Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16962 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 18/04/2016, dep. 11/08/2016), n.16962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22544-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresentata e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 4999-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 5002-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 5003-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 5005-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 5006-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

sul ricorso 5095-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MC BOLT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo

studio dell’avvocato TULLIO ELEFANTE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 223/2013 della COMM. TRIB. REG. della

CAMPANIA, depositata il 05/06/2013, e avverso le sentenze n.

6621/2014, n. 6622/2014, n. 6623/2014, 6624/2014, n. 6625/2014,

6626/2014, della COMM. TRIB. REG. della CAMPANIA depositate il

01/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI LAURA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ELEFANTE che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il n. r.g. 22544/13

l’accoglimento per quanto di ragione dei motivi n. 6 e 7, per i

restanti ricorsi ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. La Commissione Tributaria Regionale della Campania con la sentenza n. 223/15/2013, depositata il 05.06.2013, confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società “MC Bolt SRL” avverso l’avviso di rettifica emesso a seguito di accertamento del Reg. (CE) n. 2913 del 1992, ex art. 78, per dazi e dogane per gli anni 2009 e 2010 (RGN 22544/2013).

L’avviso traeva origine dalle operazioni di verifica condotte da funzionari dell’Ufficio Dogane a seguito di nota della Direzione Interregionale delle Dogane, Area Antifrode, avente ad oggetto “evasione di dazi antidumping su importazione di elementi di fissaggio in acciaio cinese”, emessa sulla scorta delle informative dell’OLAF (Ufficio Europeo Antifrode) nn. 2/2010 e 17/2010, con le quali era stata segnalata la possibilità di elusione dei dazi antidumping su elementi di fissaggio provenienti da Malesia, Singapore, Indonesia e Tailandia attraverso false dichiarazioni di origine della merce, di fatto prodotta in Cina, trasbordata in uno dei menzionati paesi e munita di false attestazioni di provenienza, al fine di eludere la normativa antidumping. Con l’avviso in questione era stato anche incrementato il valore doganale dei beni in ragione del valore delle provvigioni.

1.2. Il giudice di appello preliminarmente affermava che la motivazione dell’avviso di rettifica, dal quale emergeva chiaramente il contenuto del rapporto OLAF, anche se non allegato, era congrua e sufficiente.

Quindi affrontava la valutazione dell’efficacia probatoria delle note informative OLAF, trasfuse nell’avviso e ritenute inidonee dal primo giudice a confortare la fondatezza del rilievo circa la diversa origine delle merci rispetto a quella risultante dalle bolle doganali e tale da comprovare l’elusione e la violazione della normativa antidumping.

In proposito il giudice di appello riconosceva la valenza probatoria delle note informative OLAF e la loro idoneità a fondare il recupero a posteriori basato sulle risultanze degli atti ispettivi degli organismi antifrode comunitari, affermando quindi che, in conseguenza, spettava poi al contribuente, che contestava il fondamento della pretesa, dare prova contraria della sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo.

Passava, quindi, a valutare le risultanze probatorie acquisite nel corso del processo con particolare riguardo a quelle fornite dal contribuente. Innanzi tutto poneva in evidenza che la Agenzia si era limitata ad applicare le informative OLAF ed aveva omesso di compiere ulteriori specifiche attività investigative a conforto sul piano probatorio, pure suggerite dalla nota 35721/RU della Direzione Interregionale. Quindi affermava che il copioso materiale probatorio versato dalla parte privata, in attuazione del suo specifico onere probatorio sembrava escludere la ricorrenza di una ipotesi di falsa certificazione della provenienza delle merci e di elusione dei dazi. In particolare rilevava che risultavano provate il numero e la natura delle merci da esportare, la provenienza delle merci, il pagamento direttamente nei paesi di origine della merce stessa, l’ubicazione delle aziende esportatrici, il mezzo di trasporto, il tragitto, il porto di partenza e di arrivo, per cui l’appello di manifestava del tutto infondato.

Concludeva dichiarando che il separato motivo, relativo al computo degli incrementi delle provvigioni ai sensi dell’art. 32 CDC per la determinazione del valore doganale, era da ritenersi assorbito.

