Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16917 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2021, (ud. 01/06/2021, dep. 15/06/2021), n.16917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2697-2018 proposto da:

BANCA MONTE PASCHI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ORONZO MAZZOTTA;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO ROVAI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 907/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/11/2017 R.G.N. 1184/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/06/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza in data 20 novembre 2017, la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena avverso la decisione del Tribunale di Siena che aveva riconosciuto il diritto di M.G. alla corresponsione in proprio favore della differenza fra quanto riconosciutogli a titolo di indennità sostitutiva del preavviso all’esito di procedura di licenziamento collettivo conclusasi con accordo sindacale L. n. 223 del 1991, ex artt. 4 e 24, pari a tre mensilità di retribuzione e quanto invece previsto dalla contrattazione nazionale di categoria – pari a sei mensilità -;

in particolare, la Corte, condividendo l’iter argomentativo del Tribunale, ha ritenuto la contrattazione decentrata non abilitata a modificare la disciplina del CCNL quanto ai trattamenti economici e normativi, ha escluso nella specie l’applicabilità del D.L. n. 138 del 2011, art. 8 ed ha, infine, reputato irriducibile la previsione impugnata all’oggetto tipico degli accordi previsti dalla L. n. 223 del 1991;

per la cassazione della sentenza propone ricorso Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., affidandolo a tre motivi;

resiste, con controricorso, M.G..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5,artt. 1362,1363 e 1366 c.c., circa l’interpretazione dell’accordo collettivo di mobilità del 28 dicembre 2012;

con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 138 del 2011, art. 8, convertito dalla L. n. 148 del 2011 e dell’art. 12 delle disp. gen. in ordine alla configurabilità del contratto aziendale come “specifica intesa” ai sensi dell’art. 8;

con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. con riguardo all’art. 1 dell’Accordo Quadro del 24 ottobre 2011 e degli artt. 6 e 28 del CCNL 19 gennaio 2012;

i tre motivi, da esaminare congiuntamente per ragioni logico- sistematiche, sono fondati;

– giova premettere come sia indubbio il carattere generale del principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito incidere, in relazione alla regola dell’intangibilità dei diritti quesiti, su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi (vedi, fra le tante Cass. n. 16089 del 2014Cass. n. 6845 del 1994, Cass. n. 9734 del 1998; Cass. 2362 del 2004); inoltre, va richiamato il principio secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorchè non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e siano eventualmente vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso, vedi: Cass. n. 10353 del 2004; Cass. n. 6044 del 2012);

nel caso di specie la Corte ha escluso che la previsione concernente l’ammontare dell’indennità di preavviso, commisurata in tre mensilità in luogo delle sei previste dalla contrattazione collettiva, potesse essere ricompresa nell’ambito degli accordi riconducibili alla L. n. 223 del 1991, artt. 4,5 e 24; in particolare, ha ritenuto il giudice di secondo grado che, sulla scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale, con il richiamo agli accordi “gestionali” ci si riferisca ad accordi generalmente anche se non necessariamente aziendali, variamente disciplinati dalla legge ma comunque non diretti a regolare i rapporti di lavoro, quanto, piuttosto, a procedimentalizzare i poteri datoriali;

ritiene il Collegio indubitabile che con la sentenza n. 268 del 1994, la Corte costituzionale abbia rilevato come la legge, rimettendo la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità “ai criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4, comma 2… non preveda alcun potere sindacale di deroga a norme imperative di legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all’imprenditore nell’esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi”, in tal modo, appunto procedimentalizzando il potere datoriale;

appare evidente come tale procedimentalizzazione risponda all’esigenza di favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, poichè mira a consentire un adattamento dei criteri di individuazione del personale in esubero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale; al contempo, accordi come quelli di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, hanno effetti diretti esclusivamente nei confronti dell’imprenditore stipulante, in quanto limite all’esercizio dei suoi poteri, sicchè, il contratto cui la legge rinvia “incide sul singolo prestatore di lavoro indirettamente, attraverso l’atto di esercizio del potere datoriale (nella specie, di recesso) in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei criteri di scelta concordati in sede sindacale” (Cfr. Corte Cost. n. 268 del 1994, cit.);

