Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16933 del 12/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 12/08/2020), n.16933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19714-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

25, presso lo studio dell’avvocato SIMONE AGROFOGLIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA FASAN;

– ricorrente –

contro

– ASSOCIAZIONE CULTURALE “MONUMENTO CASTELLO DI LUNGHEZZA”, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LAURENTINA 563, presso lo studio

dell’avvocato CRISTINA LIBERTI, che la rappresenta e difende;

VESTA ROBUR S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURENTINA 563, presso lo

studio dell’avvocato CRISTINA LIBERTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5386/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/12/2017, R.G.N. 3821/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRA FASAN;

udito l’Avvocato CRISTINA LIBERTI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 22 dicembre 2017, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione avanzata da C.S. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda da lui proposta, volta all’accertamento della pregressa sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Vesta Robur s.r.l. e della Associazione Culturale “Monumento Castello di Lunghezza” – da intendersi come unico centro di imputazione di interessi – dal 18/03/2001 al 20/10/2008 data in cui era stato verbalmente licenziato, con condanna delle stesse al pagamento delle competenze spettantegli. Con la medesima pronuncia era stata respinta anche la domanda subordinata, mediante la quale si chiedeva venisse accertata la natura subordinata in termini di part time di tipo verticale del rapporto di lavoro ed altresì l’inefficacia del licenziamento verbale intimatogli.

1.1. In particolare, il giudice di secondo grado, dopo aver richiamato gli indici essenziali, rivelatori della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha escluso qualsivoglia imputabilità del rapporto all’Associazione culturale ed alla società Vesta per il periodo 2001/2004 essendo state entrambe costituite nel 2004 e, relativamente al periodo successivo, ha ritenuto che dall’esame dei testi escussi non emergesse la natura subordinata del rapporto, rinvenendo, piuttosto, elementi compatibili con il rapporto di lavoro autonomo.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.S., affidandolo a quattro motivi.

2.1. Resistono, con controricorso, l’Associazione culturale “Monumento Castello di Lungezza” e la Vesta Robur s.r.l.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2094 c.c. per non avere la sentenza impugnata operato un corretto accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro in base agli indici sintomatici che lo caratterizzano.

1.1. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non aver la Corte analizzato le specifiche dichiarazioni dei testi, sussunto la fattispecie in una norma non pertinente e insufficientemente motivato sulla compatibilità delle direttive datoriali con il lavoro autonomo.

1.2. Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per aver omesso la Corte di esaminare integralmente i documenti oggetto di causa rappresentati dalle buste paga e dalle ricevute oltre che della ricostruzione riportata dal lavoratore.

1.3. Con il quarto motivo si deduce la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 per aver erroneamente la Corte valutato gli elementi probatori acquisiti in ordine al licenziamento orale nonchè l’esame omesso di un fatto decisivo con riguardo alla mancata valutazione delle buste paga del ricorrente in cui erano formalizzate le mansioni e il livello di inquadramento.

2. Il primo motivo è infondato e non può essere accolto.

2.1.Per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 20335 del 2017, con particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto di motivazione e della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità della motivazione di cui all’art. n. 360 c.p.c., n. 5, comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste quando il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, o comunque, qualora si addebiti alla ricostruzione di essere stata effettuata in un sistema la cui incongruità emerge appunto dall’insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della sentenza; attiene, invece, alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa.

Nella specie, la stessa piana lettura delle modalità di formulazione del motivo considerato induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad ottenere una inammissibile rivisitazione in fatto, sulla base di una diversa valutazione di esso come ricostruito alla luce dell’esame delle risultanze probatorie acquisite in primo grado, proponendone una diversa lettura.

La parte si sofferma, invero, sostanzialmente, sulla ricostruzione in fatto della vicenda e delle sue conseguenze – deducendo l’omesso esame di circostanze rilevati e mira ad ottenere una rivisitazione del merito anche in ordine ad aspetti del tutto sottratti al sindacato di legittimità.

In particolare, il Collegio d’appello ha escluso che vi fosse un orario prestabilito e che nello svolgimento delle proprie mansioni di attore o di “personale di servizio” il C. fosse sottoposto a direttive datoriali e non potesse declinare la chiamata senza essere pretermesso dalle liste, attestando, piuttosto, una saltuarietà ed occasionalità della prestazione lavorativa dell’appellante.

Tale valutazione, immune da vizi logici, è sottratta al sindacato di legittimità.

3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, non possono trovare accoglimento.

Giova sottolineare al riguardo, che, come ribadito anche di recente da questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 28887 del 2019), l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

D’altro canto, la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni

– svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento;

– con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 1997, n. 13045 e, fra le tante: Cass. 18 marzo 2013, n. 6710) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità (dall’art. 360 c.p.c., n. 5) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Infine, va rimarcato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla soia verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017).

3.1. Nel caso di specie, con la propria argomentazione, la Corte d’appello, proprio con riguardo al ruolo direttivo della Navarra, più volte richiamato dal C., peraltro conformandosi a quanto già ritenuto in primo grado, ha rilevato come dalle dichiarazioni testimoniali assunte emergesse con chiarezza la totale libertà di movimento di coloro che erano coinvolti non solo nel periodo fra novembre e marzo, ma anche da marzo a giugno – e, nel periodo estivo, fino a novembre – atteso che non sussisteva alcun obbligo di rispettare l’orario di lavoro, essendo tenuti ad avvisare per le assenze solo per ragioni di cortesia.

Relativamente, poi, al denunziato omesso integrale esame dei documenti prodotti, rappresentati dalle buste paga e dalle ricevute dei pagamenti, con l’inquadramento al terzo livello del CCNL Enti lirici, si ribadisce che l’omessa valutazione deve riguardare un fatto e non un elemento di prova ed inoltre che è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, talchè, la parte, con il ricorso per cassazione, non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione delle fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 29404 del 7/12/2017).

4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto. 4.1. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

5. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 -bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore delle controricorrenti delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 ciascuna per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2020

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