Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16935 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 15/06/2021), n.16935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 361-2019 proposto da:

R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO

BOCCARDO 26-A, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARCHEGIANI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

E.J.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

7, presso lo studio dell’avvocato PIETRO LODOLI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

contro

C.M.;

– intimato –

R.M., R.S., R.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIROLAMO BOCCARDO 26/A, presso lo studio

dell’avvocato GENNARO FREDELLA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 6521/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 13/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CRICENTI

GIUSEPPE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1.- Con contratto preliminare del 4.6.1987 R.O., per tramite di un mandatario, ha promesso in vendita un immobile a E.J.M., ma è venuto meno all’obbligo di stipula del definitivo, in quanto sosteneva di non aver mai dato mandato a quel tale procuratore di concludere il contratto per suo conto.

Il Tribunale di Roma, in un primo momento, ha trasferito l’immobile in via coattiva; la Corte di appello ha però rilevato la mancata integrazione del contraddittorio nei riguardi della moglie del R., promittente venditore, che con costui condivideva il regime di comunione dei beni, ed ha annullato con rinvio.

Ritornata la causa in primo grado, il R. ha proposto una nuova ed ulteriore questione, ossia che il preliminare era stato stipulato solo da lui e non dalla moglie, che pure era parte necessaria in ragione del regime di comunione legale dei beni; di conseguenza il Tribunale, ritenuta fondata questa eccezione, ha rigettato la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre.

Il promissario, ossia E.J., ha proposto appello facendo presente che la moglie del promittente venditore, pretermessa dalla stipula, avrebbe dovuto far valere questa lesione entro l’anno, e non lo ha invece fatto, con conseguente “sanatoria” del vizio; la Corte di Appello tuttavia trascura questo argomento e conferma la decisione del primo grado di rigettare la domanda ex art. 2932 c.c.. E.J. propone dunque ricorso per Cassazione, che viene accolto (n. 10653/2015): la Corte, infatti, osserva come i giudici di appello non abbiano tenuto in alcun conto l’art. 184 c.c. che, per l’appunto, fissa il termine di un anno per l’azione di annullamento del preliminare da parte del coniuge pretermesso dalla stipula, e dunque rinvia nuovamente ad altra sezione della Corte di appello.

Il promissario acquirente, E.J., riassume conseguentemente la causa, nella quale il promittente introduce un’altra nuova questione, vale a dire che, in base ad una relazione tecnica del 17.11.2015, fatta valere con la comparsa del 16.12.2015, l’immobile presenta alcune difformità rispetto alla sua descrizione catastale ed ufficiale, e dunque non può essere venduto.

La Corte di appello, investita del rinvio, rigetta questo argomento, ritenendolo inammissibile, in quanto proposto per la prima volta nel giudizio di rinvio, dove non sono consentite questioni nuove.

2.- R.O. impugna questa decisione di appello con tre motivi, cui aderiscono i suoi figli, S., C. e R.M., subentrati nella causa a seguito della morte della madre, dunque dell’altra parte promittente venditrice, i quali peraltro propongono ricorso incidentale con un motivo. Resiste in giudizio E.J. con controricorso. V’è memoria del ricorrente principale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.- I primi due motivi possono considerarsi insieme.

Attengono infatti entrambi al mancato rilievo dato dalla Corte di appello alla irregolarità urbanistica o edilizia, certificata da un tecnico nel novembre del 2015, ossia sette anni dopo il preliminare, ed addotta dai promittenti venditori quale ragione ostativa al trasferimento.

Infatti, il primo motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1, e degli artt. 2932 e 2937 c.c., o comunque omesso esame di fatto decisivo, e contesta alla Corte di merito di non aver tenuto conto della attestazione con cui un tecnico rilevava la difformità edilizia ed urbanistica del bene oggetto di vendita.

Ritiene il ricorrente che l’irregolarità edilizia è questione che, essendo rilevabile d’ufficio, ed impedendo assolutamente, ossia senza eccezioni, il trasferimento del bene, può essere fatta valere anche per la prima volta nel giudizio di rinvio, dove invero è stata dedotta, e dove il giudice l’ha disattesa ritenendola preclusa.

Con il secondo motivo, si denuncia invece violazione della L. n. 52 del 1985, art. 29 e degli artt. 2932 e 2697 c.c.

La tesi del ricorrente è che il giudice di rinvio ha pronunciato il trasferimento senza verificare la regolarità urbanistica o edilizia del bene, verifica che avrebbe dovuto compiere a prescindere dalla denunciata irregolarità ad opera del promittente.

A questi due motivi di ricorso aderiscono pienamente le altre parti promittenti ossia i figli del ricorrente, che propongono ricorso incidentale di cui si dirà in seguito.

I motivi sono infondati.

Non è ovviamente superfluo nè ultroneo osservare che il contratto preliminare è stato stipulato nel 2008 e che il certificato tecnico che dimostrerebbe l’irregolarità edilizia è redatto nel novembre del 2015. Risulta dagli atti che il bene oggetto di giudizio è rimasto nel possesso del venditore, con la conseguenza che, ad escludere che costui abbia realizzato la diffotinità dopo non solo la stipula del preliminare, ma altresì dopo un intero giudizio avente ad oggetto il trasferimento coatto (ossia subito dopo la decisione della Cassazione); ad escludere dunque che la difformità sia stata realizzata successivamente, è d’obbligo ammettere che allora esisteva al momento della stipula del preliminare ed andava in quel momento, o comunque nel primo grado di giudizio, fatta valere: si tratta cioè di una questione non dedotta prima, ma deducibile.

