Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16963 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 16/06/2021), n.16963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8556-2014 proposto da:

C.A., STUDIO C. DI C. ARCH

AL.CA. E GEOM A.C., CA.AL., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIO CALGARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/2013 della COMM.TRIB.REG. VENETO,

depositata il 23/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (notificato allo Studio C. arch. Al. e Geom. A.), con cui erano esclusi costi per 111.528,00 determinando una maggiore pretesa fiscale ai fini del reddito, in relazione all’anno di imposta 2005, nonchè una minore iva detraibile, ed una maggiore imposta ai fini irap.

Il reddito maggiore individuato nei confronti dell’ente collettivo era poi imputato anche agli associati C.A. e Ca.Al.,in base alle quote possedute.

I ricorsi proposti dai singoli contribuenti erano riunti dalla CTP di Vicenza e nel merito li respingeva.

La Ctr di Venezia, a seguito dell’appello proposto da tutti i soccombenti, con sentenza n. 66 /16 /2013 confermava la decisione di primo grado.

Propongono ricorso in Cassazione i ricorrenti, affidandosi a 3 motivi, così sintetizzabili:

1) Violazione di legge art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3.

2) Omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetti di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5.

3) Violazione e falsa applicazione di norma di legge: art. 54 TUIR e

successive modifiche dal 1.1.2005, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si costituiva con controricorso l’Agenzia delle Entrate, concludendo per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso proposto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce che il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello sul punto se il contribuente Studio associato avesse provato o meno di aver sostenuto i costi per 111.528,00 limitandosi a dire che la documentazione non era “atta a giustificare la stretta correlazione tra i costi esposti e le fatture ricevute”.

Il motivo è infondato, in quanto va esclusa la sussistenza del vizio di omessa pronuncia.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omessa la valutazione indispensabile alla soluzione del caso concreto. Ciò non si è verificato nel caso in questione in quanto la decisione adottata implicava la reiezione del motivo fatto valere dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando il motivo avanzato con l’appello sebbene non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (vedi in senso analogo Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013)).

Nel caso in esame il fatto, e cioè se le spese fossero o meno detraibili, appare delineato visto che la sentenza, nell’escludere la fondatezza delle ragioni di appello, ha seguito in maniera sommaria, ma inequivocabile, un percorso logico incompatibile con l’argomento riproposto dalla società ricorrente, avendo affermato che dalla documentazione non emergesse alcun documento utile per dimostrare che le prestazioni fossero state eseguite per finalità societarie nè che i costi fossero stati sostenuti. In sostanza il giudice di secondo grado ha applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova che non era stata data dal contribuente non essendo sufficiente la registrazione dei costi in contabilità ma gravando sul contribuente l’onere di dimostrare l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili. Nel caso, quindi in esame, la Commissione regionale ha fatto corretta applicazione dei criteri che governano l’onere della prova in materia di operazioni non deducibili, avendo escluso che le evidenze probatorie offerte dall’Ufficio potessero essere scalfite dalla documentazione proveniente dallo Studio Professionale, stesso ragionamento va seguito per il vizio di omessa pronuncia denunciato in relazione alla violazione dell’art. 12 St. (Ndr. Testo originale non comprensibile), comunque (Ndr. Testo originale non comprensibile) poichè trattasi di accertamento (Ndr. Testo originale non comprensibile) (la questione di diritto può essere decisa dalla Corte; 11073/20).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio sebbene oggetto di discussione tra le parti.

Ne discende che il preteso vizio di motivazione, nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 19547 del 4/8/2017).

Nella specie, come si è già evidenziato, non si individuano specificamente fatti storici decisivi il cui esame da parte della Commissione regionale sarebbe stato omesso o assolutamente insufficiente, ma si tende piuttosto a riproporre gli stessi elementi fattuali, tenuti presenti dal giudice regionale, al fine di una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata dalla Commissione tributaria regionale. In particolare i ricorrenti non considerano che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non è necessario che la motivazione prenda in esame, al fine di confutarle o di condividerle, tutte le deduzioni difensive svolte dalle parti, essendo sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenersi implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 12121 del 2/7/2004). Nel caso il giudice ha ritentuo che i contribuenti non avessero assolto l’onere circa la prova di aver sostenuto tali spese sulla base dei documenti prodotti il che esclude l’esistenza del lamentato vizio, ritenendo che le operazioni documentate dalla fatture fossero fittizie, anche alla luce della considerazione indicata che la compagine sociale della Multiservice srl, emittente la maggior parte delle fatture in contestazione, era composta da entrambi i due professionisti.

L’apprezzamento delle prove svolto dalla Commissione regionale risulta, dunque, esaustivo ed immune da vizi logici e le contestazioni svolte dalle parti contribuenti non tengono conto che la valutazione delle prove è attività riservata al giudice di merito cui compete anche la scelta, tra le prove stesse, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 13/6/2014, n. 13485; Cass. 15/7/2009, n. 16499).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 TUIR e successive modifiche in vigore dal 1.1.2002 ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale motivo appare inammissibile in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che non ha detto che i costi per produrre reddito non possono essere detratti ma solo che nel caso non vi era la prova che fossero stati sostenuti.

Le spese seguono la soccombenza e liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte:

Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2300,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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