Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16939 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 10/08/2016, (ud. 10/02/2016, dep. 10/08/2016), n.16939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BANCA POPOLARE DI MILANO SOC. COOP. A R.L., rappresentata da

F.F. e L.M., in virtù di procura speciale per notaio

Alfonso Ajello del 26 gennaio 2010, rep. n. 539896, elettivamente

domiciliata in Roma, alla via della Stazione di San Pietro n. 45,

presso l’Avv. CAMPEGIANI ALBERTO, dal quale è rappresentata e

difesa in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.V., elettivamente domiciliato in Roma, alla via T.

Gulli n. 11, presso l’avv. STEFANO GRECO, unitamente agli avv.

ANGELO CASTELLI ed ANTONIO FANGIORGIO, dai quali è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 4466/11,

pubblicata il 25 ottobre 2011.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

febbraio 2016 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso, ed in subordine per l’accoglimento per quanto di

ragione del quinto motivo, con il rigetto degli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – B.V. convenne in giudizio la Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l. e la Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, per sentir dichiarare in via principale la nullità o pronunciare l’annullamento delle operazioni finanziarie effettuate il 3 ed il 6 novembre 2000 ed il 27 febbraio 2001, aventi ad oggetto l’acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina, con la condanna delle convenute alla restituzione delle somme investite, ed in subordine per sentir accertare l’inadempimento degli obblighi previsti dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21 e dagli artt. 26, 27, 28, 29 e 32 del regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, con la condanna delle convenute al risarcimento dei danni in misura pari all’importo investito.

Si costituì la BPM, e resistette alla domanda, affermando di aver correttamente informato il cliente, avendogli fatto sottoscrivere i moduli prescritti dal citato regolamento.

Si costituì inoltre la Consob, la quale eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva.

1.1. – Con sentenza del 26 aprile 2007, il Tribunale di Roma rigettò le domande proposte in via principale ed accolse quella proposta in via subordinata, condannando la BPM al pagamento della somma di Euro 284.505,00 per capitale e della somma di Euro 39.242,00 per interessi al tasso annuo del 2,90% sulla somma non rivalutata, e rigettando la domanda di risarcimento del danno per la perdita degl’interessi e del lucro cessante.

2. – L’impugnazione proposta dalla BPM è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Roma con sentenza del 25 ottobre 2011.

Premesso che nel giudizio di risarcimento dei danni cagionati dalla prestazione di servizi d’investimento spetta al soggetto abilitato la prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che la Banca non avesse assolto il predetto onere, non avendo fornito una prova sufficiente dell’adempimento dell’obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, lett. a) e b). In particolare, ha ritenuto non provato che l’appellato presentasse un’elevata propensione al rischio, reputando a tal fine insufficienti la mera consistenza quantitativa degl’investimenti in atto al momento dell’effettuazione delle operazioni in esame e la sottoscrizione del documento sui rischi generali degli investimenti finanziari: ha infatti osservato che quest’ultimo recava un’informativa generica in ordine alle tipologie astratte d’investimenti, non riferibile allo specifico titolo acquistato dall’appellato, aggiungendo che la Banca non aveva dedotto nè provato di aver informato l’attore in ordine al rating del titolo, indispensabile per valutarne la specifica rischiosità; ha rilevato comunque che all’epoca dell’effettuazione delle operazioni il rating risultava piuttosto basso, in virtù della dubbia capacità dello Stato argentino di far fronte alle obbligazioni contratte, che trasformava i titoli in questione in un investimento speculativo, destinato ai soli investitori professionali. Ha ritenuto quindi insufficiente anche la mera sottoscrizione degli ordini di acquisto, nei quali non era riportata la dichiarazione di voler procedere ugualmente all’investimento, nonostante la previa informazione sull’inadeguatezza dell’operazione, osservando comunque che il default dello Stato argentino non poteva essere considerato un fatto eccezionale ed imprevedibile, in quanto costituiva un evento piuttosto frequente nei Paesi dell’America Latina, anche se non conosciuto dai piccoli risparmiatori, come dimostrato dal fatto che fino ad allora tali forme d’investimento erano state riservate agl’investitori istituzionali. Ha precisato inoltre che, anche a voler ritenere l’investimento adeguato al profilo di rischio del cliente, la Banca avrebbe dovuto comunque illustrargliene la rischiosità, avuto riguardo alla consistenza della somma investita, ed avrebbe dovuto operare in modo che il cliente fosse sempre adeguatamente informato, potendosi facilmente procedere al disinvestimento dei titoli, una volta manifestatosi l’aggravamento del rischio: ha osservato al riguardo che la Banca non aveva neppure allegato di aver segnalato al cliente la gravità della situazione economica dell’Argentina, manifestatasi già un anno prima del default estero, attraverso una legge che dichiarava una sorta di default interno. Ha ritenuto pertanto irrilevanti le istanze istruttorie formulate dalla Banca, aventi ad oggetto il compimento delle operazioni per iniziativa del cliente e l’inadempimento da parte di quest’ultimo dell’obbligo di fornire notizie in ordine alle sue condizioni economiche, alla sua propensione al rischio ed alle informazioni ricevute, nonchè il possesso da parte dello stesso di altri titoli parimenti speculativi.

