Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16924 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. II, 11/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 11/08/2020), n.16924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20731-2019 proposto da:

A.C., (alias C.A.), rappresentato e difeso

dall’Avvocato LUCA ZUPPELLI, ed elettivamente domiciliato presso il

suo studio in BRESCIA, VIA MORETTO 70;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 3165/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA depositato

il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.C. (alias C.A.), cittadino del (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione Territoriale di Brescia chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria o il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Il ricorrente affermava di essere cittadino (OMISSIS), di religione (OMISSIS); che dopo 12 anni di scuola coranica, entrava in conflitto con il padre, leader religioso, a causa del suo desiderio di proseguire gli studi presso la scuola pubblica; che il conflitto con il genitore culminava nel 2014, quanto veniva ripudiato e cacciato di casa, trovando ospitalità presso un vicino che lo iscriveva alla scuola pubblica; che quello stesso anno scopriva di aver messo incinta una ragazza ancora minorenne; che i familiari di lei si recavano a casa del ricorrente minacciandoli apertamente di morte; che lo salvava l’intervento del fratello poliziotto della ragazza che lo arrestava e conduceva in carcere; che dopo circa tre settimane, usciva dietro la garanzia prestata dal suo ospite, a casa del quale faceva rientro; che veniva di nuovo fatto oggetto di minacce da parte dei familiari della ragazza e così decideva di lasciare il (OMISSIS) il 1.1.2015; attraverso Senegal, Mali, Burkina, Niger e Libia, giungeva in Italia il 23 ottobre 2016; in caso di rimpatrio temeva di essere ucciso dai familiari della donna o di essere incarcerato.

Con decreto n. 3165/2019, depositato in data 10.6.2019, il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso.

Il Tribunale – ritenuti infondati gli eccepiti profili di incostituzionalità della normativa in esame (oggetto del terzo motivo di ricorso: v. sub. 3.1.) – nel merito, rilevava che il racconto fosse non circostanziato e non credibile; di conseguenza ribadiva, facendolo proprio, il giudizio formulato dalla Commissione Territoriale che privava di fondamento sia la domanda di accertamento dello status di rifugiato, sia la subordinata domanda di riconoscimento di soggetto meritevole di protezione sussidiaria, formulata ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) D.Lgs. citato.

Quanto alla protezione di cui all’art. 14, lett. c si evidenziava che nelle proprie dichiarazioni il ricorrente non allegava che, in caso di rimpatrio, avrebbe rischiato la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato. Ogni diversa dichiarazione, del resto, avrebbe trovato smentita nei numerosi COI Report stilati sul (OMISSIS), dai quali risultava l’assenza di un conflitto armato. Alla luce dei più recenti sviluppi della situazione socio-economica e politica-istituzionale del (OMISSIS), risultava il dissolvimento del regime dittatoriale in seguito alle elezioni del dicembre 2016, vinte dal capo della opposizione A.B., subentrato nella carica presidenziale dopo un breve periodo d’incertezza, per la contestazione del risultato elettorale da parte del presidente uscente.

Quanto alla domanda di protezione umanitaria – ritenuta applicabile la normativa previgente alla L. n. 132 del 2018 in base al principio dell’irretroattività della legge – per il Tribunale difettavano sia i presupposti soggettivi sia quelli oggettivi.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione A.C. sulla base di tre motivi. il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e dell’art. 5, comma 6 T.U.I.”, in quanto il Tribunale non prendeva atto della documentazione prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate svolte sin dalla proposizione della domanda di protezione internazionale e non attivava i poteri officiosi necessari a un’adeguata conoscenza della situazione del paese di provenienza del ricorrente.

1.1. – Il motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità e per il suo non confrontarsi con la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale ha escluso che il caso prospettato potesse rientrare nelle ipotesi di protezione internazionale (Cass. n. 6738 del 2020).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e/o motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio”, sostenendo che il Tribunale si sia sottratto al necessario e preliminare scrutinio dei criteri legali sul ragionevole tentativo del richiedente di circostanziare la sua domanda; non abbia considerato la non contraddittorietà e l’attendibilità delle dichiarazioni da lui rese; non abbia acquisito le informazioni sul contesto socio-politico del Paese di rientro; abbia attribuito importanza solo ad aspetti secondari e ad irrilevanti imprecisioni nel racconto; e abbia motivato il proprio giudizio d’inattendibilità sulla base di mere asserzioni inidonee a far comprendere le ragioni per cui la vicenda narrata è stata ritenuta priva di autenticità e di contenuto generico e vago. Il tutto senza dar corso agli obblighi di cooperazione istruttoria.

2.1. – Anche tale motivo è inammissibile. Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. n. 9752 del 2017; Cass. n. 2108 del 2012). Il motivo in esame non confuta la principale ragione su cui si fonda il decreto impugnato; il quale, più che su di un giudizio d’inattendibilità del racconto del richiedente, si basa fondamentalmente sulla considerazione che il rapimento e l’uccisione del padre di quest’ultimo sembrerebbero fini a se stessi, cioè motivati “da ragioni di invidia personale che nulla hanno a che vedere con il movimento separatista”. Il fatto che, poi, il decreto impugnato aggiunga a tale frase l’inciso finale “fermi profili di inattendibilità”, non toglie che parte ricorrente fosse onerata anche di aggredire specificamente e motivatamente la suddetta ratio di non attinenza del narrato alle condizioni della protezione internazionale. Per cui a nulla vale l’obiezione mossa al solo giudizio di scarsa attendibilità del richiedente espresso dai giudici di merito (Cass. n. 6738 del 2020, cit.).

3. – Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 per violazione del requisito di straordinaria necessità ed urgenza, in relazione agli artt. 77 e 111 Cost. e dei limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15.

Sostiene parte ricorrente che il D.L. n. 13 del 2017 è sprovvisto dei requisiti di necessità ed urgenza, perchè contiene norme da un lato di non immediata applicazione e dall’altro del tutto eterogenee fra loro. Deduce, inoltre, parte ricorrente che la nuova normativa introdotta dal citato D.L. introduce un modello processuale privo di regole predeterminate dal legislatore, che affida al potere discrezionale e insindacabile del giudice la stessa formazione della prova, ledendo il principio del contraddittorio e del giusto processo.

3.1. – Il motivo, essendo manifestamente infondato in ciascuna delle due questioni di costituzionalità che prospetta e che sono state già reiette dalla giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità, è anch’esso e a sua volta inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (come reinterpretato da Cass., sez. un., n. 7155 del 2017).

Quanto alla prima, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v. Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

Pure la seconda questione di legittimità costituzionale, relativa al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, è stata ritenuta manifestamente infondata. E’ stata esclusa, infatti, la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (v. n. 17717 del 2018). Non senza considerare che anche in altre (e non meno rilevanti materie) il modello camerale è stato ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema idoneo, nei procedimenti di natura contenziosa, a consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio e dell’iniziativa istruttoria delle parti anche quando difetti la celebrazione di un’udienza (cfr. Cass. n. 8046 del 2019).

4. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

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