Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16941 del 07/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/07/2017, (ud. 24/05/2017, dep.07/07/2017),  n. 16941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16179/2016 proposto da:

AUCHAN SPA, in persona della Procuratrice, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA OVIDIO, 20, presso lo studio dell’avvocato LUCA DI

PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO SAVERIO

FRASCA;

– ricorrente –

contro

D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO REALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24530/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. questa corte di Cassazione con la sentenza numero 24530 del 2015 accoglieva il ricorso proposto da D.P., cassava la sentenza della Corte d’appello di Palermo e, decidendo nel merito, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato al D. da Auchan s.p.a. a seguito di contestazione disciplinare del 25/3/2006 e ordinava la reintegrazione del ricorrente del posto di lavoro; rinviava alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione per la determinazione del danno ed il regolamento delle spese. La Corte argomentava che la sanzione espulsiva non appariva proporzionata all’addebito contestato, tenuto conto dell’unicità dell’episodio, della particolare modestia del prodotto sottratto, dell’anzianità del lavoratore (16 anni senza sanzioni disciplinari) e che essa neppure poteva essere giustificata sulla base della condotta tenuta dopo la sottrazione del bene, di affermazione della proprietà del bene sottratto, che comprovava solo lo stato di agitazione del lavoratore.

2. Auchan s.p.a. propone ricorso per la revocazione della sentenza, a fondamento del quale sostiene che la sentenza sarebbe frutto di un evidente errore commesso nella lettura dei documenti processuali ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Rileva che la sentenza avrebbe invaso l’area di accertamento tipica del giudice di merito laddove, pur dopo aver ritenuto provati i fatti contestati dal datore di lavoro – ovvero l’appropriazione furtiva di un prodotto aziendale da parte del lavoratore – si è intromessa nella valutazione della proporzionalità del licenziamento, in tal modo discostandosi dai principi ermeneutici costantemente applicati dalla Suprema Corte, pur non dichiarando l’espresso dissenso dai medesimi. Inoltre, la sentenza avrebbe erroneamente quantificato il valore del bene in euro 2,90, mentre dagli atti di causa risulta che il valore fosse oltre il doppio e precisamente pari ad Euro 6,10.

3. D.P. ha resistito con controricorso; Auchan s.p.a. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. il vizio denunciato non rientra tra quelli in relazione ai quali è proponibile il ricorso per revocazione.

1.1. Deve ribadirsi che l’ipotesi riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.c., consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. Non è idoneo ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi dei rispettivi atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale di revocazione (cfr. Cass. S.U. 28/05/2013 n. 13181 e, da ultimo, Cass. 05/04/2017 n. 8828 e Cass. 03/04/2017 n. 8615).

1.2. Questa Corte nell’arresto del 29/04/2016 n. 8472 ha inoltre chiarito che è manifestamente infondata – nè comporta la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. – la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 395, 391 bis e 391 ter c.p.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 24, 101 e 111 Cost., ed in relazione all’art. 6 della CEDU, nella parte in cui non ammettono la revocazione delle sentenze di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori di diritto o di fatto, diversi dalla mera svista su questioni non oggetto della precedente controversia, rispondendo la non ulteriore impugnabilità all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme costituzionali e convenzionali, di conseguire il giudicato all’esito di un sistema strutturato anche su differenti impugnazioni, con l’immutabilità e definitività della pronuncia che tutela i diritti delle parti.

1.3. Nel caso in esame, questa Corte ha operato il controllo di legittimità che le è demandato, stante la sindacabilità in sede di legittimità, quale vizio di violazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, al fine di ritenere la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, quale clausola generale (Cass. 23/09/2016 n. 18715, 17/01/2017 n. 985), sicchè deve concludersi, in applicazione dei su richiamati principi, che non sussiste errore revocatorio in relazione al profilo denunciato.

1.4. Inoltre, la limitata discrasia rilevata in ricorso tra il valore effettivo del bene, comunque assai modesto, e quello assunto nella sentenza, non può certo ritenersi essere stata determinante nella valutazione finale.

2. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 1.

3. La regolamentazione delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

4. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2017

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