Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16916 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 15/06/2021), n.16916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1701/2020 proposto da:

M.M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO

n. 14, presso lo studio dell’avvocato GAETANO VENCO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1713/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/11/2019 R.G.N. 1379/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 1713 del 2019, ha respinto il gravame proposto da M.M.U., cittadino del Bangladesh, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il ricorrente, in sintesi, aveva dichiarato di essere di religione musulmana e sostenitore del partito politico (OMISSIS), cui non era però iscritto; di avere formato una squadra di cricket e l’11.12.2013, durante una partita, un componente della sua squadra colpì con la mazza da gioco un giocatore avversario che, portato in ospedale, morì; aveva precisato, inoltre che il padre del giocatore morto, facente parte dell'(OMISSIS), la sera stessa del fatto andò a casa sua con altri e lo malmenarono e lo accoltellarono, mettendo tutto a soqquadro; aveva specificato, infine, che si rifugiò da un parente e consigliato dalla madre, temendo di essere arrestato, dopo essere andato in India in Libia, sbarcò in Italia.

3. La Corte di appello, a sostegno della propria decisione, sottolineando la contraddittorietà e la illogicità del racconto, perchè il richiedente non si era rivolto alla Polizia, ed escludendo una motivazione politica dell’espatrio, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per concedere lo status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ha rilevato, poi, la mancanza delle condizioni di cui all’art. 14 lett. c) del citato decreto perchè dagli “ultimi rapporti, sia di Amnesty International sia dell’Unchr” la situazione in Bangladesh, sia pure di aspro contrasto politico e critica quanto ai diritti umani esistenti, non poteva essere definita nè di violenza indiscriminata nè di conflitto armato; ha negato, infine, anche la richiesta di protezione umanitaria perchè nessuno specifico elemento di vulnerabilità era stato fornito.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M.U. affidato ad un unico articolato motivo.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per violazione e falsa applicazione di norme di diritto: in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte territoriale applicato nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato e per non avere valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5; in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere l’organo giudicante riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione oggettiva esistente nel paese di origine.

2. Il ricorso è fondato.

3. La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera ed immotivata opinione del giudice, essendo piuttosto il risultato complesso di una procedimentalizzazione della decisione, da compiersi alla strega dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” senza dar rilievo esclusivo e determinate a mere discordanze o contraddizioni in aspetti secondari o isolati del racconto; detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. n. 14674 del 2020; Cass. n. 9811 del 2020).

4. Nella fattispecie, la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, fondando il proprio accertamento su un esame sommario ed incompleto delle dichiarazioni del richiedente e, soprattutto, non seguendo correttamente l’iter di valutazione della credibilità, che richiede, senza omettere alcun passaggio, di considerare lo sforzo del richiedente teso a circostanziare la domanda, gli elementi in suo possesso, la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni e la data di presentazione della domanda (Cass. n. 11925 del 2020; Cass. n. 21142 del 2019).

5. Inoltre, deve osservarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

6. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (cfr. Cass. n. 15959 del 2020).

7. E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

8. In proposito, deve ribadirsi anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8 non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici senza frontiere) che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019 per esteso).

9. In modo estremamente sintetico, può quindi affermarsi che il giudice deve indicare, in modo specifico e dettagliato, fonti che abbiano un certo grado di credibilità e che facciano riferimento ad una situazione sociopolitica aggiornata del Paese di origine del richiedente.

10. Più recentemente (cfr. Cass. n. 15215 del 2020) è stato affermato il principio di diritto secondo il quale: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.

11. Nella fattispecie, la Corte territoriale non ha richiamato, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e per ritenere che la condizione attuale del Bangladesh e, in particolare della zona di provenienza, Paese di origine del richiedente, non fosse interessata da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, comportante una situazione di violenza indiscriminata nell’attualità, alcuna fonte specifica aggiornata, limitandosi a citare genericamente “ultimi rapporti sia di Amnesty International sia dell’Unchr”.

12. Nell’assolvere all’onere imposto dalla legge i giudici di seconde cure erano, però, tenuti a spiegare in base a quali specifiche fonti avessero ritenuto inesistente il rischio di subire gravi danni, paventati dal ricorrente, onde dare conto della puntualità e attualità della propria verifica e fare così in modo che la motivazione assumesse carattere effettivo (cfr. per tutte Cass. n. 8819 del 2020 e la giurisprudenza ivi citata).

13. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati in tema di valutazione dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e di valutazione del rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

 

 

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