Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16930 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 15/06/2021), n.16930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13523-2020 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TROIANI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MORENO PRIMIERI, SABRINA

SACCOMANNI;

– controricorrente –

contro

B.P., BI.OR., M.D.F.A.C.,

L.U., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7337/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 13/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 27/11/2019, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto, tra gli altri, da R.L., e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni sofferti dal R. in conseguenza del mancato recepimento, da parte dello Stato italiano, delle direttive comunitarie 75/363/CEE e 82/76/CEE, avendo il R., dopo il conseguimento della laurea in medicina, frequentato il corso di specializzazione in radiodiagnostica (tra il 1983 e il 1986), senza percepire l’equa remunerazione al riguardo prevista dalla disciplina comunitaria a carico di ciascuno Stato nazionale;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il corso di specializzazione in radiodiagnostica fosse testualmente previsto nelle direttive comunitarie indicate tra quelle legittimanti il conseguimento dell’equa remunerazione sopra indicata, a nulla rilevando la relativa durata inferiore ai quattro anni raccomandati dalla disciplina continentale, dovendo imputarsi, detta durata inferiore, agli inadempimenti organizzativi dell’amministrazione italiana, con la conseguente attestazione del diritto del R. al conseguimento di quanto dallo stesso rivendicato;

avverso la sentenza d’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

a seguito della fissazione della Camera di Consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di impugnazione proposto, la Presidenza del Consiglio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle direttive 82/76/CEE, 75/363/CEE e 75/362/CEE (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente attestato la sussistenza del diritto della controparte al conseguimento dell’equa remunerazione rivendicata, nonostante l’avvenuta frequentazione, da parte del R., di un corso di specializzazione in radiodiagnostica che (pur ricompreso negli elenchi contenuti dalle citate direttive) era stato organizzato per la durata di tre anni, inferiore a quella minima di quattro anni imposta dalla disciplina continentale;

il motivo è inammissibile;

al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);

nel caso di specie, il giudice a quo ha riconosciuto il diritto del R. al conseguimento dell’equa remunerazione dello stesso rivendicata, uniformandosi al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, sentenza del 19 gennaio 2017, n. 1277), che in proposito ricorda come:

1) già Cass. n. 23577 del 2011, poi richiamata da numerose pronunce, aveva così statuito: “La mancata trasposizione, nel termine prescritto, della direttiva 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE, ha determinato in capo allo Stato – e in favore dei soggetti che abbiano seguito corsi di specializzazione medica dal 10 gennaio 1983 sino all’anno accademico 1990-1991 – una responsabilità per inadempimento di obbligazione ex lege, per non aver assicurato, in relazione alle specializzazioni contemplate negli elenchi degli artt. 5, n. 2, e 7, n. 2, della direttiva 75/363/CEE, le modalità di svolgimento di detti corsi secondo quanto stabilito dagli artt. 2, n. 1, 3 e relativo Allegato (ai punti 1 e 2, concernenti, rispettivamente, la formazione a tempo pieno e quella a tempo parziale) della direttiva 82/76/CEE, in condizioni tali che, se quest’ultima fosse stata tempestivamente e correttamente adempiuta, i frequentanti avrebbero acquisito il diritto all’adeguata remunerazione. Ne consegue che lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi predetti, potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione (tempo pieno o parziale) sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della disciplina dettata dal diritto comunitario”;

2) Cass. n. 23296 del 2011, quanto all’onere della prova riguardo all’assenza di svolgimento di attività lavorativa esterna remunerata durante il periodo di formazione, aveva enunciato il seguente principio di diritto: “lo specializzando non deve provare altro che la frequenza di una scuola di specializzazione, gravando sul debitore l’onere di provare eventuali fatti impeditivi del sorgere del diritto, tenuto anche conto che l’impossibilità di frequentazione di una scuola di specializzazione in conformità della direttiva era una delle conseguenze dell’inadempimento del legislatore italiano”;

