Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16946 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 15/06/2021), n.16946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7017-2020 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE LA FRANCESCA;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) – ENTE PER L’ORIENTAMENTO E LA

FORMAZIONE PROFESSIONALE, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VICENZA 26, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE FABIO, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIO PARISI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 1/2020 del TRIBUNALE di PALERMO,

depositato il 2/1/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da D.A. a titolo di indennità di mancato preavviso, a seguito del licenziamento intimatogli dalla curatela, poichè l’insinuazione era stata presentata oltre il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo previsto dall’art. 101 L. Fall..

2. Il tribunale di Palermo, a seguito dell’opposizione proposta dal D., condivideva la valutazione di tardività della domanda di insinuazione compiuta dal giudice delegato, in mancanza all’interno della sentenza di fallimento di alcuna espressa proroga del termine annuale per l’accertamento del passivo, nè potendosi arguire una simile disposizione dalla mera fissazione dell’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo per una data posteriore alla scadenza del termine ordinario di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento.

3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell’opposizione, pubblicato in data 2 gennaio 2020, ha proposto ricorso D.A. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS).

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4 e dell’art. 101L. Fall., comma 1 e sostiene che il tribunale abbia erroneamente escluso la proroga del termine per l’accertamento del passivo a causa di una lettura isolata dell’art. 101 L. Fall.

L’art. 16 L. Fall. non prevede espressamente – sottolinea il ricorrente – che il tribunale, al momento della dichiarazione di fallimento, debba prorogare il termine per la trasmissione delle domande tardive di crediti.

Si ricaverebbe così implicitamente dalla lettura combinata delle due norme che il tribunale, al momento della dichiarazione di fallimento, deve fissare l’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo entro il termine perentorio di centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero di centottanta giorni in caso di complessità della procedura, sicchè il discrimine fra l’una o l’altra ipotesi sarebbe dato dalla mera individuazione – prima od oltre il termine di centoventi giorni – del momento dell’adunanza.

La fissazione dell’adunanza dei creditori oltre il termine perentorio di centoventi giorni indicato dall’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, comportava quindi che la procedura dovesse intendersi di particolare complessità e che il termine per le insinuazioni tardive fosse conseguentemente esteso a diciotto mesi, ai sensi dell’art. 101 L. Fall., comma 1.

5. Il motivo è infondato.

Il panorama normativo che regola la materia è costituito dal disposto dell’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, (a mente del quale con la sentenza di fallimento il tribunale “stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura”) e dall’art. 101 L. Fall., comma 1, (secondo cui “le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive;

in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a diciotto mesi”).

Le due norme si riferiscono a vicende procedimentali differenti, in quanto la prima, facendo riferimento all'”esame dello stato passivo”, si focalizza sull’avvio dell’attività di formazione dello stato passivo, mentre la seconda, al fine di individuare il termine finale per la presentazione delle domande tardive, fa riferimento alla diversa attività di “deposito del decreto di esecutività dello stato passivo”, una volta che la formazione dello stato passivo relativo alle domande tempestive sia avvenuta.

Si tratta quindi di previsioni di legge che, pur facendo entrambe riferimento al diverso sviluppo della procedura fallimentare nel caso in cui la stessa sia di ordinaria o particolare complessità, non sono coordinabili nel senso proposto dal ricorrente, evocando due diverse attività, al fine di sminuire il chiaro disposto normativo dell’art. 101 L. Fall., comma 1, il cui tenore letterale, inequivocabilmente, presuppone una proroga esplicita contenuta nella sentenza di fallimento e specificamente quantificata, senza alcun automatismo correlato con il rispetto del termine di centoventi giorni per l’adunanza dei creditori destinata all’esame delle domande tempestive.

Proprio la lettura combinata delle due disposizioni corrobora una simile interpretazione.

Il disposto dell’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, nel definire il termine per la fissazione dell’adunanza in cui si procederà all’esame delle insinuazioni tempestive “perentorio”, si riferisce – come ha spiegato il tribunale – a un’attività giudiziale ineludibile come la verifica dello stato passivo, di modo che il suo superamento non può comportare alcun effetto a discapito dei creditori.

Il ricorso a tale terminologia esprime, piuttosto, l’esigenza di chiarezza, certezza e uniformità di trattamento nelle scansioni procedimentali della verifica del passivo e, nel contempo, l’evidente preoccupazione del legislatore perchè il fallimento proceda, fin dal suo avvio, secondo tempi scanditi e celeri.

In presenza di una simile preoccupazione si deve allora ritenere che ambedue le norme, laddove fanno concorde riferimento al “caso di particolare complessità della procedura” quale ragione della proroga (rispettivamente del termine ordinario di centoventi giorni per la fissazione dell’adunanza e del termine di dodici mesi per la presentazione delle domande di insinuazione tardive), impongano al tribunale di fornire, all’interno della sentenza dichiarativa di fallimento, una conveniente motivazione nel caso in cui decida di optare per una dilazione che rallenti, fin da subito, i tempi di definizione della procedura fallimentare.

E appunto questa necessità di motivazione in ordine alla particolare complessità della procedura fa sì che la proroga dei termini ordinari debba essere esplicita e argomentata e non possa invece intendersi disposta, in automatico, in conseguenza del semplice superamento del termine ordinario di centoventi giorni.

L’opzione del tribunale per la disciplina ordinaria o per una dilatazione dei tempi di verifica non è dunque l’effetto, automatico e implicito, della scelta di una data (per la celebrazione dell’adunanza di cui all’art. 95 L. Fall.) che sia anteriore o posteriore al termine di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento, ma il frutto di una scelta, espressa e motivata, assunta in considerazione della complessità della procedura fallimentare.

6. Il secondo mezzo lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c., poichè l’assoluta novità della questione trattata imponeva una compensazione, parziale o integrale, delle spese di lite.

7. Il motivo è inammissibile.

Il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, rientra, invece, nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 26912/2020, 11329/2019, Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017, Cass. 10009/2003).

Ne consegue che la pronuncia di compensazione delle spese non può essere censurata in questa sede.

8. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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