1.3. La Agenzia delle dogane e dei monopoli ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi, ai quali la società contribuente ha replicato con controricorso corredato da memoria ex art. 378 c.p.c..

2.1. Sulla scorta dell’avviso di rettifica e accertamento Reg. CE n. 2913, ex art. 76, autonomamente impugnato dalla contribuente con esito favorevole sia in primo, che in secondo grado con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 223/15/2013, prima esaminata, venivano dall’Agenzia delle Dogane di Napoli emessi una serie di avvisi di irrogazione di sanzioni nei confronti della società “MC Bolt SRL”, oggetto di separate impugnazioni.

2.2. Con la sentenza n. 6625/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 632/2012 (RGN 4999/2015).

Con la sentenza n. 6626/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 630/2012 (RGN 5002/2015).

Con la sentenza n. 6622/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 635/2012 (RGN 5003/2015).

Con la sentenza n. 6621/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 627/2012 (RGN 5005/2015).

Con la sentenza n. 6624/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 33/2012 (RGN 5006/2015).

Con la sentenza n. 6623/33/2014, la CTR della Campania confermava la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di irrogazione delle sanzioni n. 34/2012 (RGN 5095/2015).

2.3. Con separate decisioni di analogo contenuto, il giudice di appello, dopo aver rilevato che allo stato l’avviso di rettifica, che costituiva presupposto necessario dell’atto di irrogazione delle sanzioni, risultava annullato, affermava che ciò comportava come ineludibile conseguenza l’annullamento delle relative sanzioni.

Respingeva, quindi nel merito, i motivi di appello, confermando in particolare, la statuizione circa la assoluta carenza probatoria in ordine al provvedimento accertativo emesso dall’Agenzia delle Dogane.

Affermava che l’Agenzia, sulla base delle note informative provenienti dall’organismo OLAF, aveva eseguito una verifica fiscale nei confronti della contribuente, limitandosi ad individuare le importazioni provenienti dai Paesi indicati ed adducendo che le stesse fossero state poste in essere in evasione del dazio antidumping, senza tuttavia esporre le ragioni e gli elementi di fatto giustificativi della pretesa fittizietà delle importazioni. Secondo il giudice di appello l’accertamento tributario non poteva essere fondato sulla rispondenza della fattispecie concreta ad un fenomeno sia pure rilevante ed esistente, ma doveva fondarsi su specifici elementi probatori in base ai quali ricollegare un modello di comportamento fraudolento al fatto in concreto addebitato alla parte.

Quanto alla rettifica della base imponibile, costituita dal valore delle merci importate, sul quale andava applicato il dazio antidumping, operata dall’Agenzia nella misura del 10% ai sensi degli artt. 9 e 32 CDC per commissioni/provvigioni pagate alla ditta Maxway Trading Limited con sede in (OMISSIS), affermava che le commissione convenute con la società Maxway erano risultate commissioni di acquisto, pertanto non incidenti sulla base imponibile ai sensi dell’art. 32 CDC, comma 1, lett. i) e risultavano erogate a società residente a (OMISSIS), in Europa, e non assoggettabili a dazio dì importazione.

Sulla scorta di tali considerazioni dichiarava l’illegittimità delle sanzioni in contestazione.

2.4. La Agenzia delle entrate propone separati ricorsi per cassazione, ciascuno fondato su tre motivi di analogo contenuto, ai quali la società contribuente ha replicato con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente si deve procedere alla riunione dei ricorsi, aventi ad oggetto atti afferenti alla medesima vicenda e connessi sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

2.1. Il ricorso n. 22544/2013 è articolato su sette motivi.

2.2. Con il primo motivo è denunciata la violazione del R.D. n. 262 del 1942, art. 1 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, commi 2 e 3, (art. 360 c.p.c., comma 3).

