Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16920 del 02/08/2011

Cassazione civile sez. II, 02/08/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 02/08/2011), n.16920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22275/05) proposto da:

S.r.l. IMMOBILIARE DEL SILE in persona del presidente del consiglio

di amministrazione, sig. G.A.; rappresentata e difesa,

giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, dagli

avv.ti Ronfini Luigi di Treviso; prof. Gabrielli Giovanni di Trieste

e prof. Nuzzo Mario – quest’ultimo in forza di procura autenticata

nelle firme il 18 gennaio 2007 – ed elettivamente domiciliata presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, via Cassiodoro n. 9;

– ricorrente –

contro

B.M.A. erede della sig.ra BE.Ma., a sua

volta erede di BE.An. rappresentata e difesa per procura

speciale in calce al controricorso, in via disgiuntiva tra loro,

dagli avv.ti Di Pierro Nicola di Roma e Boccato Maria Antonia di

Venezia ed elettivamente domiciliata in Roma via Tagliamento n. 53,

presso lo studio dell’avv. Nicola Di Pierro;

– controricorrente –

Nonchè nei confronti di:

G.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 1095/2005

depositata il 20/06/05 e notificata il 29/07/2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Uditi i procuratori della parte ricorrente avv.ti Mario Nuzzo e

Giovanni Gabrielli che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;

Udito il procuratore della parte controricorrente avv. Nicola Di

Pierro che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Be.Ma. citò innanzi al Tribunale di Treviso, con atto notificato nel 1984, la spa Immobiliare del Sile e in proprio l’amministratore di questa, G.A., esponendo di essere la sola crede della sorella Anna, deceduta tre mesi prima e che, assieme a quest’ultima, a causa dei raggiri posti in essere dal G., aveva ceduto alla società la nuda proprietà di un complesso immobiliare in Treviso, per il prezzo, da reputarsi non congruo, di lire 270 milioni, dei quali 150, contrariamente a quanto risultante dal rogito di vendita, non erano stati versati, mentre i residui 120 erano stati convertiti in un’obbligazione di mantenimento che non era stata adempiuta. Chiese – per quello che qui ancor conserva interesse – che il contratto fosse risolto.

Con ulteriore atto notificato nel 1985 la stessa Be.Ma.

instò affinchè l’usufrutto istituito in sede di compravendita in favore proprio e della sorella, fosse dichiarato congiuntivo, così da accrescere la quota della più longeva delle sorelle.

Con terzo atto notificato sempre nel 1985 la Be. domandò che venisse dichiarata la nullità dell’atto di vendita per mancanza di causa.

Costituendosi, i convenuti resistettero alle domande. Il giudice adito, esperite prove per testi e fatta eseguire una CTU – che determinò in un miliardo di lire il valore della nuda proprietà del patrimonio immobiliare ceduto – con sentenza del 1992 accolse la sola domanda diretta a far dichiarare congiuntivo l’usufrutto, respingendo le altre richieste.

La Corte di Appello di Venezia, decidendo nel novembre 1997 sul gravame di B.M.A., erede di Be.Ma., dichiarò la nullità del giudizio in quanto ad esso non avrebbero partecipato gli eredi di Be.An., litisconsorti necessari rispetto alla domanda di risoluzione.

A seguito di ricorso principale della Be. ed incidentale delle altre parti, la Corte di Cassazione cassò la sentenza di appello rilevando che sin dall’inizio Be.Ma. aveva dichiarato di agire anche quale erede della sorella mentre l’esistenza di altri eredi avrebbe dovuto essere dedotta e provata dalla parte avversa.

La Corte di Appello di Venezia, in sede di rinvio, pronunziando nella contumacia del G., risolse il contratto di compravendita per inadempimento della società acquirente, condannando la stessa alla restituzione degli immobili oggetto di vendita e respingendo le altre domande, con regolazione consequenziale delle spese di causa: la Corte distrettuale pervenne a tale decisione osservando: che la questione del mancato pagamento di lire 150 milioni non era suscettibile di nuovo scrutinio; che, per quanto concerneva la residua obbligazione di pagare parte del prezzo – 120 milioni – attraverso la sostitutiva obbligazione di somministrare alle due sorelle, vita natural durante, quanto loro fosse necessitato per vitto, alloggio, medicine cure mediche ed assistenza, non sarebbe stato adeguatamente provato che la società avesse fatto tutto quanto fosse nelle sue possibilità per adempiere, non essendo sufficiente che l’acquirente avesse istituito un libretto di deposito nominativo a favore della superstite sul quale periodicamente aveva versato somme, atteso che tale titolo di legittimazione non era stato messo a disposizione – prima del giudizio – della sorella superstite; che in ogni caso non avrebbe potuto essere considerata come adempimento tardivo l’offerta, formulata nel corso del giudizio, di consegnare lo stesso libretto a chi ne avesse avuto diritto: ciò per il divieto contenuto nell’art. 1453 cod civ. di mutare la domanda di risoluzione in quella diretta ad ottenere l’adempimento; che la connessa domanda di danni non sarebbe stata provata.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la srl Immobiliare del Sile articolandolo su tre motivi; ha resistito la B. con controricorso; entrambe dette parti hanno depositato memorie; il G. non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza ritenendo che il giudice del rinvio avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 1878 cod. civ. che vieta di dichiarare la risoluzione del contratto di rendita vitalizia nel caso di inadempimento delle obbligazioni ad essa afferenti, riconoscendo al vitaliziando solo il diritto di agire esecutivamente sui beni dell’obbligato per soddisfare il proprio credito.