ritiene, tuttavia, questa Corte di non poter condividere l’iter argomentativo del giudice di secondo grado chg. proprio dalla struttura di tali accordi ha fatto discendere l’incidenza degli stessi sul potere datoriale, escludendo che pari efficacia possa attribuirsi a pattuizioni, pure contenute in accordi conclusi all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991 ma dotati di diverso contenuto, in particolare escludendo quel contenuto immediatamente regolativo dei rapporti di lavoro tipico del contratto collettivo “normativo” la cui efficacia erga omnes può essere riconosciuta esclusivamente in presenza delle condizioni di cui all’art. 39 Cost.;

così operando, infatti, la Corte territoriale ha considerato partitamente la clausola relativa all’accordo di mobilità, ritenendo, da un lato, che il licenziamento del M. trovasse il proprio cardine in un contratto attinente alla gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori e, dall’altro, che la previsione sulla indennità sostitutiva del preavviso, in quanto immediatamente regolativa dei rapporti di lavoro non fosse applicabile al dipendente interessato;

appare inconferente, in questa sede, l’argomento secondo cui la sola formale collocazione di una determinata previsione in un accordo riconducibile alla L. n. 223 del 1991 non sia idonea, per sè, ad attribuire a qualsiasi disposizione una efficacia erga omnes conducendo ad una violazione della norma costituzionale che assegna determinati effetti esclusivamente ad accordi conclusi dalle associazioni di cui all’art. 39 Cost., u.c.;

giova, piuttosto, richiamare, seppur sommariamente, la sezione rilevante dell’accordo di mobilità stipulato il 29 dicembre 2012 – correttamente riportato in atti – là dove si legge: “in applicazione di detto art. 8 e in ottemperanza alle previsioni del già citato Accordo 19 dicembre 2012 (su cui, postea), le parti addivengono pertanto alla quantificazione di n. 947 risorse eccedenti… cesseranno dal servizio… prioritariamente, a partire dall’1.1.2013 fino all’1.1.2013, i lavoratori che abbiano maturato o maturino i requisiti di legge previsti per aver diritto ai trattamenti pensionistici AGO, con il riconoscimento di n. 3 mensilità di indennità sostitutiva del preavviso”;

segue a tale previsione la procedimentalizzazione della procedura di riduzione del personale atteso che la Banca, anzichè procedere unilateralmente al licenziamento, applicando, tout court, i criteri legali di scelta, ha concordato con il sindacato una scelta prioritaria relativa ai lavoratori che, come l’attuale controricorrente, avessero già maturato il diritto alla pensione entro il 2012 e, proprio con riguardo a questi ultimi, è stato previsto che venisse riconosciuta un’indennità per il mancato preavviso in misura pari a tre mensilità (essendo, invece, prevista, per coloro che fossero destinati a maturare quel diritto entro il 2017, l’erogazione delle prestazioni del c.d. fondo di solidarietà);

emerge inconfutabilmente dalla disposizione descritta il collegamento funzionale fra la previsione concordata di una riduzione della indennità spettante a titolo di mancato preavviso (dalle sei previste dal CCNL alle tre mensilità oggetto di accordo) con la definizione, anch’essa concordata e non unilaterale, dell’esercizio del potere di recesso;

va evidenziato, al riguardo, come questa Corte (cfr., sul punto, Cass. 22/07/2019 n. 19660) in fattispecie consimile, riguardante la procedura di mobilità di altro Istituto di credito, abbia considerato legittima la integrale rimozione del diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso (in quel caso prevista), in quanto concordata dalle parti all’evidente scopo di ridurre i costi della procedura: in quella occasione fu affermato che la deroga al principio generale che prevede la corresponsione dell’indennità in oggetto, era stata introdotta proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale e che l’accordo derogatorio, trasfuso nell’accordo raggiunto nell’ambito della procedura di mobilità, non si poneva in contrasto con principi dettati nella Carta Costituzionale nè violava vincoli derivanti da normative comunitarie e da convenzioni internazionali sul lavoro (cfr. in questi termini, Cass. n. 19660 del 2019, cit.);

proprio a tale ultimo riguardo, va rilevato che effettivamente la Carta Sociale Europea (riconosciuta, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 2018 quale parametro interposto per la valutazione della costituzionalità di una norma nazionale), all’art. 4, prevede che “per garantire l’effettivo esercizio del diritto ad un’equa retribuzione” le parti si impegnano a “riconoscere il diritto di tutti i lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso nel caso di cessazione del lavoro” e, tuttavia, una indennità sostitutiva parametrata su un periodo di preavviso di tre mesi può senz’altro essere reputata adeguata alle peculiarità della fattispecie di cui si tratta, richiedente un concreto, ragionevole bilanciamento tra contrapposte esigenze, come definito concordemente in sede di contrattazione collettiva;

tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte (nel senso della efficacia obbligatoria del preavviso cfr. Cass. 22/07/2019 n. 19660 cit., Cass. 06/06/2017 n. 13988, 17/01/2017 n. 985, 30/09/2013 n. 22322,04/11/2010 n. 22443, 21/05/2007n. 11740) va rilevato che l’esercizio della facoltà di recedere con effetto immediato determina l’insorgere dell’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, obbligazione pecuniaria che ben può costituire oggetto di accordo e di rinuncia (cfr. Cass. 18/06/2015 n. 12636 e 28/09/2010 n. 20358) ed è pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali, chiamate, nel contesto di una crisi aziendale, a mediare per assicurare la prosecuzione dell’attività di impresa e la conservazione dei livelli di occupazione;

tutta la procedura in questione, allora, sulla base del richiamato accordo, appare perfettamente riconducibile nell’ambito della previsione di cui al D.L. n. 138 del 2011, art. 8, comma 2 bis conv. dalla L. n. 148 del 2011;

tale disposizione prevede che le parti collettive, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, con le intese di cui al comma 1 della stessa norma – finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività – possano operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro e, pertanto, anche in ordine alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio”;

nel caso di specie, le parti sociali, nell’accordo sottoscritto in data 29 dicembre 2012, con il quale hanno disciplinato la procedura di licenziamento collettivo, hanno stabilito che l’azienda avrebbe riconosciuto a coloro che fossero stati, si ripete, prioritariamente considerati ai fini dell’esodo in quanto più vicini alla soglia dell’età pensionabile, una indennità sostitutiva del preavviso di tre mensilità anzichè di sei;

orbene, non v’è dubbio che La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221 del 2012 abbia ritenuto tassativa l’indicazione delle materie contenute nel comma 2 dell’art. 8 cui ha riconosciuto il carattere di norma eccezionale e perciò, ai sensi dell’art. 14 preleggi, non applicabile oltre i casi e i tempi in essa considerati, ma, nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’art. 8, contemplando, fra le altre ipotesi, quella concernente la “gestione delle crisi aziendali ed occupazionali”, induce a reputare ben ammissibili “specifiche intese” con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, ovviamente, come nella specie, solo nel rispetto delle esigenze di rappresentatività previste dalla medesima disposizione e con particolare riguardo alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”;

la previsione contrattuale si configura, d’altro canto, rispettosa anche del combinato disposto dell’art. 1 dell’Accordo Quadro sugli assetti contrattuali e art. 6, comma 2, del CCNL 19 gennaio 2012;

a mente della prima norma, infatti, i contratti collettivi aziendali o di gruppo possono definire, anche in via sperimentale e temporanea – fra l’altro, per contenere gli effetti economici derivanti da situazioni di crisi aziendale o di gruppo – specifiche intese modificative di regolamentazioni anche disciplinate dal CCNL di categoria; a mente della seconda, i contratti aziendali o di gruppo, possono, sempre nel caso di cui sopra, definire specifiche intese modificative di regolamentazioni anche disciplinate dal CCNL di categoria, relativamente, fra l’altro alla prestazione: non può revocarsi in dubbio che, fra le stesse, confluiscano le pattuizioni concernenti l’indennità sostitutiva del preavviso;

in sostanza, l’Accordo con il quale è prevista la clausola che ha ridotto l’indennità sostitutiva del preavviso da sei a tre mensilità, a fronte di una severa e ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale si mantiene in quella prospettiva di maggior tutela dei lavoratori al fine di assicurare un minor costo sociale dell’operazione e di salvaguardare la prosecuzione dell’attività d’impresa e la relativa occupazione secondo le finalità cui è diretta la stessa L. n. 223 del 1991 (cfr. al riguardo Cass. 03/11/2016 n. 22789);

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendosi la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, va respinta la domanda originariamente avanzata da M.G.;

la novità e complessità delle questioni involte dalla peculiarità del caso concreto suggerisce di disporre l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di merito del giudizio e del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, respinge la domanda avanzata da M.G.. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 1 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

 

 

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