Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16959 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 16/06/2021), n.16959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SAJIA Salvatore – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 12736 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Made in Italy, s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Tullio Elefante per

procura speciale a margine del controricorso, presso il cui studio

in Roma, via Cardinal de Luca, n. 10, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 178/12/13, depositata in data 13

novembre 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 14 ottobre

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate, a seguito di controllo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, sulle dichiarazioni Mod. Unico 760/2008 e 770/2008, aveva notificato a Made in Italy s.r.l. una cartella di pagamento a titolo di omesso versamento Iva, Ires e Irap, oltre interessi e sanzioni; la società aveva proposto ricorso avverso la suddetta cartella deducendo che, per errore materiale, aveva omesso di indicare gli acquisti effettuati, sia in sede di compilazione dei quadri Iva che di quelli RF e IQ, e che, non essendo stata ad essa inviata la comunicazione di irregolarità, non aveva potuto provvedere ad integrare le dichiarazioni entro i termini di legge; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha parzialmente accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: nella fattispecie era obbligatoria la notifica della comunicazione preventiva di irregolarità, in quanto la mancata indicazione dei costi sostenuti avrebbe dovuto far sorgere il dubbio all’amministrazione finanziaria circa la non correttezza della dichiarazione; non vi era prova dell’invio della suddetta comunicazione relativamente alla contestazione sul mod.760, mentre l’invio era pacifico per il mod. 770; l’adempimento della suddetta comunicazione era da considerarsi obbligatorio; nel caso di specie, non era oggetto di contestazione la sussistenza dell’errore nella dichiarazione; l’emendabilità della dichiarazione per errore è consentita senza limiti di tempo;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

per motivi di ordine logico-sistematico si rende necessario esaminare in via prioritaria il secondo motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, per avere ritenuto che, nella fattispecie, era necessario l’invio della comunicazione preventiva di irregolarità, tenuto conto del fatto che l’iscrizione a ruolo era avvenuta a seguito della verifica dell’omesso versamento degli importi risultanti dalla dichiarazione della stessa contribuente;

il motivo è fondato;

questa Corte (Cass. civ., 8 novembre 2017, n. 26450) ha più volte affermato principio secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 (in materia di tributi diretti) ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3 (in materia di IVA), prevedono l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità soltanto nelle ipotesi in cui dai controlli automatici emerga “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” oppure dai controlli effettuati dall’Ufficio ai sensi del comma 2-bis, tesi a verificare il tempestivo versamento delle imposte prima della presentazione della dichiarazione, emerga “un’imposta o una maggiore imposta”, avendo la finalità di “evitare la reiterazione di errori e… consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”;

sicchè, in difetto del presupposto della sussistenza di un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione o dell’accertamento di una imposta maggiore o diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo, alcun invito preventivo a chiarimenti deve essere inviato al contribuente dalla Amministrazione finanziaria, mentre, nel caso in cui, invece, dal controllo emerga un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione e l’amministrazione finanziaria proceda all’iscrizione a ruolo senza il preventivo invio di un avviso bonario, non si determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, ciò proprio in considerazione del fatto che l’adempimento è rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell’interessato, sicchè lo stesso è da porsi al di fuori dell’ambito dell’esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio;

su un diverso piano si colloca la previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, che prevede l’obbligo, questa volta a pena di nullità dell’iscrizione a ruolo, di invio della comunicazione di irregolarità della dichiarazione presentata dal contribuente, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (Cass. civ., n. 7536 del 2011, n. 795 dei 2011, n. 8342 del 2012, n. 459 del 2014, n. 12023 del 2015, n, 15740 del 2016), che è situazione che non ricorre (o comunque non necessariamente ricorre) nel caso dei controlli automatizzati, che suppongono un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo;

con riferimento alla fattispecie, è pacifico che le somme richieste erano relative a quanto dichiarato a titolo di Iva, Ires e Irap nelle dichiarazioni annuali, sicchè la pretesa di pagamento fatta valere con la cartella di pagamento aveva un contenuto meramente liquidatorio degli importi dichiarati, sicchè non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto necessario l’invio della comunicazione preventiva di irregolarità;