In ordine alla liquidazione del danno, premesso che la prova del nesso causale può essere fornita anche in termini presuntivi, la Corte ha rilevato che, versando in una situazione finanziaria di una certa entità e manifestando una chiara volontà di evitare il rischio svalutativo, l’attore era valutabile come un soggetto animato da una prevalente propensione al risparmio, anzichè come uno speculatore incline al puro rischio, ed ha quindi ritenuto che, ove fosse stato compiutamente informato, egli avrebbe orientato la propria scelta verso forme d’investimento caratterizzate da un minor rischio, anche se da un minore rendimento. Ha ritenuto irrilevanti, al riguardo, la possibilità di realizzazione parziale dell’investimento mediante pagamenti effettuati dallo Stato estero alla scadenza e la mancata adesione dell’attore all’offerta pubblica di scambio formulata dal Governo argentino in sede di ristrutturazione del debito, osservando da un lato che le obbligazioni erano scadute nel 2005 e nessuna cedola d’interessi era stata corrisposta dal l gennaio 2002, e dallo altro che l’appellato aveva dimostrato di aver preso in considerazione l’offerta pubblica di scambio ma di aver ricevuto risposta negativa da parte della Banca, la quale non aveva a sua volta fornito la prova della convenienza dell’offerta, dei termini della stessa, delle somme e delle garanzie offerte agl’investitori e dei margini di scelta sul tipo di titolo da accettare in cambio. Ha escluso comunque che la prova di eventuali pagamenti potesse giustificare una compensatio lucri cum danno, in considerazione della diversità del fatto generatore dell’obbligazione e del soggetto debitore. Ha pertanto liquidato il pregiudizio in misura pari alla perdita di valore dei titoli, corrispondente al prezzo pagato per l’acquisto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi compensativi.