Ciò detto, la regola affermata dalla Corte di Appello e qui contestata, è corretta, in quanto, come statuito da questa Corte “nel giudizio di rinvio è inibito alle parti prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, così come non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento, e tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa.” (Cass. 327/ 2010; Cass. 22885/ 2015; Cass. 19436/ 2018).

Ne deriva che nè il primo nè il secondo motivo colgono nel segno.

Non il primo in quanto lamenta violazione del diritto di introdurre una questione comunque rilevabile d’ufficio: quella della difformità e dunque non commerciabilità del bene, il cui accoglimento comporterebbe violazione del giudicato.

Ma le medesime ragioni valgono anche rispetto al secondo motivo che si duole del fatto che il giudice di rinvio non ha d’ufficio verificato la regolarità edilizia del bene oggetto di trasferimento, a prescindere dalla dedotta eccezione della parte.

Vale, per entrambi i motivi, la regola richiamata sopra, per la quale nel giudizio di rinvio non possono accertarsi domande o eccezioni nuove, non prospettate precedentemente neanche ove siano rilevabili d’ufficio, ad impedire che in tale giudizio venga posto nel nulla quanto è passato in giudicato, ed anche perchè il giudizio di rinvio è limitato alla cognizione del punto oggetto di specifico annullamento.

Va ricordato, del resto, che la Corte di cassazione, con la pronuncia (n. 10653/2015) con cui ha annullato con rinvio, ha deciso solamente quanto alla inefficacia del preliminare nei confronti del coniuge pretermesso, con la conseguenza che il giudizio di rinvio era limitato a tale questione, mentre ogni altra, ed in particolare quella relativa alla efficacia del preliminare verso l’altro coniuge, quello stipulante, è diventata giudicato, non più discutibile in sede di rinvio, per cui porre in tale sede la questione della validità complessiva del contratto preliminare, significa tentare di porre nel nulla un accertamento (validità ed efficacia del preliminare nei confronti dello stipulante) ormai definitivo.

4.- Con il terzo motivo il ricorrente, e vi aderiscono i figli, denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ritenendo errata la decisione impugnata nella parte in cui ha posto a suo carico le spese anche dei primi due giudizi di merito, ossia primo e secondo grado iniziali, all’esito dei quali le spese erano state compensate, e la relativa pronuncia non impugnata.

Ossia: il Tribunale pronuncia sentenza di trasferimento dell’immobile; questa sentenza è annullata con rinvio per omessa integrazione del contraddittorio con decisione di appello che compensa le spese, che, a sua volta, non è stata impugnata e dunque è diventata definitiva.

Il motivo è infondato.

La decisione della corte di appello, infatti, è stata di annullamento con rimessione al primo grado, anche per quanto riguarda le spese del procedimento, che dunque non erano diventate definitive. Il meccanismo è simile all’effetto espansivo interno proprio della impugnazione: quando non vi sia impugnazione sulle spese, ma nel merito, il giudice della impugnazione è comunque libero di decidere nuovamente sulle spese anche del grado inferiore, qualora la decisione sia poi in contrasto con quella impugnata (Cass. 23985/ 2019). Ed è ciò che è accaduto: il giudice di primo grado cui ha restituito gli atti quello di appello, ha nuovamente pronunciato sulle spese, e così ha fatto quello successivo di appello, con decisione poi annullata dalla Corte di Cassazione che, rinviando a diversa corte di appello, l’ha investita del giudizio sulle spese di ogni grado precedente; così che la decisione impugnata ha correttamente pronunciato sulle spese di tutti i giudizi fino a quel momento svoltisi in ragione del rinvio fatto dalla Corte di cassazione, ossia in quanto questione devoluta dall’annullamento con rinvio.

6.- S., M. e R.C. propongono ricorso incidentale, con due motivi, assumendo con il primo motivo, violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.

La loro tesi è la seguente.

Essi subentrano nella posizione processuale della madre, defunta in corso di causa, e ritengono che la loro dante causa aveva posto, in proprio, la questione della invalidità della procura con cui era stato stipulato il preliminare e che, nonostante ciò, la Corte ha erroneamente ritenuto che invece una questione specifica su tale procura e diversa da quella, accertata con giudicato, e posta dal padre, ossia da R.O., non era stata affatto fatta valere dalla dante causa.

Ritengono che invece la madre, nel costituirsi in giudizio, aveva posto la questione contestando, per suo conto, la validità di quella procura.

Il motivo è inammissibile.

Invero, è basato sul presupposto che una domanda di invalidità del contratto preliminare o comunque di invalidità della procura, è stata autonomamente fatta da Si.Iv.El., la madre dei ricorrenti incidentali, nella cui posizione costoro subentrano.

Tuttavia, questi ultimi non riportano nel controricorso la domanda, nemmeno in sintesi, nè indicano dove l’abbiano svolta, o dove l’avesse svolta la loro dante causa. Prova ne sia che essi la ritengono compresa nella generica difesa svolta nei precedenti gradi di merito, dove la madre si è limitata ad aderire alle domande del marito; il che però lungi dall’essere prova di una autonoma domanda, è prova del contrario: la difesa così generica è di mera adesione alle richieste dell’altra parte in giudizio, esattamente come interpretato correttamente dalla corte di merito.

Il motivo dunque è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale le suddette parti ripropongono le medesime censure (di violazione degli artt. 91 c.p.c. e ss.) fatta con il terzo motivo del ricorso principale Valgono dunque le considerazioni già fatte per quest’ultimo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna sia il ricorrente principale che quelli incidentali al pagamento delle spese di giudizio che liquida in 8000,00 Euro oltre 200,00 Euro di spese generali, per ciascuno, ossia per complessive 16.400 Euro. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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