1/a – L’eccezione appare essere nuova e non può invocarsi il principio della qualificazione d’ufficio del rapporto controverso in quanto nella fattispecie la difesa della Immobiliare del Sile, introducendo per la prima volta in sede di rinvio la questione della natura autonoma delle obbligazioni di vitalizio nell’ambito del contratto commutativo, ha in sostanza impostato la questione in maniera tutt’affatto diversa da quella originaria, mutandone i presupposti.

1/b – Va anche detto che dalla lettura della sentenza di cassazione e di quella di rinvio non è dato apprezzare l’esistenza di un contratto autonomo di rendita vitalizia collegato ma pur sempre autonomo rispetto a quello di vendita, bensì solo una pattuizione in merito a particolari modalità di pagamento di una parte del prezzo – come espressamente riconosce anche la ricorrente a fol 13 del ricorso -, di tal che è stata pronunziata la risoluzione del contratto di vendita e non già del – solo – contratto vitalizio.

1/c – E’ quindi irrilevante distinguere se la pattuizione in esame configurasse un vitalizio improprio – in relazione alle prestazioni anche non alimentari e comunque legate alla persona dell’obbligato ed al suo rapporto con i vitaliziando o non piuttosto una rendita vitalizia propria – avente ad oggetto prestazioni meramente pecuniarie-; d’altro canto anche la ragione del divieto di risoluzione della rendita vitalizia, come identificata dalla dottrina – fol 14 del ricorso – (in quanto la funzione assistenziale e previdenziale di tale contratto verrebbe frustrata dalla risoluzione che imporrebbe al già vitaliziato di gestire il bene che gli verrebbe restituito e non gli garantirebbe quindi la tranquillità economica) non si attaglierebbe alla fattispecie in cui espressamente – fol 17 del ricorso – la stessa società ricorrente deve ammettere che la vitaliziata, essendo benestante, non aveva alcun bisogno della rendita (di tal che la ricorrente ne desume addirittura la carenza di interesse a far valere la risoluzione).

2 – Con motivo subordinato viene fatta valere la violazione e falsa applicazione delle norme sulla risoluzione nonchè l’esistenza di vizi di motivazione; con l’ulteriore motivo subordinato si denunzia l’erronea applicazione dell’art. 1455 cod. civ. in merito all’importanza dell’inadempimento anche sotto il profilo del vizio (non specificato) di motivazione, adducendosi in contrario la tolleranza dimostrata per anni dall’attrice a che non si desse esecuzione a quella parte di obbligazione inserita nel contratto.

2/a – La prima censura è inammissibile quanto alla sussistenza del vizio disciplinato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando l’esposizione di specifica critica alla congruità del procedimento logico seguito dal giudice del merito per ritenere inadempiente la condotta della ricorrente e gravemente incidente sul sinallagma.

2/b – Quanto poi alla violazione dell’art. 1453 cod. civ. il mezzo è infondato allorquando afferma che l’attrice, per avvalersi della risoluzione, avrebbe dovuto anche provare di essersi attivata per richiedere l’adempimento delle prestazioni alimentari, essendo pacifico che di esse non avrebbe avuto bisogno; va sul punto affermato che detta circostanza avrebbe avuto un rilievo solo per respingere gli effetti della mora ma non, in radice, per escludere la sussistenza di un fatto di inadempimento, stante l’indubbio collegamento causale dell’obbligandone in questione con la funzione di scambio, essendo stata espressamente indicata come succedanea di una parte del prezzo di vendita, così che i parametri di valutazione dell’importanza dell’inadempimento dovevano ricollegarsi con la realizzazione della funzione commutativa dell’intero negozio e non già con quella alimentare.

2/c – La messa a disposizione dell’attrice del libretto nel corso del giudizio non assume nessuna rilevanza in quanto non concreta un’offerta della somma ma solo della disponibilità di un titolo di legittimazione ed in ogni caso non sono state riportate le specifiche circostanze di detta offerta al fine di consentire l’eventuale ulteriore scrutinio da parte di questa Corte.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2011

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