La ricorrente, dopo aver osservato che ha costituito oggetto controverso nel processo se l’Agenzia avesse fondato l’atto impositivo su atti ispettivi ulteriori rispetto all’indagine OLAF, sostiene che erroneamente la Commissione ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo per il solo fatto che l’Agenzia non avrebbe svolto ulteriori indagini, come consentito dalla legge e previsto dalla circolare interna della Direzione Interregionale delle Dogane (nota 35721/RU). A parere della ricorrente l’attività investigativa ulteriore costituiva solo una facoltà rimessa all’A.D. e non un obbligo da assolvere, atteso che la circolare interpretativa non ha valore di legge, in ragione dell’art. 1 Preleggi, e pertanto non incideva sulla legittimità dell’atto impositivo.

2.3. Con il secondo motivo è denunciata la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012) costituito dal fatto se l’Agenzia avesse effettuato o meno atti ispettivi ulteriori rispetto all’indagine OLAF.

A parere della ricorrente, nello stesso testo della sentenza impugnata era riferito che l’avviso traeva origine dalle operazioni di verifica condotte da funzionari delle Dogane, a seguito di nota della Direzione Interregionale delle Dogane per la Campania e la Calabria, Area Antifrode, avente ad oggetto “evasione di dazi antidumping su importazione di elementi di fissaggio in acciaio cinese”, a conclusione delle quali era stato redatto un pvc, mentre nel prosieguo, contraddittoriamente, era affermata l’illegittimità dell’avviso di rettifica in quanto i verificatori si erano “esclusivamente limitati all’applicazione delle informative OLAF, omettendo qualsiasi attività di indagine e/o ispezione che, sulla scorta dei riferiti suggerimenti della Direzione Interregionale “confortasse”, sul piano probatorio l’ipotesi investigativa contenuta nelle menzionate note OLAF” e su tale circostanza era stato respinto l’appello.

2.4. Con il terzo motivo è denunciata la insufficienza motivazionale circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012) costituito dal fatto se l’Agenzia avesse effettuato atti ispettivi ulteriori rispetto all’indagine OLAF.

Secondo la ricorrente, la motivazione era insufficiente perchè la Commissione nel formulare il giudizio finale e decisivo di inesistenza di qualsivoglia attività di indagine dell’Agenzia, non aveva indicato i mezzi di prova oggetto del giudizio, nè illustrato le valutazioni delle risultanze di prova, nè la qualificazione datane nonchè l’inidoneità dei fatti di prova forniti dall’Amministrazione con il pvc prodotto in atti.

2.5. Con il quarto motivo è denunciata la insufficienza motivazionale circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012) costituito dal fatto se, come sostenuto dall’Agenzia in secondo grado, i certificati di origine fossero falsi, come risultante dal rapporto OLAF, adducendo la ragione che essi attestavano la provenienza da imprese di cui era stata appurata la incapacità produttiva, giacchè la Commissione non aveva illustrato come la documentazione versata in atti da controparte avesse potuto prevalere sull’indagine OLAF.

2.6. Con il quinto motivo è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 11, n. 5, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012) consistente nel fatto, allegato e provato dall’Agenzia, secondo la sua prospettazione, che l’impresa dichiarata come produttrice della merce esportata non aveva in realtà capacità produttiva, fatto sul quale la CTR aveva omesso la sua valutazione.

2.7. Con il sesto motivo è denunciato l’errar in procedendo/la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, nonchè con il principio di assorbimento in relazione al Reg. CE 12.10.1992, n. 2913/92, artt. 28, 29 e 32.

La Agenzia, dopo avere ricordato che aveva costituito specifico oggetto di doglianza in appello la violazione di legge insita nella sentenza di primo grado in ordine al rilievo afferente gli incrementi del valore doganale in considerazione delle provvigioni, censura la decisione della Commissione che, sul punto, aveva pronunciato affermando che la questione era assorbita dalla declaratoria di illegittimità dell’avviso di rettifica.

A sostegno del motivo osserva che il rilievo in questione toccava la questione del valore doganale delle merci, che non interferiva e non poteva essere pregiudicata dalla diversa questione della tariffa doganale da applicare, disciplinata dalla normativa antidumping.

2.8. Con il settimo motivo è denunciata la violazione del Reg. CE 12 ottobre 1992, artt. 29 e 32, n. 2913/92 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Sostiene la ricorrente che la sentenza è errata per avere disconosciuto l’incremento del valore doganale della merce, conseguente all’inclusione delle commissioni/provvigioni pagate, pur sussistendone i presupposti di legge.

