Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16948 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 10/08/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 10/08/2016), n.16948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6218-2014 proposto da:

D.C.A., nella qualità di titolare dell’omonima ditta

individuale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA V. BACHELET 12,

presso l’avvocato CARLO DALLA VEDOVA, che lo rappresenta e difende,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SCOTCH WHISKY ASSOCIATION, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 51,

presso l’avvocato MARCELLO CARDI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIO FRANZOSI, VINCENZO JANDOLI, FEDERICA

SANTONOCITO, giusta procura speciale per Notaio MAGNUS VON SCHUTZ

CORMACK di EDIMBURGO del 7.4.2014, con apostille del 9.4.2014;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato C. DALLA VEDOVA che si riporta

per l’accoglimento;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato V. JANDOLI che si riporta

per il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La Scotch Whisky Association ha convenuto in giudizio D.C.A. dinanzi al Tribunale di Lanciano, all’esito di una precedente fase cautelare conclusasi con il sequestro del prodotto, delle etichette e delle scritture contabili, lamentando che il convenuto avesse commercializzato in Italia ed in Inghilterra due whisky denominati rispettivamente “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, che whisky non erano nè tantomeno whisky scozzese.

L’associazione attrice ha sostenuto che detta condotta costituiva concorrenza sleale ed ha chiesto condanna del D.C. al risarcimento del danno.

D.C.A. ha resistito alla domanda sostenendo di essersi limitato ad acquistare il prodotto sfuso da Polini S.r.l., chiedendo ed ottenendo autorizzazione a chiamare in causa tale società per esserne eventualmente garantito.

Polini S.r.l. ha resistito alla domanda spiegata nei suoi confronti evidenziando di aver venduto al D.C. un prodotto che egli sapeva perfettamente non essere whisky scozzese.

2. – Il Tribunale adito ha dichiarato che la commercializzazione dei prodotti “Scottish Sworsdman” e “(OMISSIS)” da parte del D.C. costituiva attività di concorrenza sleale ed ha condannato lo stesso convenuto al risarcimento del danno cagionato all’associazione attrice, quantificato in complessivi Euro 113.620,50, oltre accessori, rigettando viceversa la domanda di garanzia spiegata nei confronti di Polini S.r.l..

3. – Interposto appello dal D.C., nel contraddittorio con la Scotch Whisky Association e con Polini S.r.l., che vi hanno resistito, mentre la sola associazione ha proposto appello incidentale, la Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del 15 gennaio 2013 ha respinto l’impugnazione principale ed accolto quella incidentale, condannando il D.C. al pagamento in favore dell’originaria attrice, a titolo di danno all’immagine commerciale, del maggior importo di Euro 30.000,00, ed ordinando la pubblicazione del dispositivo della sentenza su due quotidiani.

Ha ritenuto la Corte territoriale, per quanto ancora rileva:

-) che il prodotto commercializzato dal D.C., all’esito della espletata consulenza tecnica, poteva essere annoverato nella generica categoria del whisky, quale bevanda ottenuta dalla fermentazione e successiva distillazione di mosti ottenuti da cereali, ma non presentava sicuramente le caratteristiche organolettiche del whisky scozzese;

-) che il regolamento CE 1576/1989 considerava concorrenza sleale l’uso di indicazioni geografiche o la presentazione di un prodotto tale da suggerire la sua provenienza da una certa località diversa da quella effettiva;

-) che le bottiglie commercializzate dal D.C. facevano esplicito riferimento al whisky scozzese con l’uso delle parole whisky, scottish e higlands nonchè con elementi figurativi tipicamente scozzesi quali il tartan, un suonatore di cornamusa ed un danzatore abbigliati con vestiti e segni araldici scozzesi;

-) che la condotta posta in essere dal D.C. fosse tangibilmente idonea a confondere il prodotto col vero whisky scozzese ingenerando nell’acquirente l’errato convincimento di acquistare il prodotto originale;

-) che la doglianza spiegata dal D.C. in, ordine alla quantificazione del danno fosse generica dal momento che l’atto d’impugnazione non indicava le fatture riferibili, secondo l’appellante, all’acquisto presso Polini S.r.l. di prodotti diversi dal whisky e, anzi, ometteva persino di esplicitare di quale merce si trattasse, mentre le comparse conclusionali depositate sia in primo grado che in appello dalla Scotch Whisky Association contenevano l’analitica elencazione di tutte le fatture concernenti l’acquisto di whisky da parte del D.C., per l’importo considerato dal primo giudice ai fini della liquidazione.