3. – Avverso la predetta sentenza la BPM ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. Il B. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, in riferimento alla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 4, n. 2, artt. 11, 13 e art. 59, n. 3, agli artt. 37, 38, 276, 279, 324 e 329 c.p.c., ed agli artt. 24, 25, 111 e 113 Cost., affermando che, ai sensi dell’art. 8 del Trattato bilaterale sottoscritto tra Italia ed Argentina il 22 maggio 1990, la controversia deve ritenersi devoluta all’autorità giudiziaria della Repubblica Argentina, in quanto avente ad oggetto un investimento effettuato nel predetto Paese, in riferimento al quale essa ricorrente ha svolto la mera funzione d’intermediaria. Precisa al riguardo che la mancata proposizione della relativa questione mediante l’appello avverso la decisione di merito adottata in primo grado non può aver comportato la formazione di un giudicato implicito in ordine alla giurisdizione, dal momento che, in mancanza di una pronuncia esplicita sulla questione, il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio anche in sede d’impugnazione: osserva infatti che l’effettività della tutela giurisdizionale impone di contemperare il principio della ragionevole durata del processo e quello dell’economicità del giudizio con l’esigenza che quest’ultimo pervenga ad una decisione giusta e, ancor prima, si svolga dinanzi al giudice munito di potestas judicandi in relazione alla tutela sostanziale richiesta. Esclude inoltre che la dichiarazione del difetto di giurisdizione fosse preclusa dall’intervenuta accettazione della giurisdizione italiana, non ricorrendo nella specie un accordo derogativo della giurisdizione, e trovando pertanto applicazione l’ultima parte della L. n. 218 del 1995, art. 11, secondo periodo.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omissione o l’insufficienza della motivazione, in riferimento agli artt. 112, 115 e 359 c.p.c. ed al D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 12 e 16, censurando la sentenza impugnata per aver escluso che, nel pronunciare la risoluzione del contratto, il Giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione. Afferma infatti che nell’atto di citazione il B. si era limitato a chiedere la restituzione dell’importo investito, senza avanzare una specifica domanda di risoluzione, la quale sarebbe risultata d’altronde incompatibile con le azioni di nullità ed annullabilità contestualmente proposte, nonchè con l’affermazione che il contratto era stato eseguito, ancorchè malamente, da parte di essa ricorrente. Nell’escludere che la pronuncia di risoluzione comportasse la violazione dell’art. 115 cit., la Corte di merito è poi incorsa in contraddizione, avendo ritenuto che il Giudice di primo grado avesse fatto correttamente uso del potere di libera valutazione delle prove, laddove nessuna prova era stata acquisita.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 359 c.p.c., del D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 12 e 16 e del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e ss., nonchè l’omissione della motivazione, osservando che, nell’accertare l’inadempimento degli obblighi posti a carico dei soggetti abilitati alla prestazione di servizi d’investimento, la sentenza impugnata non ha considerato che, come sostenuto nell’atto di appello, l’investimento aveva ad oggetto titoli obbligazionari, che, oltre ad avere un buon rating ed un certo tasso di rendimento, regolarmente comunicati al cliente, erano stati emessi da uno Stato estero e non erano stati oggetto d’intermediazione da parte della Banca, con la conseguente inapplicabilità del D.Lgs. n. 58 del 1998 e del regolamento Consob n. 11522 del 1998. In particolare, fermo restando l’obbligo d’informazione, regolarmente adempiuto, la Banca non era tenuta alla consegna del documento informativo nè a conoscere la situazione finanziaria dello Stato argentino, che la sentenza impugnata ha peraltro desunto da documenti successivi all’anno 2000 e comunque privi di attendibilità. Nel ritenere irrilevante, in mancanza di un documento scritto, la prova testimoniale dedotta da essa ricorrente in ordine all’adempimento dell’obbligo informativo, la Corte di merito ha poi omesso di considerare che al riguardo non è richiesta la prova scritta, trascurando inoltre la qualifica dei testimoni, funzionari della Banca ed uno di essi anche responsabile dei servizi d’investimento. La sentenza impugnata, oltre ad aver escluso la propensione al rischio dell’attore sulla base di mere supposizioni, contrastanti con la consistenza del suo portafoglio, ha ritenuto irrilevante la mancata adesione del B. all’offerta pubblica di scambio formulata dalla Repubblica Argentina, in virtù dell’affermata complessità del relativo prospetto, omettendo tuttavia ingiustificatamente di dar seguito alla richiesta di c.t.u. formulata al riguardo dallo stesso attore.

