procedimento di espropriazione minacciato, in tal caso non essendovi dubbi ad individuare la legittimazione passiva di Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia GERIT s.p.a.) quale Agente per la riscossione, ma aveva fin dall’origine ad oggetto anche la richiesta di accertamento con efficacia di giudicato della inesistenza del credito per sanzioni amministrative pecuniarie, sicchè era onere dell’Agente della riscossione, D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39 evocare in giudizio anche l’ente pubblico creditore, per non rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite e del pregiudizio eventualmente subito dalla pronuncia dal titolare del diritto di credito.

Tale conclusione non viene a mutare, ma viene anzi ad essere confermata dalla qualificazione della opposizione al “fermo amministrativo”, non come opposizione preventiva ex art. 615 c.p.c., comma 1, ma come ordinaria “azione di accertamento negativo” – secondo l’insegnamento di questa Corte Sez. U, Ordinanza n. 15354 del 22/07/2015 -, atteso che oggetto di detto giudizio è pur sempre “un’azione di accertamento negativo della pretesa dell’esattore di eseguire il fermo, in cui al giudice adito sarà devoluta la cognizione sia della misura che del merito della pretesa creditoria”. (cfr. in motivazione, punto 8, SS.UU. n. 15354/2015). Detta azione di accertamento negativo, pertanto, dovrà correttamente essere rivolta nei confronti del soggetto competente (Agente della riscossione) ad adottare la misura coercitiva, in quanto diretta a contestarne i presupposti legali di applicazione e dunque ad impedire l’adozione della “misura coercitiva”, ma in quanto rivolta a denunciare vizi del procedimento amministrativo volti ad inficiare la validità ed efficacia degli atti presupposti, investe anche la pretesa creditoria oggetto della riscossione e dunque legittima la chiamata in causa dell’ente creditore a cura dell’Agente della riscossione, D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39 (ove non intenda assumersi la responsabilità delle conseguenze della lite nei confronti dell’ente titolare del credito), ma non determina alcuna situazione di litisconsorzio necessario con quest’ultimo.

Pertanto nella fattispecie in esame alcuna regressione della causa in primo grado doveva essere disposta dalla Corte d’appello ex art. 354 c.p.c. per la “integrazione necessaria del contraddittorio” nei confronti dell’ente titolare del diritto di credito.

In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al secondo motivo, infondato il primo; la sentenza di appello va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma affinchè provveda a decidere sulla domanda di accertamento negativo della pretesa di applicazione della misura coercitiva del fermo amministrativo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86 minacciata dall’Agente della riscossione Equitalia Sud s.p.a., nonchè sulle altre domande proposte dall’opponente, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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