3.1. Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

3.2. Va premesso, al riguardo, che con il termine dumping si indica – nel diritto comunitario ed internazionale, ma il concetto deriva dalla dottrina economica – una procedura di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero (mercato di importazione) ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione) del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione). I dazi antidumping consistono, pertanto, – sul piano generale – in misure che hanno lo scopo di evitare turbative della concorrenza derivanti dall’immissione nel mercato europeo di merci ad un prezzo ritenuto eccessivamente basso, rispetto a quello praticato nelle normali transazioni all’interno di tale mercato (Cass. 23381/09, 6250/2013).

A tal fine la normativa comunitaria antidumping di base, costituita dal regolamento (CE) del Consiglio 22.12.1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di Paesi non membri della Comunità europea (poi sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 30.11.2009, n. 1225), all’art. 1 dispone: 1) “un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio”; 2) “un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali”.

3.3. In questo contesto normativo, come già più volte ribadito da questa Corte con principi a cui intende darsi conferma, gli accertamenti compiuti a posteriori (di propria iniziativa o su segnalazione degli Stati membri) dagli organi esecutivi della Commissione per la lotta antifrode (OLAF), ai sensi del Reg. CE n. 1073/99, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziali e, quindi, possono essere posti a fondamento dell’avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo (Cass. n. 4997/2009).

Ne consegue che la pretesa di recupero dei dazi, azionata con avviso di accertamento, è congruamente e sufficientemente dimostrata ove si basi sulle risultanze di atti ispettivi (allegati o richiamati) degli organismi antifrode comunitari, come nella specie l’OLAF, salva la prova contraria della sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo fornita dal contribuente (Cass. nn. 23985/2008, 1583/2012, 19841/2012).

Dalla riconosciuta valenza probatoria degli accertamenti compiuti dall’OLAF discende inoltre che l’avviso di accertamento in materia doganale, fondato su verbali ispettivi del servizio antifrode della Comunità europea che hanno carattere riservato (Reg. CE n. 1073 del 1999, art. 8) ma possono essere utilizzati (e dunque anche prodotti del Reg. CE n. 515 del 1997, ex art. 45) dall’Amministrazione nei procedimenti giudiziali per inosservanza della regolamentazione doganale, deve ritenersi legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, e cioè riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati per relationem ancorchè non allegati (Cass. n. 23985 del 2008, cit.).

3.4. Con riguardo alla fattispecie in esame (fol. 2 del ricorso), si evince che nelle risultanze ispettive OLAF (Inf. 2/2010 e Inf. 17/2010) era stato descritto il meccanismo fraudolento messo in atto, mediante il trasbordo dei prodotti originari della Repubblica Cinese verso gli altri Stati ed era stata segnalata la falsità dei certificati di origine richiamati dalla contribuente, ottenuti sulla base di false dichiarazioni rese dalle autorità locali dai soggetti esportatori, e, pertanto attestanti un’origine non veritiera, al solo scopo di eludere la normativa antidumping, ed era emerso che la MC Bolt SRL aveva compiuto operazioni di importazioni di viti, merce che i verbalizzanti avevano riscontrato come proveniente da imprese che non avevano la capacità di produrre la merce importata.

3.5. Orbene, nel passare all’esame della sentenza, va osservato che la CTR, dopo avere correttamente richiamato questi principi, tuttavia, introduce alcune considerazioni circa l’opportunità, se non addirittura la necessità dell’espletamento di attività ispettive ulteriori da parte dell’Agenzia delle Dogane, alla luce della nota n. 35724/RU della Direzione Interregionale delle Dogane, per raccogliere altro materiale probatorio a conforto, indagini che nel caso di specie non sarebbe state espletate.

Su questo passaggio argomentativo, dal quale la Commissione non trae, peraltro, una espressa conclusione si concentra la critica portata dal motivo in esame.