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 1453 e 2697 c.c., e art. 2729 c.c., comma 1, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., affermando che, nel procedere alla liquidazione del risarcimento, la sentenza impugnata ha omesso di esaminare le critiche mosse alla sentenza di primo grado, limitandosi a confermarla, in virtù della mera affermazione che, ove adeguatamente avvertito, l’attore avrebbe scelto altre forme d’investimento. Nel ritenere provato il nesso causale tra l’inadempimento degli obblighi informativi ed il danno lamentato, la Corte di merito non ha fatto alcun riferimento a regole di esperienza, pratiche usuali, fatti notori o nozioni comuni, nè allo stato del mercato mobiliare all’epoca dell’investimento, ricorrendo inoltre ad elementi presuntivi privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, ed astenendosi dal dispone la c.t.u. richiesta. La sentenza impugnata ha infine omesso di considerare che l’appellato non aveva contestato nè la mancata adesione all’offerta pubblica di scambio formulata dallo Stato argentino, della quale essa ricorrente aveva dato piena informazione al cliente, nè l’avvenuta vendita dei titoli nel corso del giudizio, con un ricavo di Euro 72.275,07.

5. – Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., e degli artt. 1175, 1223 e 1224 c.c., nonchè l’omissione e l’insufficienza della motivazione, ribadendo che la sentenza impugnata ha immotivatamente addebitato ad essa ricorrente la mancata adesione dell’attore all’offerta pubblica di scambio, la mancata informazione del cliente in ordine alla medesima offerta e la mancata prova dei pagamenti intervenuti a favore dei sottoscrittori dei titoli. La Corte di merito ha inoltre liquidato il danno in misura pari all’intero valore dei titoli, nonostante l’intervenuta vendita degli stessi, riconoscendo all’attore anche il risarcimento del lucro cessante, sulla base di errate supposizioni, nonchè la rivalutazione monetaria, non dovuta in virtù della natura fisica del soggetto danneggiato e della mancata dimostrazione del maggior danno. La sentenza impugnata ha infine omesso di pronunciare in ordine alle censure riguardanti la liquidazione delle spese processuali, poste interamente a carico di essa ricorrente nonostante la reciproca soccombenza, regolando secondo il medesimo criterio anche le spese del giudizio d’appello.

6. – Salvo quanto si dirà nel prosieguo con specifico riferimento ad alcune delle predette censure, non merita accoglimento l’eccezione proposta dalla difesa del controricorrente, secondo cui l’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso avrebbe richiesto, per ciascuna delle questioni sollevate, la precisa indicazione della fase, dell’atto e delle modalità in cui la stessa è stata trattata, al fine di consentire la sua enucleazione dal relativo contesto e la verifica dell’eventuale novità, nonchè di offrirne una rappresentazione corrispondente a quella prospettata nel giudizio di merito. Fermo restando, infatti, che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a pone il Giudice di legittimità in grado di avere una completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure mosse alle argomentazioni svolte dal giudice di merito, l’onere d’indicare specificamente la fase e l’atto in cui una determinata questione è stata sollevata si riferisce esclusivamente alle questioni non rilevabili d’ufficio o a quelle non trattate nella sentenza impugnata che, presupponendo un’indagine di fatto, non potrebbero altrimenti trovare ingresso in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1^, 18 ottobre 2013, n. 23675; 1 marzo 2007, n. 4843; Cass., Sez. 3^, 21 febbraio 2006, n. 3664); le predette indicazioni non risultano invece necessarie ai fini della prospettazione di questioni squisitamente giuridiche, la cui deduzione, risolvendosi nella affermazione dell’applicabilità di una disciplina diversa da quella richiamata nella sentenza impugnata, non comporta alcuna modificazione negli elementi di fatto della controversia, risultanti dalle deduzioni delle parti e dagli accertamenti compiuti nelle fasi di merito (cfr. Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2013, n. 17957; Cass., Sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11655; 27 maggio 2004, n. 10195).

7. – Il primo motivo è peraltro inammissibile.