4. – Per la cassazione della sentenza D.C.A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi illustrati da memoria.

La Scotch Whisky Association ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. – Il ricorso contiene quattro motivi.

5.1. – Il primo motivo è rubricato: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 297 del 1997, art. 21, lett. a, del Regolamento CE 1576/1989, del Regolamento CE 110/2008, dell’art. 2598 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in punto a ritenuta configurazione di atto di concorrenza sleale della messa in commercio di whisky denominati “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” e/o nell’utilizzo delle predette denominazioni “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)””.

Secondo il ricorrente il Regolamento CE 1576/1989, applicabile ratione temporis, consentirebbe l’impiego della denominazione whisky indipendentemente dall’origine geografica del prodotto ed impedirebbe soltanto l’impiego della denominazione scotch whisky, denominazione che esso D.C. non aveva utilizzato, mentre soltanto il successivo Regolamento CE 110/2008, non applicabile nella specie, avrebbe precluso “anche l’allusione” alla menzionata denominazione.

5.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Illegittimità della sentenza impugnata per motivazione illogica e contraddittoria in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’utilizzo delle denominazioni “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” costituisse atto di concorrenza sleale”.

Il motivo è volto a censurare la motivazione adottata dalla Corte territoriale nell’affermare che la condotta posta in essere dal D.C. costituisse atto di concorrenza sleale.

5.3. – Il terzo motivo è svolto sotto la rubrica: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la sentenza impugnata ritenuto di non essere tenuta ad esaminare fonti di prova indicate nell’atto di appello (in particolare, fatture e oggetto di sequestro) in quanto mancherebbe nell’atto di appello l’esatta indicazione delle fatture da sottoporre ad esame”.

Il motivo è volto a sostenere che, considerato l’effetto del devolutivo dell’impugnazione in appello, per il quale non opererebbe il principio di autosufficienza, il giudice di merito sarebbe stato tenuto a verificare quali fatture di acquisto fossero riferibili a whisky e quali no, indipendentemente dalla singola menzione fattane nell’atto di appello.

5.4. – Il quarto motivo è svolto sotto la rubrica: “Illegittimità della sentenza impugnata per motivazione insufficiente in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per non avere la sentenza impugnata sufficientemente motivato, alla luce delle considerazioni contenute nell’atto di appello del D.C., in punto alla determinazione del volume di affari posto a fondamento della liquidazione del lucro cessante”.

Il motivo è volto a denunciare il vizio motivazionale che, secondo il ricorrente, affliggerebbe la determinazione del quantum riconosciuto all’associazione attrice dal giudice di merito.

6. Il ricorso va respinto.

6.1. – Il primo motivo è infondato.

Il Regolamento n. 1576/89 del Consiglio 29 maggio 1989, che fissava le regole generali relative alla definizione, alla designazione e alla presentazione delle bevande spiritose, definiva all’art. 1, par. 4, lett. b: “Whisky o whiskey: La bevanda spiritosa ottenuta per distillazione di un mosto di cereali: saccarificato dalla diastasi del malto ivi contenuto, con o senza aggiunta di altri enzimi naturali, fermentato per azione del lievito, distillato a meno di 94,8% vol in modo che il prodotto della distillazione abbia un aroma e un gusto provenienti dalle materie prime utilizzate e invecchiata per almeno tre anni in fusti di legno di capacità pari o inferiore a 700 litri”.

