Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16925 del 20/07/2010

Cassazione civile sez. I, 20/07/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 20/07/2010), n.16925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – est. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Marra Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

per la cassazione del decreto della corte d’appello di Napoli n.

3381/06 VG depositato il 9 luglio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 23 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Onofrio

Fittipaldi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.M. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che, liquidando Euro 1.000,00 per ogni anno eccedente il termine di tre anni ritenuto ragionevole, e quindi Euro 4.000,00 ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al t.a.r. Campania a far tempo dal 20.6.98 e definito il 30.8.2005.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Con provvedimento del Presidente in data 25 maggio 2010 è stato incaricato della redazione della presente ordinanza il Cons. Vittorio Zanichelli.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità dei quesito. Posto invero che “Il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile rinvestitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo con i quali si denuncia l’insufficiente quantificazione dell’equo indennizzo sono manifestamente infondati.

Premesso che la Corte ha enunciato il principio secondo cui “Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale è tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) è di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille ed i millecinquecento euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole” (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), nessuna censura può essere mossa all’impugnata decisione che, liquidando in Euro 1.000,00 in ragione d’anno il danno morale conseguente all’irragionevole durata del processo eccedente i tre anni, si è attenuta ai richiamati parametri, non essendo stati evidenziati convincenti elementi che avrebbero dovuto comportare una maggiore liquidazione.

Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea del Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca a giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001 “(Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Manifestamente fondati sono invece gli ulteriori motivi con i quali ci si duole della compensazione delle spese motivata con la mancata contestazione da parte della Amministrazione che non avrebbe dato causa al giudizio, essendo già stato affermato il diverso principio secondo cui “i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e ss. cod. proc. civ., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito. Ne consegue che la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione convenuta, non implicando acquiescenza alla pretesa dell’attore, non è sufficiente di per sè a giustificare la compensazione delle spese processuali, la quale postula che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione in tal senso, dal momento che è pur sempre da una colpa organizzativa dell’Amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice” (Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 1101 del 22/01/2010).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione delle spese del giudizio di merito liquidate come in dispositivo.

L’accoglimento solo parziale del ricorso e unicamente in punto spese induce a compensare nella misura dei due terzi quelle di questa fase, ponendo il residuo a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 873,00 di cui Euro 445,00 per onorari e Euro 378,00 per diritti, oltre spese generali e accessori di legge; compensa nella misura dei due terzi le spese del giudizio di legittimità, che per l’intero liquida in complessivi Euro 600,00 di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna l’Amministrazione alla rifusione del residuo; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2010

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