Com’è noto, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo enunciato il principio, in seguito costantemente ribadito anche dalle Sezioni semplici, secondo cui, ove il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, l’acquiescenza prestata dalle parti mediante la mancata impugnazione della sentenza sotto tale profilo esclude la rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione in sede di legittimità o la deducibilità dello stesso con il ricorso per cassazione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito (cfr. Cass., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883; v. anche, tra le più recenti, Cass., Sez. 1^, 26 settembre 2013, n. 22097; Cass., Sez. lav., 20 marzo 2013, n. 6966; Cass., Sez. 3^, 28 settembre 2011, n. 19792). A sostegno di tale orientamento, sono stati richiamati i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, evidenziandosi inoltre il progressivo affievolimento dell’idea di giurisdizione come espressione della sovranità statale e la corrispondente emersione di una nuova concezione della stessa, imperniata sul riconoscimento dei caratteri propri di un servizio reso alla collettività; tale evoluzione, alla quale ha fatto riscontro una graduale assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza, non si pone affatto in contrasto con l’invocata esigenza di effettività della tutela giurisdizionale, rispetto alla quale la snellezza e la tempestività del procedimento si configurano come presupposti indispensabili, in funzione della realizzazione del diritto della parte ad ottenere una valida decisione di merito in tempi ragionevoli. In quest’ottica, si è esclusa anche la riconducibilità del difetto di giurisdizione alle ipotesi di violazione del contraddittorio o di carenza assoluta di potestas judicandi, rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, osservandosi che, a differenza della fattispecie in esame, nei predetti casi non ricorre un vizio di individuazione del giudice, in quanto non si tratta di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, ma di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26019).

Alla stregua del predetto principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in riferimento alla vicenda in esame, la mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha omesso di rilevare l’asserita spettanza della giurisdizione alla Autorità giudiziaria della Repubblica Argentina, preclude pertanto la possibilità di far valere in questa sede il difetto di giurisdizione del Giudice italiano in ordine alle domande proposte dall’attore, indipendentemente dall’eventuale accettazione della giurisdizione italiana da parte della convenuta, e dalla conseguente configurabilità di un accordo derogativo della giurisdizione.

8. – In ordine al secondo motivo, si osserva che la configurabilità del vizio di ultrapetizione è stata correttamente esclusa dalla Corte distrettuale attraverso il richiamo all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che impone al giudice, nell’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, di non limitare il proprio esame al tenore meramente letterale degli atti nei quali le stesse sono contenute, ma di avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere in giudizio, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (cfr. Cass., Sez. 6^, 7 gennaio 2016, n. 118; Cass., Sez. 3^, 19 ottobre 2015, n. 21087; 12 dicembre 2014, n. 26159). Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, il B., pur non avendo espressamente concluso per la pronuncia di risoluzione, aveva infatti lasciato chiaramente intendere di volere ottenere la rimozione del contratto, avendo chiesto, oltre alla dichiarazione di nullità o all’annullamento, l’accertamento dell’inadempimento della Banca e la condanna della stessa al risarcimento dei danni in misura pari all’intero capitale investito nell’operazione di acquisto dei titoli. E’ pur vero che la mera deduzione dell’inadempimento della controparte non implica necessariamente l’intento di ottenere una pronuncia di risoluzione del contratto, a tal fine occorrendo anche l’allegazione e la prova della gravità dell’indempimento, ovverosia della sua idoneità ad alterare il sinallagma contrattuale, in mancanza della quale il creditore può ottenere soltanto la condanna del debitore all’esatto adempimento ed al risarcimento del danno; nella specie, tuttavia, l’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio complessivo del rapporto contrattuale emergeva con evidenza dalla portata delle conseguenze dannose ricollegate alla violazione degli obblighi informativi posti a carico della convenuta, la cui equivalenza all’intero importo dell’operazione non poteva far sorgere alcun dubbio in ordine alla volontà dell’attore di ottenere lo scioglimento del contratto. In quanto proposta in via subordinata, tale domanda non poteva poi essere considerata incompatibile con quelle, avanzate in via principale, volte ad ottenere la dichiarazione di nullità del contratto per violazione di norme imperative o l’annullamento per errore, il cui accoglimento, escludendo l’operatività del vincolo negoziale, avrebbe comportato l’assorbimento della predetta domanda, mentre il rigetto, traducendosi nella dichiarazione di validità del contratto, ha costituito la premessa logico-giuridica della pronuncia di risoluzione. Nessun rilievo, ai fini dell’esatta interpretazione della domanda, può infine assumere l’improprio riferimento della Corte di merito alla libera valutazione delle prove acquisite, da intendersi più correttamente come un richiamo alla formazione del libero convincimento del giudice, sulla base delle risultanze degli atti di causa e del materiale istruttorio eventualmente acquisito.