L’art. 5 dello stesso Regolamento stabiliva poi quanto segue: “1. le denominazioni di cui all’art., par. 4 sono riservate alle bevande spiritose ivi definite. 2. Le denominazioni di cui al par. 1 possono essere completate con indicazioni geografiche diverse da quelle di cui al par. 3, a condizione che il consumatore non sia indotto in errore.

3. a) Le denominazioni geografiche elencate nell’allegato 2 possono sostituire le denominazioni di cui al paragrafo 1 o completarle formando denominazioni composte… b) Queste denominazioni geografiche sono riservate alle bevande spiritose per cui la fase di produzione durante la quale esse acquistano il loro carattere e le loro qualità definitive si sia svolta nella zona geografica in causa…”.

L’allegato 2^ richiamato nell’art. 5, par. 3 qui sopra trascritto faceva menzione di scotch whisky, irish whisky e whisky espanol.

Tali disposizioni andavano lette nel contesto delle premesse del Regolamento e, in particolare, del secondo e terzo considerando:

“Considerando che le bevande spiritose rappresentano un importante sbocco per l’agricoltura comunitaria; che ciò è in gran parte dovuto alla rinomanza che i prodotti in causa hanno conquistato nella Comunità e sul mercato mondiale; che tale rinomanza è connessa al livello qualitativo dei prodotti tradizionali; che è quindi opportuno, per conservare questo sbocco, mantenere elevato il livello qualitativo dei prodotti; che il mezzo migliore per conseguire tale obiettivo consiste nel definire i prodotti tenendo conto degli usi tradizionali che sono alla base della loro rinomanza; che è inoltre opportuno riservare l’impiego delle denominazioni così definite a prodotti il cui livello qualitativo corrisponda a quello dei prodotti tradizionali, per evitare che le denominazioni stesse vengano sminuite di valore;

Considerando che la normativa comunitaria deve riservare a determinati territori, tra i quali possono figurare in via eccezionale certi Paesi, l’impiego di denominazioni di natura geografica ad essi relative, semprechè le fasi di fabbricazione del prodotto finito durante le quali quest’ultimo acquista il suo carattere e le sue qualità definitive si siano svolte nella zona geografica in causa; che quindi, riconoscendo ai produttori interessati diritti esclusivi, la normativa comunitaria salvaguarderà il carattere di indicazioni di provenienza delle denominazioni in questione e impedirà che queste divengano di uso comune e conseguentemente denominazioni generiche; che le denominazioni di cui trattasi garantiscono inoltre l’informazione del consumatore circa la provenienza di un prodotto caratterizzato dalle materie prime impiegate o dai particolari procedimenti di elaborazione”.

In tale contesto, è del tutto evidente che il menzionato regolamento, pur non impedendo la commercializzazione di un prodotto denominato “whisky”, ove caratterizzato dai requisiti richiesti (v. in argomento Corte giustizia UE, Sez. 5, 16 luglio 1998, n. 136), precludeva viceversa del tutto l’impiego di qualsiasi denominazione fuorviante tale da suggerire contro il vero la provenienza di un simile prodotto dalle tradizionali aree geografiche di produzione e, così, per quanto riguarda il whisky, nell’ipotesi in esame, dalla Scozia: ciò è reso palese dai “considerando” appena trascritti, con i quali veniva sottolineata sia la finalità del regolamento di valorizzare la rinomanza delle singole “bevande spiritose” collegata alla produzione di esse nelle tradizionali zone di provenienza, sia l’intento di tutela del consumatore, intento ribadito dall’espressa previsione di completamento delle denominazioni previste con indicazioni geografiche diverse da quelle di cui al par. 3, prima ricordato, a condizione che il consumatore non fosse indotto in errore.

