Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16955 del 11/08/2016

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 17/02/2016, dep. 11/08/2016), n.16955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2512-2010 proposto da:

GRUPPO LEPETIT SRL, in persona del suo Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIUSEPPE AVEZZANA 45, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LEO,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

GRUPPO LEPETIT SRL in persona del suo Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIUSEPPE AVEZZANA 45, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LEO,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente a ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 83/2008 della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA,

depositata il 18/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LEO che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLELLI che si riporta per

il ricorso principale e chiede l’accoglimento del ricorso

incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con avvisi di accertamento emessi ai fini IVA per l’anno di imposta 2001 e per l’anno 2002 anche ai fini IRPEG ed IRAP, l’Agenzia delle entrate contestava alla società contribuente l’omessa fatturazione di operazioni imponibili e, per l’anno 2002, provvedeva a recuperare a tassazione anche maggiori ricavi, costi indeducibili, non inerenti o non di competenza, così come accertato a seguito di verifica fiscale compendiata in apposito processo verbale di constatazione.

La società contribuente impugnava separatamente gli avvisi dinanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano che respingeva (con sentenza n. 259 del 2007) il ricorso proposto dalla società avverso l’avviso di accertamento (relativo all’anno di imposta 2001, mentre (con sentenza n. 260 del 2007) accoglieva parzialmente quello proposto avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2002.

La contribuente, quindi, proponeva appello avverso la prima sentenza mentre nei confronti della seconda sentenza della CTP di Milano proponeva appello principale l’Agenzia delle entrate ed appello incidentale la contribuente.

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 83 del 2008, riuniti i giudizi, rigettava l’appello proposto dalla società avverso la prima sentenza della CTP confermando l’avviso di accertamento ai fini IVA relativo all’anno di imposta 2001, rigettava l’appello incidentale proposto dalla contribuente avverso la seconda sentenza della CTP, mentre accoglieva parzialmente l’appello avverso tale sentenza proposto dall’Agenzia delle entrate, rideterminando i maggiori ricavi ed i costi non detraibili ai tini Irpeg ed Irap nonchè l’imposta evasa e quella indeducibile ai fini Iva.

Sosteneva il giudice di merito, per quanto qui ancora di interesse:

– in relazione alle omesse fatturazioni di operazioni imponibili, che gli importi fatturati alla società statunitense Procter & Gamble Company in esenzione IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), costituendo contributo in denaro pattuito per un’obbligazione specifica (nella specie, la vendita del prodotto “(OMISSIS)”) e commisurato alle vendite del prodotto, e quindi sussistendo l’onerosità del titolo ed il nesso diretto tra servizio reso e controvalore ricevuto, andava assoggettato ad IVA in quanto rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 3 citato D.P.R.;

– in relazione ai costi per servizi di natura promozionale riaddebitate alla contribuente dalla consociata Aventi Pharma di (OMISSIS), che l’antieconomicità di prestazioni rese per la promozione di un marchio non era idonea a giustificare la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio;

– in relazione alle spese di marketing riaddebitate alla contribuente da una società avente sede in (OMISSIS), e cioè in un Paese a fiscalità privilegiata, che la mancata separata annotazione nella dichiarazione dei redditi era stata sanata dalla presentazione della dichiarazione integrativa, e che l’antieconomicità dei costi sostenuti per la promozione in quel Paese del prodotto “(OMISSIS)” non era idonea a giustificare la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio, non potendoci essere correlazione tra costi promozionali e risultati che ne derivano;

– in relazione alle spese per la revisione del bilancio, che erano condivisibili le motivazioni addotte sul punto dalla CTP e che era equo ripartire tali spese in modo forfettario (tra la contribuente e la casa – madre francese Aventis Pharma SA);

– in relazione ai costi relativi a royalties corrisposte ad una società giapponese, che la società aveva documentato le vendite del prodotto “(OMISSIS)” con fatture emesse nei confronti della casa-madre Aventis Pharma SA. La sentenza della CTR e impugnata per cassazione dalla società contribuente che deduce due motivi.

