Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16922 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. II, 11/08/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 11/08/2020), n.16922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19793-2019 proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato ENRICO VARALI,

presso il cui studio a Verona, via Basso Acquar 127, elettivamente

domicilia, per procura speciale in data 6/6/2019 in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il DECRETO n. 1265/2019 del TRIBUNALE DI VENEZIA, depositata

il 9/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 4/2/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A., nato in (OMISSIS), ha impugnato il provvedimento con il quale, in data 8/1/2018, la commissione territoriale ha respinto la sua domanda di protezione internazionale.

Il tribunale di Venezia, con decreto del 9/5/2019, ha rigettato il ricorso.

B.A., con ricorso notificato in data 14/6/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto, comunicato il 16/5/2019.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente fosse inattendibile.

1.2. Così facendo, infatti, ha osservato il ricorrerete, il tribunale ha violato gli oneri integrativi ed istruttori propri del cd. sistema probatorio attenuato, volto ad assicurare a chi richiede la protezione internazionale un regime processuale di favore in ragione della loro presumibile partecipazione ad eventi traumatici e della necessità di lasciare in fretta il Paese d’origine senza poter portare con sè nè documenti nè prove.

1.3. Il tribunale, in particolare, ha proseguito il ricorrente, ha rinvenuto elementi di contraddittorietà e di genericità nel racconto del richiedente senza considerare che, secondo le linee guida dell’UNHCR sulla conduzione dell’audizione dei richiedenti asilo, l’esistenza di travisamenti o incongruenze ovvero di omissioni riguardanti aspetti di non fondamentale importanza, non dovrebbe portare ad un giudizio di non credibilità.

1.4. Il tribunale, piuttosto, ha mostrato di aderire acriticamente alle considerazioni svolte dalla commissione territoriale, senza procedere ad un approfondimento e ad una valutazione autonoma e senza raccogliere autonomamente il racconto del richiedente, basandosi sulle dichiarazioni rese innanzi alla commissione e senza prendere in esame la documentazione prodotta, come la tessera e l’attestato di appartenenza al partito, che ha liquidato come generica.

1.5. Il richiedente, del resto, aveva reso dichiarazioni coerenti rispetto alle condizioni generali del Paese d’origine, secondo i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c). Il tribunale, quindi, è incorso nella violazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, trascurando il contenuto dei rapporti internazionali prodotti tramite le note conclusionali, laddove l’art. 8 cit. dispone che la domanda dev’essere esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate in ordine alla situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente.

2. Il motivo è infondato. In tema di protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente, che ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018). Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto, sulla scorta degli esposti principi, che il racconto svolto dal richiedente non fosse credibile, sul rilievo che “la vicenda narrata dal ricorrente, pur presentando parziale coerenza esterna con quanto riportato dalle fonti internazionali disponibili…, evidenzi numerosi elementi di scarsa credibilità a livello di coerenza interna, risultando, nel complesso generica, alquanto contraddittoria e non supportata da alcun corredo probatorio”: “la narrazione – ha aggiunto il tribunale – appare frutto di una ricostruzione a posteriori, oltre che stereotipata, di fatti appresi piuttosto che la r(i)evocazione di un reale vissuto”. Ed è noto che la relativa valutazione di inattendibilità costituisca un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatti decisivi, nella specie neppure dedotti con la necessaria specificità.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, pur avendo rilevato l’esistenza di episodi di violenza per motivi politici e tensioni tra i gruppi etnici, soprattutto in occasione delle elezioni, ha ritenuto che le informazioni disponibili non consentissero di affermare che in (OMISSIS) sussistesse un conflitto armato rilevante ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, il tribunale non ha preso in considerazione le plurime COI citate e prodotte in ricorso e nelle note conclusive del 6/11/2018, le quali, al contrario, dimostrano l’esistenza nel Paese di una grave instabilità.

4.1. Il motivo è infondato. Il tribunale, invero, dopo aver evidenziato che, “per quanto concerne la (OMISSIS),…, dalle fonti emerge l’esistenza di episodi di violenza per motivi politici e tensioni tra gruppi etnici, soprattutto in occasione delle elezioni, che culminano in scontri anche violenti tra le forze dell’ordine e i manifestanti…”, ha ritenuto che “si tratta… di episodi specifici, che non consentono di formulare un giudizio positivo in ordine all’esistenza di un conflitto armato strutturato che veda la contrapposizione di forza militari” ed ha, quindi, escluso la sussistenza, nella situazione esistente nel Paese d’origine, di una minaccia individualizzata in danno del ricorrente.

4.2. Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto, non censurato dal ricorrente per omesso esame di uno o più fatti decisivi, a fronte del quale la decisione assunta dal giudice di merito si sottrae alle censure svolte in ricorso. In effetti, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h), e, in termini identici, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), definiscono “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. Il D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, comma 1, a sua volta, dispone che il “danno grave” sussiste, tra l’altro, nell’ipotesi di “c)… minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

4.3. Nel caso di specie, non è risultato, in punto di fatto, che il ricorrente, in caso di rientro in patria, possa ricevere una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona in ragione della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, laddove, al contrario, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata – in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) – nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, per cui il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019; Cass. n. 9090 del 2019; Cass. n. 14006 del 2018).

5.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha respinto la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria con una motivazione apparente o inesistente.

5.2. Il tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, ha rigettato la richiesta senza pronunciarsi sulle circostanze dalle quali poteva desumersi la condizione di vulnerabilità del richiedente, omettendo completamente di considerare tutte le allegazioni in fatto e l’esisto dell’audizione nel corso della quale è emersa una condizione di fragilità del ricorrente. Nè è stata valutata la documentazione relativa al percorso scolastico e lavorativo, in relazione all’età e alle condizioni personali del richiedente ed alle condizioni del Paese d’origine e di eventuale rimpatrio.

6.1. Il motivo è infondato. Il tribunale, infatti, esclusa la prova del pericolo della sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, ha ritenuto che non era emerso alcun elemento idoneo ad integrare i presupposti per la protezione umanitaria, non essendo a tal fine sufficiente nè la mera frequentazione di corsi di lingua italiana nè lo svolgimento di attività di volontariato, “a fronte di una situazione lavorativa e familiare nel proprio paese del tutto idonea a garantirgli… una esistenza più che dignitosa”.

6.2. Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto, non avendo il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

7. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi nei quali risulta articolato, dev’essere, quindi, rigettato.

8. Nulla per le spese di lite, non avendo il ministero resistente svolto alcuna attività difensiva.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

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