Tale ovvia lettura del dato normativo, che, d’altronde, si inserisce in una linea già tracciata dalla Direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, con la quale si stabiliva che l’etichettatura dei prodotti alimentari non deve “essere tale da indurre in errore l’acquirente, specialmente: i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la provenienza”, e si armonizza con il precetto, già richiamato dalla Corte d’appello, posto dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 198, art. 31, comma 2, (ora trasmigrato nell’art. 30, comma 1 codice della proprietà industriale), secondo cui: “… costituisce atto di concorrenza sleale, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l’uso di indicazioni geografiche che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo d’origine…”, non trova affatto smentita, ma piuttosto conferma nel successivo art. 10, comma 1, del Regolamento CE 110/2008, secondo cui: “E’ vietato l’uso di uno dei termini elencati nelle categorie da 1 a 46 dell’allegato 2 o di un’indicazione geografica registrata nell’allegato 3 ove è tra l’altro menzionato lo Scotch Whisky: n.d.e. in un termine composto, o l’allusione a un siffatto termine o indicazione nella presentazione di un alimento, tranne se l’alcole proviene esclusivamente dalla bevanda spiritosa (dalle bevande spiritose) cui è fatto riferimento”.

E’ cioè, nel menzionare espressamente la allusione a una determinata indicazione geografica, il regolamento successivamente adbttato altro non ha fatto che esplicitare, in continuità con il precedente, ciò che da esso già poteva, come si è visto, agevolmente desumersi.

6.2. – Il secondo motivo è inammissibile. Viene difatti dedotto un vizio di motivazione illogica e contraddittoria quantunque la controversia soggetta sia all’applicazione del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 il quale consente di denunciare esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

E’ appena il caso di soggiungere che l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anche nel testo vigente, sarebbe nel caso di specie precluso ricorrendo l’ipotesi considerata dall’art. 348 ter c.p.c., u.c. avendo i giudici di primo e secondo grado conformemente deciso sulla ricostruzione del fatto.

6.3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Vale anzitutto osservare che il D.C. ha erroneamente richiamato in rubrica l’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo egli viceversa dedotto un vizio di attività suscettibile di essere sussunto, in astratto, entro l’ambito di applicazione del successivo n. 4, quale error in procedendo.

Orbene, in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. 7 febbraio 2011, n. 3024; Cass. 12 dicembre 2014, n. 26157).

Nel caso in esame, il D.C. ha trascritto il ricorso la parte dell’atto d’appello concernente la quantificazione del danno liquidato dal Tribunale e, in effetti, come già constatato dalla Corte d’appello, non soltanto non ha individuato quali fatture sarebbero state riferite a merci diverse dal whisky ed in quale ipotetica misura, ma non ha neppure genericamente indicato quali sarebbero state le diverse merci che esso D.C. avrebbe acquistato.

Tutto ciò in violazione del principio secondo cui la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all’onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diritta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell’integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata (Cass. 7 aprile 2009, n. 8377).

All’esito del ricorso per cassazione la situazione non si è modificata: e, cioè, questa Corte non ha nessun elemento per stabilire, alla stregua del ricorso, se, effettivamente, vi fossero fatture riferite ad altro ed in quale consistenza quantitativa. Difatti, anche con riguardo ai motivi volti alla denuncia di errores in procedendo, quale deve intendersi quello in esame, riguardo ai quali la Corte di cassazione è giudice del fatto processuale, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (da ult. Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).

Il che assume tanto maggior rilievo quanto più si consideri che la Corte d’appello, come si è in precedenza riferito, non si è affatto limitata a sottolineare che il D.C. non aveva indicato le fatture in discorso, ma ha aggiunto che la Scotch Whisky Association aveva invece analiticamente esaminato le fatture prodotte, dimostrando, nelle conclusionali, che esse comprovavano il pagamento, in favore di Polini S.r.l., proprio della somma considerata dal Tribunale.

Sicchè risulta in definitiva del tutto destituita di fondamento la doglianza del ricorrente volta ad ottenere la cassazione della sentenza al mero scopo di costringere il giudice di merito ad indagare motu proprio il contenuto delle fatture in discorso che la stessa parte interessata non è stata in grado di illustrare.

6.4. – Il quarto motivo, con il quale è nuovamente denunciata insufficienza della motivazione, è inammissibile per le ragioni illustrate al par. 6.2..

7. – Le spese seguono la soccombenza nei confronti di Scotch Whisky Association.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di Scotch Whisky Association, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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