Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16928 del 12/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 12/08/2020), n.16928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23050-2018 proposto da:

ISTITUTO VIGILANZA ARGO S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI LA PENNA;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLA CATANI, e PATRIZIA FEDE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2159/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/05/2018, R.G.N. 361/2018.

 

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte di appello di Roma, quale giudice del reclamo, ha confermato la illegittimità del licenziamento intimato a P.G. da Istituto di Vigilanza Argo s.r.l. sulla base di contestazione che addebitava al lavoratore l’accordo con altro dipendente C. – per la manomissione di veicolo aziendale.

Ha osservato la Corte di merito che dal colloquio telefonico tra il C. ed il P. emergeva con chiarezza che solo il primo, il quale aveva l’uso dei veicolo, aveva manifestato volontà ed interesse al danneggiamento dell’autovettura per conseguirne la sostituzione mentre il P. si era limitato a dare un cattivo consiglio (in ordine alla possibilità di manomissione del veicolo mediante versamento di zucchero nel serbatoio), con espressioni insufficienti a concretizzare l’esistenza di un progetto comune;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’Istituto di Vigilanza Argo s.r.l. sulla base di due motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2104,2105,2118 e 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 18 censurando la sentenza impugnata per non avere considerato che quelli definiti quali consigli disdicevoli rappresentavano l’elemento costitutivo di una partecipazione, quanto meno morale, alla fase ideativa di un progetto illecito finalizzata al danneggiamento di un bene aziendale; in questa prospettiva assume che non era possibile differenziare le posizioni dei due dipendenti;

2. che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 censurando la sentenza impugnata per avere apoditticamente affermato che non vi era correlazione fra la contestazione e il fatto accertato; ciò in violazione del disposto dell’art. 7 cit. il quale non prevede che la contestazione debba avvenire secondo schemi rituali essendo sufficiente la circostanziata esposizione dei fatti imputati;

3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non incentrato sul significato e sulla portata applicativa delle norme delle quali denunzia violazione, come prescritto al fine della valida censura della decisione (Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007, Cass. n. 11501 del 2006), ma inteso a sollecitare la rivalutazione nel merito della vicenda con particolare riferimento alla interpretazione della condotta ascritta al lavoratore sulla base delle risultanze di causa;

3.1. che, infatti, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che quest’ultima censura, e non la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., fra le altre, Cass. n. 14468 del 2015);

3.2. che le censure di parte ricorrente sono peraltro inidonee alla valida impugnazione della decisione anche sotto il profilo della denunzia di vizio di motivazione alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, per la dirimente considerazione che parte ricorrente non indica alcun fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014) ma si limita a contrapporre all’accertamento del giudice di appello una diversa interpretazione delle risultanze di causa ed in particolare del contenuto del colloquio telefonico tra il P. ed il collega nell’ambito del quale furono dal primo profferite le espressioni alla base dell’addebito contestato;

4. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza della censura articolata con le concrete ragioni alla base del decisum alle quali risultano del tutto estranee valutazioni connesse alla necessità che la contestazione dell’addebito sia formulata secondo schemi rituali. La sentenza impugnata, nell’implicito presupposto della formale correttezza della lettera di contestazione, ha, infatti, proceduto ad una valutazione nel merito della condotta oggetto di addebito escludendo, sulla base di accertamento di fatto, non validamente incrinato dalle doglianze del ricorrente, che in tale condotte fosse ravvisabile l’accordo del P. con il proposito del collega di manomettere la vettura aziendale, come, invece, contestato;

5. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;

6. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2020

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