3.6. Invero, la affermazione della CTR non convince. La nota richiamata, infatti, ha solo un contenuto operativo e suggerisce alcune modalità investigative ed operative, la cui valutazione, sul concreto ed eventuale espletamento, è riservata ai verificatori caso per caso: ne consegue che il mancato espletamento di ulteriori indagini non pregiudica la valenza probatoria delle indagini OLAF alla luce dei principi prima ricordati, cui consegue un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

3.7. Ciò premesso, va tuttavia considerato che la censura, non coglie la ratio decidendi espressa dalla Commissione, perchè l’argomento costituisce piuttosto un obiter dictum inidoneo a sostenere la pronuncia, fondata da un lato sull’espresso riconoscimento, contenuto in premessa, della valenza probatoria che accompagna le note dell’OLAF e la loro idoneità ad integrare una congrua e sufficiente motivazione dell’avviso di rettifica, e dall’altro dalla valutazione positiva dell’assolvimento dell’onere probatorio contrario da parte della contribuente, con una produzione documentale ritenuta idonea, con apprezzamento di merito estraneo al giudizio di legittimità e censurabile sul piano motivazionale, ove ne ricorrano presupposti.

4.1. Quanto ai motivi secondo, terzo e quarto, avanzati dalla difesa erariale in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va escluso, come eccepito anche dalla controricorrente, che siano scrutinabili in quanto, pur contendo un riferimento alla novella del 2012, sono formulati nei sensi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006.

4.2. Siccome la sentenza d’appello è stata pubblicata il 29.10.2012 (quindi dopo il l’11 settembre 2012, termine di decorrenza dell’applicazione della novella), il ricorso per cassazione è soggetto alla più restrittiva disposizione processuale introdotta dal c.d. e Decreto Sviluppo per circoscrivere l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al solo “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, invece espressamente denunciato nella specie col quinto motivo.

Sul punto le Sezione Unite, con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, hanno chiarito che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 – bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito. Non v’è dubbio, pertanto che, la nuova disciplina si applichi fattone temporis e ratione materiae anche all’odierno processo (cfr. Cass. n. 26860/2014).

5.1. In ordine al quinto motivo ricorre il diverso ed eccepito profilo d’inammissibilità per la ricorrenza della c.d. “doppia conforme”, in ragione delle pronunce dei due gradi di merito di analogo contenuto (art. 348 ter c.p.c.), che limita il ricorso ai motivi di cui ai del citato art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3), 4).

5.2. Infatti, ai sensi del dell’art. 54, comma 2, del cd. Decreto Sviluppo già citato (D.L. n. 83 del 2012, come conv.), le regole sulla “doppia conforme”, si applicano “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (12 agosto 2012), ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (v. Cass n 5528 del 2014, in motiv.; cfr. Cass. nn. 26860/2014, 5993/2016). Nella specie, il giudizio in grado di appello, che ha originato la sentenza impugnata col ricorso in esame, è stato introdotto sicuramente dopo l’11.09.2012, attesa la data di deposito della sentenza di primo grado (29.10.2012).

6.1. Il sesto motivo è fondato, poichè sul punto non si ravvisa autonoma pronuncia.

6.2. Anche il settimo motivo è fondato in quanto l’art. 32 CDC prescrive che per la determinazione del valore in dogana, ai sensi dell’art. 29, si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate le commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni d’acquisto e sul punto la Commissione Regionale dovrà procedere all’esame della questione con applicazione della normativa in esame.

7.1. Si deve quindi passare all’esame congiunto dei ricorsi nn. 4999/2015, 5002/2015, 5003/2015, 5005/2015, 5006/2015 e 5095/2015, il cui contenuto è identico, così come il contenuto delle sentenze impugnate e dei controricorsi.

8.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per disapplicazione dell’art. 295 c.p.c., nonchè la falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, con contestuale falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Sostiene la ricorrente che la CTR ha errato, avendo ritenuto la pregiudizialità della decisione sull’avviso di rettifica ancora non passata in giudicato, a non sospendere il giudizio sulle sanzioni ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

Ancora osserva che la CTR, non avendo sospeso il giudizio, è incorsa anche nella falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., per aver annullato l’atto irrogativo delle sanzioni, nonostante l’annullamento giurisdizionale dell’atto presupposto non fosse passato in giudicato.