L’Agenzia replica con controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

La ricorrente replica a sua volta con controricorso al ricorso incidentale dell’Agenzia e deposita memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

A. Il ricorso principale.

1. Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente censura sotto il profilo del difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quella parte della sentenza di appello che aveva riconosciuto la legittimità della ripresa a tassazione, per gli anni 2001 e 2002, di operazioni commerciali che la società contribuente aveva invece erroneamente ritenuto non assoggettabili ad IVA. Si tratta, in particolare, degli importi fatturati alla società statunitense Procter & Gamble Company in esecuzione del contratto di commercializzazione (più precisamente, di “collaboration agreement”) di prodotti farmaceutici a base di risedronate (nella specie l'(OMISSIS)) attuata nella forma del co-marketing (in base al quale il prodotto approda sul mercato con due nomi commerciali distinti e a cura ed onere di ciascuna società) contenente una clausola che consentiva al Gruppo Lepetit s.p.a. di ottenere dalla società statunitense (fomitrice del prodotto medicinale di base) il rimborso dei maggiori costi sopportati nella fase “di inserimento e di prima penetrazione” (così a pag. 7 del ricorso) del prodotto sul mercato nazionale.

Si duole la società ricorrente del fatto che il giudice di merito, con motivazione sostanzialmente inesistente – laddove aveva omesso di pendere in considerazione tutta una serie di argomentazioni svolte a sostegno della natura meramente indennitaria delle somme fatturate alla società statunitense -, comunque insufficiente o contraddittoria – “per le affermazioni che la compongono”, “assiomatiche (quali i richiami all’obbligazione specifica” ed alla “sussistenza di un nesso diretto tra il servizio reso ed il controvalore ricevuto”) o tra loro incompatibili (… a proposito… delle nozioni di onerosità e corrispettività)” (così a pag. 46 del ricorso) – aveva ritenuto assoggettabili all’imposta sul valore aggiunto, a titolo di prestazioni di servizi, delle operazioni economiche onerose ma non corrispettive, come quelle previste nella sopra citata clausola contrattuale.

1.1. Il motivo è inammissibile per diverse ragioni.

1.2. Innanzitutto perchè la censura non è stata proposta in conformità al paradigma previsto per la formulazione di detto motivo dall’art. 366 bis c.p.c., mancando il c.d. “momento di sintesi”.

Deve premettersi che nella specie non vi è dubbio, stante la data di pubblicazione della sentenza impugnata (18 dicembre 2008), che vada applicato il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., inserito nel codice di rito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), con decorrenza dal 4 luglio 2009 in forza della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima legge, stante l’univoca volontà del legislatore di assicurarne l’ultra-attività e, quindi, l’applicabilità anche ai ricorsi proposti in data successiva all’abrogazione (ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; n. 14087 del 2014).

Ciò posto, deve rilevarsi che l’esposizione del motivo di censura in esame si conclude soltanto con l’indicazione del “fatto controverso” (nella specie “costituito dall’esistenza o meno di un rapporto di corrispettività tra la dazione della società americana ed il comportamento dell’odierna ricorrente”) che è del tutto insufficiente, occorrendo che, alla “enunciazione dello specifico fatto controverso, in ordine al quale sussisterebbe il detto vizio, e della sua rilevanza ai fini della decisione”, il ricorrente evidenzi anche “quanto occorre per poter cogliere la fondatezza della censura” (in tal senso, ex multis, Cass. S.U., n. 16528 del 2008). D’altro canto questa Corte ha ripetutamente precisato (da ultimo in Cass. n. 14087 del 2014; conf. Cass. n. 16158 del 2015) che “la chiara indicazione” richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., in relazione al vizio motivazionale deve consistere in un elemento espositivo che rappresenti un quid pluris rispetto alla mera illustrazione delle critiche alla decisione impugnata, imponendo un contenuto specifico autonomamente e immediatamente individuabile, volto a circoscrivere i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (cfr. Cass. 10 ottobre 2007, n. 20603). Tale requisito non può, dunque, ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002)”£.