le considerazioni espresse con riferimento al secondo motivo di ricorso hanno valore assorbente del primo motivo con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo e controverso relativo alla prova dell’invio della comunicazione preventiva;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, per avere ritenuto che, posto che non era in contestazione l’esistenza dell’errore nella dichiarazione, la stessa poteva essere emendata senza limiti di tempo;

il motivo è fondato, per quanto di ragione;

la questione attiene, in particolare, alla emendabilità della dichiarazione presentata dal contribuente e, sotto questo profilo, occorre fare una considerazione differenziata relativamente alla pretesa avente ad oggetto le imposte dirette rispetto a quella relativa all’Iva;

in particolare, questa Corte ha precisato che, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, se diretta ad evitare un danno per la pubblica amministrazione (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass. Sez. U, 30 giugno 2016, n. 13378; Cass. civ., 10 marzo 2021, n. 6629);

in particolare, è stato chiarito che la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il disposto dell’art. 10 Statuto del contribuente (secondo cui i rapporti fra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede), il principio di capacità contributiva nonchè il diverso piano sul quale operano le norme in tema di accertamento e riscossione, comportano l’inapplicabilità in sede giudiziaria delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa, con la conseguenza che il contribuente può opporsi, in detta sede, alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria;

in sostanza, la possibilità di opporre senza limiti di tempo, anche in sede contenziosa la sussistenza di errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, è strettamente connessa alla circostanza che sia certa l’esistenza dell’errore nella dichiarazione e che lo stesso sia stato fatto valere con la dichiarazione integrativa o, comunque, in sede giudiziale;

sotto tale profilo, non correttamente parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto emendabile la dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette, stante i termini di decadenza di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, potendo, come detto, il contribuente opporsi alla pretesa tributaria anche in sede contenziosa;

in relazione a tale ultimo profilo, la sentenza del giudice del gravame ha accertato che: “Nel caso in esame non è contestata in fatto la sussistenza del rilevante errore nella dichiarazione”, ed ha, altresì, precisato, in sede di svolgimento del fatto, che la contribuente aveva illustrato “l’errore commesso e richiamata la relativa documentazione (partitari di contabilità e registri Iva)”, sicchè la questione della emendabilità della dichiarazione mediante contestazione della pretesa in sede di giudiziale è risultata essere stata prospettata dalla contribuente e ritenuta correttamente proposta dal giudice del gravame,

alle superiori considerazioni, tuttavia, va aggiunto che, in materia di Iva, questa Corte (Cass., Sez. Un., 8 settembre 2016, n. 17757; Cass. civ., 23 febbraio, 2018, n. 4392; Cass. civ., 13 giugno 2018, n. 15459) ha precisato che, in conformità agli assunti della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, semprechè risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente ha rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, non può essere negato il diritto alla detrazione se risulti dimostrato in concreto, o non sia controverso, che si tratta di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili;

il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto), purchè siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione; la sussistenza di tali requisiti esclude difatti la rilevanza dell’assenza di quelli formali, sempre che sia rispettata la cornice biennale prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 per l’esercizio del diritto di detrazione;

la questione, pertanto, si sposta su un piano esclusivamente di natura probatoria: l’infrazione è da ritenere emendabile sul piano del rapporto impositivo quando si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, semprechè non risulti in concreto impedita la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali (Cass. civ., 17 marzo 2017, n. 6921);

sicchè, il motivo di ricorso è fondato con riferimento alla parte della sentenza che ha ritenuto emendabile la dichiarazione senza limiti di tempo anche in relazione all’Iva, dovendo, invece, accertare il rispetto della cornice biennale, secondo i principi giurisprudenziali indicati;

in conclusione, è fondato il secondo motivo, è altresì fondato, per quanto di ragione, il terzo motivo, assorbito il primo, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, quest’ultimo per quanto di ragione, assorbito il primo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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