3) le sentenze nn. 21973, 21498, 23275 e 23276 del 2011, in tema di onere della prova, avevano osservato che “da un canto (in consonanza con il dictum di cui a Cass. 6427/08), l’impossibilità di frequentazione di una scuola di specializzazione in conformità della direttiva sia conseguenza dell’inadempimento del legislatore italiano – non senza considerare, ancora, che la pronuncia poc’anzi ricordata (proprio al fine di ricondurre a diritto e a ragionevole equilibrio funzionale situazioni meritevoli di una disciplina sostanziale diacronicamente analoga) ha già avuto modo di precisare come la circostanza pacifica che i medici avessero, nel periodo di ritardata attuazione della direttiva, frequentato le scuole di specializzazione come allora organizzate lascia presumere, quanto meno in linea teorica, che essi le avrebbero frequentate anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie; dall’altro (sulla scia di quanto affermato da Cass. n. 488/09) che i medici non potevano in alcun modo ritenersi onerati della prova di non aver percepito, durante il periodo di formazione, altre remunerazioni professionali ovvero di non essere titolari di altre borse di studio, trattandosi di circostanze eventualmente rilevanti a titolo di aliunde perceptum, con onere della prova a carico del soggetto inadempiente”;

4) in senso non diverso si erano espresse le sentenze nn. 23566 e 24816 del 2011, e, nel 2013, le sentenze nn. 1331, 3218, 3220, 3279, 8578, 17068, 17069, 17072 e 21368;

5) ancora le sentenze nn. 1064, 3438 e 3439 del 2014, avevano affermato il seguente principio di diritto “La mancata trasposizione, nel termine prescritto, della direttiva 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE, ha determinato in capo allo Stato – e in favore dei soggetti che abbiano seguito corsi di specializzazione medica dal 1^ gennaio 1983 sino all’anno accademico 1990-1991 – una responsabilità per inadempimento di obbligazione ex lege, per non aver assicurato, in relazione alle specializzazioni contemplate negli elenchi degli artt. 5, n. 2, e 7, n. 2, della direttiva 75/362/CEE, le modalità di svolgimento di detti corsi secondo quanto stabilito dagli artt. 2, n. 1, 3 e relativo Allegato (ai punti 1 e 2, concernenti, rispettivamente, la formazione a tempo pieno e quella a tempo parziale) della direttiva 82/76/CEE, in condizioni tali che, se quest’ultima fosse stata tempestivamente e correttamente adempiuta, i frequentanti avrebbero acquisito il diritto all’adeguata remunerazione. Ne consegue che lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi predetti, potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione (tempo pieno o parziale) sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della disciplina dettata dal diritto comunitario”;

6) le sentenze nn. 2688, 3440 e le ordinanze nn. 2686, 2689 del 2014 avevano affermato, infatti, che da un lato, la circostanza pacifica che i medici avessero nel periodo di ritardata attuazione della direttiva frequentato le scuole di specializzazione, come allora organizzate, lasciava presumere, quantomeno in linea teorica, che essi le avrebbero frequentate anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie, di talchè, addebitando agli specializzandi la mancata conformità delle modalità di frequenza dei corsi a quelle previste dalle pertinenti direttive, si sarebbero poste a loro carico le conseguenze dell’inadempimento dello Stato (cfr. Cass. civ. 11 marzo 2008, n. 6427, specificamente richiamata nella motivazione della sentenza impugnata); dall’altro, che i medici non potevano essere gravati della prova di non aver percepito, durante il periodo di formazione, altre remunerazioni o borse di studio, trattandosi di circostanze la cui dimostrazione spettava al soggetto inadempiente (cfr. Cass. civ. 27 gennaio 2012, n. 1182);

7) la continuità della richiamata giurisprudenza è perdurata nel 2015 con le sentenze nn. 832, 2738, 6473, 7626 e 10611, e complessivamente riassunta dalla citata Sez. 3, sentenza del 19 gennaio 2017, n. 1277;

rispetto a tali orientamenti della giurisprudenza di legittimità (inclini a riconoscere la responsabilità dello Stato italiano anche per il mancato tempestivo adeguamento delle modalità di organizzazione dei corsi di specializzazione secondo forme coincidenti con le indicazioni della normativa comunitaria), l’odierna Presidenza del Consiglio ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali non pertinenti e non adeguatamente argomentati;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna dell’amministrazione ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna Presidenza del Consiglio dei Ministri al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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