1.3. Le censure che il ricorrente propone alla motivazione della sentenza di merito e che si basano – come già rilevato – sull’erronea attribuzione della natura corrispettiva, piuttosto che indennitaria, alle somme fatturate alla società statunitense emergenti da tutta una serie di profili completamente trascurati dal giudice di appello (tra le altre, il diverso ruolo economico svolto dalle due società; l’autonomo interesse perseguito dalla società ricorrente, desumibile dall’aver operato in co-marketing con al società statunitense; la previsione di corresponsione di marketing allowances solo per le fasi di pre-lancio e lancio del prodotto farmaceutico; la mancata previsione di sanzioni per il caso di inadempimento o di ritardo nella corresponsione di dette somme), tendono in realtà a sollecitare, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati daì giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n. 4048 del 2016; n. 12984 del 2006; Cass. n. 5443 del 2006).

1.4. Il motivo di ricorso in esame è anche privo di autosufficienza in quanto la ricorrente non ha trascritto (se non in lingua originale e senza traduzione) nè la clausola contrattuale che le consentiva di ottenere dalla società statunitense (fornitrice del prodotto medicinale di base) il rimborso dei maggiori costi sopportati nella fase “di inserimento e di prima penetrazione” del prodotto sul mercato nazionale, racchiusa nell’ultima parte dell’art. 5, lett. H, del “Collaboration agreement by and between Procter & Gamble Company and Procter & Gamble Pharmaceuticals Inc. and Hoechst Aktiengesellschaft” del 30 aprile 2007, nè quest’ultima parte dell’agreement (o le parti essenziali dell’accordo), così impedendo a questa Corte di effettuare il necessario vaglio del suo contenuto e della correttezza o meno della lettura che ne aveva fatto il giudice di prime cure.

1.5. Il motivo, quindi, va dichiarato inammissibile.

2. Non miglior sorte subisce il secondo motivo proposto dalla società contribuente, avente ad oggetto la medesima doglianza ma declinato come violazione e falsa applicazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1, e art. 15, comma 1, n. 1,) e concluso con il seguente quesito di diritto: “è vero che le prestazioni di servizio fiscalmente rilevanti ai fini dell’assoggettabilità all’iva sono quelle che comportano un preciso e dimostrato nesso di corrispettività giuridica tra le prestazioni (piuttosto che semplice nesso di onerosità e di causalità economiche tra le obbligazioni) e che il tributo sul valore aggiunto, di conseguenza, non trova applicazione allorchè una società farmaceutica intende sostenere l’attività di un’altra, nell’interesse suo proprio di produttore della materia prima medicinale (e senza obbligare quest’ultima, che riveste il ruolo di co-marketer, e non di co-promoter)?”.

2.1. Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito che lo conclude e per erronea individuazione della tipologia di vizio denunciato.

2.2. Quanto al primo profilo, è evidente che il quesito così come formulato non è idoneo ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia e cioè a fungere da “punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico” (ex multis, Cass. n. 10758 del 2013; v. anche Cass. S.U. n. 18759 e n. 26020 del 2008 e n. 7197 del 2009, secondo cui “il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata”).

2.3. Quanto al secondo profilo di inammissibilità del motivo in esame, la denunciata violazione delle disposizioni in materia di IVA attribuita al giudice di appello per aver ritenuto applicabile la predetta imposta ad operazioni economiche che, in base agli accordi contrattuali, dovevano ritenersi onerose ma non corrispettive, non è accertabile senza la preventiva interpretazione della clausola contrattuale di cui si è detto esaminando il primo motivo di ricorso. Ma l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo dell’error in iudicando” solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (nella specie mai dedotta dalla ricorrente), ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (in tal senso, Cass. n. 11699 del 2013).

B) Il ricorso incidentale.