9. – Il terzo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Nell’affermare la responsabilità della Banca per il danno subito dall’attore, la sentenza impugnata non ha fatto alcun riferimento alla mancata consegna del prospetto informativo prescritto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 94,a si è limitata a dare atto dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico degl’intermediari finanziari dall’art. 21 del predetto decreto, ritenendo indispensabile, ai fini di una corretta informazione del cliente, la comunicazione del rating dei titoli di cui era stato richiesto l’acquisto, quale elemento essenziale per la valutazione della specifica rischiosità dell’operazione, e reputando pertanto insufficiente la sottoposizione all’investitore del documento sui rischi generali degl’investimenti finanziari, sottoscritto peraltro soltanto dopo i primi due investimenti, così come la sottoscrizione dei relativi ordini di acquisto, nei quali non era riportata la dichiarazione, prescritta dall’art. 29, comma 3, del regolamento Consob per l’ipotesi in cui l’investitore abbia impartito all’intermediario disposizioni relative ad un’operazione non adeguata, di volervi dare comunque corso, nonostante le informazioni ricevute in ordine all’inadeguatezza ed ai rischi dell’operazione.

Tale iter argomentativo risulta sostanzialmente conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pubblicazione del prospetto informativo è prescritta dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 94, commi 1 e 2, nelle sole ipotesi di sollecitazione all’investimento, caratterizzate dalla circostanza che l’offerta è comunque rivolta, secondo lo schema dell’art. 1336 c.c., ad un numero indeterminato ed indistinto di investitori in modo uniforme e standardizzato, cioè a condizioni di tempo e prezzo predeterminati; quando invece come nella fattispecie in esame, la diffusione di strumenti finanziari presso il pubblico avvenga mediante la prestazione di “servizi di investimento” (D.Lgs. n. 58 cit., art. 1, comma 5), cioè attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento in cui l’operazione è eseguita, la tutela del cliente è affidata all’adempimento da parte dello intermediario di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e degli artt. 26 e ss. del regolamento Consob n. 11522 del 1998 (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 ottobre 2012, n. 18039). L’applicabilità di tali disposizioni non può essere esclusa, nella specie, in virtù della circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che i titoli offerti all’investitore, emessi da uno Stato estero, non siano stati ceduti al B. dalla stessa Banca, ma siano stati acquistati da quest’ultima sul mercato per conto del cliente: ai sensi dell’art. 28 del regolamento Consob, l’obbligo di chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi d’investimento e la sua propensione al rischio sussiste infatti in ogni caso di prestazione di servizi di investimento, tra i quali, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1, comma 5, lett. b), è espressamente compresa anche l’esecuzione di ordini per conto dei clienti (cfr. Cass., Sez. 1^, 29 ottobre 2010, n. 22147; 25 giugno 2008, n. 17340), con la conseguenza che a tali servizi si applica anche il divieto, previsto dal secondo comma dell’art. 28 cit., di effettuare o consigliare operazioni se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza risulti necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento.