8.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, commi 2 e 3, in combinato disposto con il Reg. CE n. 1073 del 25.05.1999, art. 9 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo la ricorrente, la Ctr erroneamente ha ritenuto illegittimo l’atto irrogativo delle sanzioni per il solo fatto che l’Agenzia non avrebbe esercitato alcuna di quelle facoltà che le sono concesse per legge, laddove cit. si trae la norma che l’Agenzia ha la facoltà e non l’obbligo di chiedere notizie e documenti al contribuente nonchè di accedere nei luoghi dell’impresa per procedere ad ispezione o a verifica della documentazione di impresa.

A parere della ricorrente, premesso che in appello era controversa la circostanza che l’Agenzia avesse fondato l’atto impositivo soltanto sul rapporto OLAF, la CTR aveva errato nel ritenere illegittimo l’atto impositivo perchè fondato esclusivamente sul rapporto OLAF, poichè l’Agenzia ha la facoltà e non l’obbligo di richiedere notizie e documenti al contribuente, nonchè di accedere nei luoghi dell’impresa per procedere ad ispezione o a verifica della documentazione di impresa.

8.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Dopo aver ricordato di avere sostenuto nell’atto difensivo di secondo grado che i certificati di origine erano falsi, come risultava, dal rapporto OLAF, adducendo che essi attestavano la provenienza da imprese di cui era stata appurata la incapacità produttiva, sostiene che, quindi, la veridicità o meno dei certificati di origine aveva costituito un fatto controverso nel giudizio di secondo grado che si connotava di decisività, attesa la pronuncia della CTR fondata sulla carenza probatoria, fatto del quale la CTR aveva omesso l’esame.

9.1. Il primo motivo è inammissibile e va respinto perchè non coglie la ratio decidendi della pronuncia in esame.

La CTR, infatti, non ha fatto applicazione del giudicato, come si evince dalla pronuncia stessa, ove è chiarito che la sentenza richiamata non era definitiva, ma ha sviluppato un percorso logico/argomentativo nel merito, sulla scorta dell’esame dei fatti, nel segno della condivisione dei contenuti della decisione pronunciata sull’avviso di rettifica.

9.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto, sostanzialmente sollecita una nuova valutazione del merito, inammissibile in sede di legittimità, come eccepito dalla contro ricorrente.

9.3. Quanto al terzo motivo ne va dichiarata l’inammisiblità in ragione della ricorrenza della cd. “doppia conforme” per le ragioni già espresse sub 5.1. e ss. Nella specie, il giudizio in grado di appello, che ha originato la sentenza impugnata col ricorso in esame, è stato introdotto sicuramente dopo l’11.09.2012, attesa la data di deposito della sentenza di primo grado (24.12.2012).

10. La decisione adottata rende non necessario, in quanto non decisivo, l’esame del regolamento (UE) n. 2016/278 del 26.02.2016, depositato dalla controricorrente con le memorie; regolamento relativo, peraltro, solo a prodotti provenienti dalla Malesia.

11.1. In conclusione, il ricorso n. 22544/2013 va accolto sui motivi sesto e settimo, inammissibili i motivi primo, secondo, terzo, quarto e quinto e la sentenza impugnata va cassata; i ricorsi nn. 4999/2015, 5002/2015, 5003/2015, 5005/2015, 5006/2015 e 5095/2015 vanno rigettati per inammissibilità dei motivi. Il procedimento come riunito va rinviato ad altra sezione della CTR della Campania per il riesame sui motivi accolti.

11.2. La Commissione Regionale in sede di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità per l’intera controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte di cassazione, riuniti i ricorsi nn. 22544/2013, 4999/2015, 5002/2015, 5003/2015, 5005/2015, 5006/2015 e 5095/2015, accoglie il ricorso n. 22544/2013 sui motivi sesto e settimo, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in altra composizione per il riesame, e rigetta tutti gli altri ricorsi per inammissibilità dei motivi;

rinvia alla Commissione Regionale per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità dell’intero procedimento riunito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 18 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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