3. Con il ricorso incidentale l’Agenzia ha dedotto quattro motivi.

4. Nel primo motivo ha censurato la sentenza di appello per vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione alla ripresa a tassazione delle spese per servizi promozionali riaddebitate alla contribuente dalla consociata Aventi Pharma di (OMISSIS), sostenendo di non aver mai dedotto l’antieconomicità di quelle prestazioni, su cui invece la CTR aveva fondato la decisione, ma di avere sostenuto: a) che “la presunta presenza di “ragioni economiche” non comportava la sussistenza dei presupposti “giuridici” per la deducibilità, che risultavano assenti”; b) “che la società italiana partecipava alle spese di natura promozionale sostenute dalla società praghese senza che vi fosse una diretta attinenza con la propria attività e senza che fossero provate le prestazioni che si sosteneva essere state effettuate nei propri confronti”. In pratica, la difesa erariale, così come correttamente esposto nel quesito di fatto che conclude il motivo, lamenta che il giudice di appello non aveva motivato sulla dedotta indeducibilità di quelle spese per difetto di prova della loro effettiva sussistenza, dell’attinenza e dell’inerenza con l’attività svolta dalla contribuente.

4.1. Il motivo è fondato e va accolto.

4.2. Nella sentenza impugnata la CTR dà atto che in relazione a tali costi il rilievo mosso dall’Ufficio con l’avviso di accertamento (pag. 3 della sentenza) ed il motivo di appello proposto sul punto (pag. 9) riguardavano l’antieconomicità dell’operazione e la mancata esibizione della documentazione necessaria a dimostrare l’esistenza dei servizi ricevuti dalla società italiana, ed ha affermato (pag. 18) che non poteva “essere motivo di rettifica la antieconomicità di un’operazione relativa a servizi per la promozione di un marchio” in quanto “Il costo della promozione di un marchio deve essere valutato nel tempo ed in ogni caso non può esserci correlazione tra un costo promozionale e i risultati che ne derivano”. Così statuendo, però, i giudici di appello hanno esaminato il profilo dell’antieconotnicità dell’operazione che l’Amministrazione finanziaria neanche aveva dedotto, omettendo di prendere in considerazione la circostanza, invece dedotta dall’Ufficio con il motivo di appello proposto sul punto (che, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, è stato trascritto alle pagine 3 e 4 del controricorso), in ordine alla mancata esibizione da parte della società contribuente della documentazione necessaria a dimostrare l’effettività oltre che l’inerenza di quella spesa.

Il denunciato vizio motivazionale è quindi palese in quanto dal sopra trascritto contenuto motivazionale della sentenza impugnata emerge con tutta evidenza che i giudici di merito hanno omesso l’esame di un punto decisivo della controversia, consistente nella verifica dei presupposti legittimanti il diritto alla deduzione dei costi, quali la loro effettiva sussistenza ed inerenza, che era questione introdotta, perchè contestata, dall’Agenzia appellante e che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito ad accertare, fornendo adeguata motivazione, se la prova dei costi deducibili, gravante sul contribuente, fosse stata nella specie opportunamente documentata, in modo tale da ricavare da essa anche “l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso” (Cass. n. 16853 del 2013) rispetto all’attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, tenendo presente che, così come più volte ribadito da questa Corte (ex multis, Cass. 1465 del 2009) il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con una attività “potenzialmente” idonea a produrre utili.

5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la difesa erariale ha censurato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la decisione del giudice territoriale che, in violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10 e 11, (così come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1), aveva ritenuto di annullare le riprese a tassazione derivanti da disconoscimento dei costi sostenuti per la commercializzazione del prodotto “(OMISSIS)” riaddebitate alla contribuente da una società avente sede in (OMISSIS), e cioè in un Paese a fiscalità agevolata, sul presupposto della presentazione da parte della contribuente della dichiarazione integrativa di cui al citato D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis (fatta per rimediare all’omessa separata indicazione di quei costi nella dichiarazione dei redditi), ed in assenza della dimostrazione della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11 (e cioè che la controparte estera svolge effettivamente attività commerciale ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno avuto concreta esecuzione).