9.1. – La ricorrente contesta di essere incorsa nella violazione di tale divieto, affermando di avere regolarmente comunicato al cliente il rating dei titoli ed il loro tasso di rendimento, e censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto necessaria, ai fini della relativa dimostrazione, la produzione di un documento scritto, e quindi inammissibile la prova testimoniale dedotta al riguardo: l’obiezione non coglie tuttavia nel segno, dal momento che, nel ritenere necessaria la prova scritta, la Corte distrettuale non ha affatto inteso riferirsi all’adempimento degli obblighi informativi posti a carico della Banca, ma alla dichiarazione del cliente di voler dare comunque corso all’operazione, per la quale l’art. 29, comma 3, del regolamento Consob richiede effettivamente la forma scritta, e dalla quale, secondo il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, avrebbe potuto eventualmente desumersi anche l’avvenuto adempimento dell’obbligo d’informare il cliente in ordine all’adeguatezza dell’operazione. Il rigetto dell’istanza di ammissione della prova testimoniale trova invece giustificazione nell’affermata irrilevanza della stessa, in quanto riguardante esclusivamente l’avvenuta acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione finanziaria dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, nonchè l’effettuazione delle operazioni di acquisto delle obbligazioni in base ad un’iniziativa dello stesso B., laddove invece sarebbe stata necessaria anche la dimostrazione che quest’ultimo era stato informato delle caratteristiche specifiche dei titoli offerti e della rischiosità dell’operazione.

9.2. – Quanto poi all’adeguatezza delle operazioni, la ricorrente, nel censurare il relativo accertamento, non è in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sull’elevata propensione al rischio dell’investitore e sulla conformità delle operazioni al profilo di rischio emergente dalla consistenza del capitale impegnato nelle operazioni e dagl’investimenti precedentemente effettuati dal medesimo soggetto, in tal modo sollecitando una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto dalla Corte di merito, senza peraltro neppure tener conto dell’affermazione di quest’ultima, avente portata determinante, secondo cui, anche se l’investimento fosse stato adeguato al profilo di rischio del risparmiatore, la Banca sarebbe stata egualmente tenuta ad illustrargliene la specifica rischiosità. Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, infatti, la circostanza che il cliente investa abitualmente in titoli finanziari o abbia in precedenza acquistato altri titoli ad alto rischio non è di per sè sufficiente a renderlo un investitore qualificato o professionale, a tal fine occorrendo non solo l’appartenenza ad una delle categorie previste dall’art. 31, comma 2, del regolamento Consob o comunque il possesso di specifici requisiti di professionalità, ma anche la manifestazione della volontà di essere considerato tale, in mancanza della quale non può pertanto escludersi l’applicabilità degli artt. 27 e 30 del regolamento, e quindi, in particolare, l’obbligo dell’intermediario di fornire un’adeguata informazione in ordine alla tipologia ed alle caratteristiche dei titoli offerti, nonchè ai rischi specificamente connessi all’investimento proposto (cfr. Cass., Sez. 1^, 20 novembre 2015, n. 23805; 31 agosto 2015, n. 17333).

9.3. – Nessun rilievo poteva infine assumere, ai fini dell’esclusione o dell’attenuazione della responsabilità della Banca, la mancata adesione dell’attore all’offerta pubblica di scambio dei vecchi titoli con nuove obbligazioni, formulata dalla Repubblica Argentina a seguito dell’arbitrato internazionale promosso nei suoi confronti dalle banche, trattandosi di un comportamento che, in quanto successivo alla perdita del capitale investito, non poteva essere considerato idoneo ad inserirsi, con efficacia esclusiva o quanto meno concorrente, nella sequenza causale innescata dall’inadempimento degli obblighi informativi, in modo tale da cagionare autonomamente l’evento dannoso o da contribuire alla sua produzione, ma solo ad elidere o ad attenuare il pregiudizio economico derivante dall’inosservanza dei predetti obblighi, con la conseguenza che esso poteva venire in considerazione esclusivamente ai fini della liquidazione del risarcimento (cfr. Cass., Sez. 3^, 5 agosto 2005, n. 16588; 8 aprile 2003, n. 5511; 15 marzo 1989, n. 1306).