5.1. La censura è inammissibile per genericità del quesito che la conclude (Cass. S.U. n. 21672 del 2013; Sez. 5^, n. 3530 del 2012; Cass., ord. n. 4044 del 2009), in quanto lo stesso si risolve nella richiesta a questa Corte di stabilire se sia stata violata la norma di cui all’art. 110, comma 11 TUIR. 5.2. Inoltre, il motivo in esame è inammissibile anche sotto il diverso ed ulteriore profilo dell’erronea individuazione della tipologia di vizio denunciato, perchè, stando al contenuto del motivo di appello proposto sul punto alla CTR (trascritto alle pagine 6, 7 e 8 del ricorso), in realtà l’Agenzia censura come errore di diritto l’omessa motivazione del giudice di merito sulla questione della mancata prova, da parte della società contribuente che ne era gravata, della sussistenza delle condizioni sostanziali per l’esercizio del diritto alla deduzione dei costi, previste dall’art. 110, comma 11 TUIR. 5.3. Infine, la censura anche infondata, in quanto dalla motivazione della sentenza impugnata, e segnatamente nell’affermazione che “i costi sono stati sostenuti per la commercializzazione del prodotto (OMISSIS) sul territorio della (OMISSIS)”, si desume che i giudici di appello hanno compiuto quell’accertamento che la difesa erariale erroneamente ritiene omesso.

6. Con il terzo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene inerenti e deducibili le spese di revisione del bilancio, ripartendole in modo forfetario tra la società contribuente e la casa-madre francese, rinviando alle motivazioni della sentenza di primo grado, che dichiarava di condividere, senza tener conto delle motivazioni addotte con l’atto di appello, con riferimento al fatto che: a) i costi derivavano dall’attività di revisione effettuata dalla PriceWaterhouseCoopers al fine della stesura del rendiconto finanziario consolidato della casa-madre francese Aventis Pharma SA; b) la documentazione prodotta attestava che la prestazione andava ad esclusivo vantaggio di quest’ultima; c) i costi non avevano alcuna attinenza con l’attività della società italiana; d) le “Guidelines” dell’OCSE ritenevano non giustificato il pagamento di detta prestazione da parte della società beneficiaria, trattandosi di attività che era tipica espressione della qualità di azionista della capogruppo.

6.1. Il motivo è fondato e va accolto.

6.2. Costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Cass. S.U. n. 5612/1999; conf. sent. n. 2196 del 2003 e n. 7347 del 2012, ord. n. 11138 del 201 I e n. 28113 del 2013) che la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto.

Deve, viceversa, essere cassata la sentenza d’appello quando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello, sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi del gravame.

Nel caso di specie, a fronte della prospettazione in appello che “Dalla documentazione esibita dalla società risulta che la revisione è finalizzata al soddisfacimento di esigenza della capogruppo e quindi privo del requisito di inerenza” (pag. 10 della sentenza impugnata), la CTR si è limitata ad affermare che “Questa Commissione condivide le motivazioni della sentenza impugnata e ritiene equo ripartire in modo forfetario le spese per revisione bilancio”, omettendo, quindi, di dare conto delle ragioni di condivisione del precedente pronunciamento e di confutare le censure contro di essi formulate con il motivo di gravame.

7. Con il quarto motivo l’Agenzia deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento ai costi relativi al pagamento di royalties a società giapponese per l’utilizzo del principio attivo “(OMISSIS)” e l’uso del marchio “(OMISSIS)” per la commercializzazione in Italia di una specialità contenente il “(OMISSIS)”, considerava esaustiva, ai fini della prova dell’inerenza di quei costi, la mera dimostrazione della vendita del prodotto “(OMISSIS)” alla Aventis Pharma SA. 7.1. Il motivo è inammissibile perchè, benchè richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. (ormai abrogato, ma ancora applicabile ratione temporis nella presente fattispecie), non presenta il quesito di fatto che deve corredare la denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata (cioè quel “momento di sintesi” estrinsecantesi in quell’indicazione riassuntiva e sintetica, che circoscrivendo puntualmente i limiti delle censure, consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità delle doglianze – cfr., ex plurimis, Cass. n. 16158 del 2015; n. 12576 del 2011; n. 20603 del 2007; ord. n. 16002 del 2007; Cass. S.U.11. 20603 del 2007).

8. Conclusivamente, quindi, vanno accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso incidentale e rigettati gli altri, vanno dichiarati inammissibili i motivi di ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso incidentale, rigetta gli altri, dichiara inammissibili i motivi di ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 17 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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