In proposito, peraltro, la Corte distrettuale, pur evidenziando la difficoltà di valutare la convenienza dell’offerta, in virtù della complessità del prospetto informativo diffuso tra gl’investitori, ha dato espressamente atto del comportamento diligente tenuto dal B., il quale aveva interpellato al riguardo la Banca, ricevendone una risposta negativa, ed ha conseguentemente escluso l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., comma 2. La portata risolutiva di tale affermazione comporta l’inammissibilità della censura riflettente il difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha omesso di pronunciare in ordine all’istanza di ammissione della c.t.u. richiesta dalla ricorrente: tale provvedimento costituisce infatti oggetto di un potere discrezionale, il cui mancato esercizio è insindacabile in sede di legittimità, ogni qualvolta, come nella specie, il giudice di merito abbia adeguatamente motivato la propria decisione sulla base degli elementi istruttori di cui disponeva, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, in tal modo dimostrando di poter fare a meno del contributo tecnico del consulente (cfr. Cass., Sez. 2^, 3 gennaio 2011, n. 72; Cass., Sez. 3^, 15 luglio 2008, n. 19458; Cass., Sez. 1^, 28 febbraio 2006, n. 4407).

10. – Nel censurare, con il quarto ed il quinto motivo, la valutazione compiuta dalla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del nesso eziologico, la ricorrente si limita d’altronde a riproporre le doglianze sollevate con l’atto di appello, denunciandone l’omesso esame, in contrasto con l’ampiezza della argomentazioni svolte al riguardo dalla Corte distrettuale, e lamentando in particolare l’assenza di riferimenti a regole di esperienza, pratiche usuali, fatti notori e nozioni comuni, nonchè il ricorso ad elementi indiziari privi dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza, senza però individuare specificamente le carenze dell’iter logico – giuridico in base al quale la Corte di merito ha ricollegato all’inadempimento di essa ricorrente la produzione del danno subito dall’attore. In tal modo, essa dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge ed omessa motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza impugnata, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare l’intera vicenda processuale, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico – formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale compete, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunzione e la valutazione delle prove ed il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonchè la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3^, 4 novembre 2013, n. 24679; 9 agosto 2007, n. 17477; Cass., Sez. 5^, 16 dicembre 2011, n. 27197).

10.1. – In ordine alla liquidazione del danno, la sentenza impugnata ha fatto poi riferimento alla perdita del capitale investito, in tal modo conformandosi all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di prestazione del servizio di negoziazione di titoli, secondo cui il pregiudizio derivante dall’acquisto di titoli ad alto rischio, posto in essere dall’intermediario finanziario senza adempiere i propri obblighi informativi nei confronti del cliente, consiste nell’imposizione a carico di quest’ultimo di un rischio che presumibilmente egli non si sarebbe accollato, e può dunque essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitola, a meno che non risulti che, dopo l’acquisto, ma già prima della proposizione della domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli con l’uso dell’ordinaria diligenza, e non sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia conservati nel proprio patrimonio (cfr. Cass., Sez. 1^, 31 dicembre 2013, n. 28810; 29 dicembre 2011, n. 29864).

Nell’applicazione di tale criterio, la Corte territoriale ha peraltro omesso di tener conto dell’affermazione, contenuta nell’atto di appello, secondo cui nelle more del gravame il B. aveva proceduto alla vendita delle obbligazioni, ricavandone l’importo di Euro 72.275,07: in ordine a tale circostanza, la cui deducibilità in sede d’impugnazione non poteva essere esclusa ai sensi dell’art. 345 c.p.c., in quanto verificatasi successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado ed idonea ad incidere sull’entità del pregiudizio lamentato dall’attore, la sentenza impugnata ha omesso di compiere qualsiasi verifica, in tal modo trascurando un fatto decisivo ai fini della liquidazione del risarcimento.

11. – Il quarto ed il quinto motivo di ricorso vanno pertanto accolti, nella parte riflettente l’omessa valutazione dell’intervenuta vendita dei titoli, con il conseguente assorbimento delle ulteriori censure concernenti il riconoscimento della rivalutazione monetaria sulla somma liquidata ed il regolamento delle spese processuali. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie parzialmente il quarto ed il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Cosi deciso in Roma nella Camera di Consiglio, il 10 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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