Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16916 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 11/08/2020), n.16916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19264/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

T.M., assistito nel giudizio di merito dal Dott. Bon

Alessandro, con studio in Roma, via Gasperina, n. 304;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 79/25/12 depositata il 28 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio

2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’agente della riscossione notificò a T.M. la cartella di pagamento n. (OMISSIS) con l’iscrizione a ruolo di ritenute alla fonte a titolo di acconto per l’anno 2003, operata in quanto le stesse ritenute erano state scomputate dall’IRPEF nonostante non fossero state versate dal sostituto d’imposta;

T.M. impugnò la cartella di pagamento – nei confronti dell’Ufficio di Treviso dell’Agenzia delle entrate – davanti alla Commissione tributaria provinciale di Treviso (hinc anche: “CTP”) che rigettò il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, lo stesso T.M. propose appello alla Commissione tributaria regionale del Veneto (hinc anche: “CTR”) che lo accolse;

la CTR respinse anzitutto le eccezioni di inammissibilità dell’appello per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 51 e 53, sollevate dall’Ufficio di Treviso dell’Agenzia delle entrate, affermando, quanto alla prima, che “(l)’appello risulta effettuato nei termini previsti dall’art. 51, (dall’ufficio non vengono considerati i periodi feriali)” e, quanto alla seconda, di ritenere “che la parte abbia svolto sia pur sinteticamente tutte le indicazioni previste e ciò non ha impedito controparte a svolgere le proprie controdeduzioni”;

che la stessa CTR accolse quindi l’appello del contribuente con la motivazione che “(l)a ritenuta d’acconto è scomputabile dal professionista e dal lavoratore autonomo, come da ex art. 22, comma 1 del TUIR, nel momento in cui essa è operata, cioè quando il committente paga la parcella o la fattura trattenendo l’importo della ritenuta. L’impegno al versamento della ritenuta sottoscritto dal committente non risulta di particolare rilievo. La risoluzione 68/E (Agenzia delle Entrate) del 19/03/2009 ha riconosciuto il diritto allo scomputo della ritenuta anche in assenza della certificazione rilasciata dal committente, a condizione che il professionista o il lavoratore autonomo possa provare con documentazione appropriata, di essere stato inciso della ritenuta stessa, cioè di aver incassato un importo al netto della ritenuta. Si rileva che tale documentazione (fatture) erano già state allegate al ricorso di prima istanza, ma non erano state considerate. Dalla lettura e dall’esame delle suddette fatture appare inequivocabile, certa, reale la dicitura “Totale netto a pagare” che accerta come l’incasso delle competenze sia avvenuto al netto dell(e) ritenute”;

avverso tale sentenza della CTR, depositata il 28 maggio 2012 e non notificata, ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 15/22 luglio 2013, a quattro motivi;

T.M. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, per avere la CTR erroneamente ritenuto la tempestività dell’appello del contribuente, laddove lo stesso, essendo stato proposto avverso una sentenza depositata il 25 giugno 2009 e spedito l’8 ottobre 2010, era invece – pur considerando il periodo di sospensione feriale dei termini – tardivo (spirando il termine per la sua proposizione il 27 settembre 2010);

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., “(c)arenza di motivazione dell’appello con conseguente inammissibilità del medesimo; motivazione meramente apparente della sentenza di secondo grado circa la sussistenza nell’appello degli elementi previsti a pena di inammissibilità dall’art. 53 predetto”, sotto i due profili (già evidenziati nella rubrica del motivo) che la CTR: a) non ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello – non sanabile a norma dell’art. 156 c.p.c. – nonostante la sua “assoluta carenza di motivazione”, atteso che esso, come rappresentato dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni, consistendo nel mero “rinvio per relationem al ricorso introduttivo”, non conteneva nè l’esposizione sommaria dei fatti nè l’oggetto della domanda nè i motivi specifici dell’impugnazione; b) affermando in modo meramente anapodittico che “(i)n merito all’art. 53 si ritiene che la parte abbia svolto sia pur sinteticamente tutte le indicazioni previste”, ha motivato in modo solo apparente il rigetto dell’eccezione dell’Ufficio di inammissibilità dell’appello per violazione di detto articolo;

con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(o)messa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto, “(o)ve in ipotesi potesse escludersi la nullità eccepita con il motivo che precede, la sentenza apparirebbe comunque affetta dal vizio di motivazione appena rubricato, avendo omesso di fornire specifica motivazione circa la sussistenza nell’appello del contribuente degli elementi previsti a pena di inammissibilità dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53;

con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 1 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 19, comma 1, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modificazioni apportate a quest’ultimo decreto dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1), per avere la CTR erroneamente ritenuto che il sostituito possa scomputare la ritenuta alla fonte a titolo di acconto sul solo presupposto che essa sia stata “applicat(a) ai pagamenti effettuati a (suo) favore” dal sostituto, laddove “per l’estinzione dell’obbligazione tributaria del sostituito è necessaria la prova dell’effettuazione del versamento all’Erario, da parte del sostituto”;

il primo motivo è fondato;

dall’esame degli atti del giudizio di merito – consentito a questa Corte dalla natura del vizio denunciato – risulta che l’impugnata sentenza della CTP era stata pubblicata, mediante deposito nella segreteria della stessa, il 25 giugno 2009 e che il ricorso in appello del contribuente era stato notificato a mezzo del servizio postale con raccomandata spedita all’Ufficio di Treviso dell’Agenzia delle entrate solo l’8 ottobre 2010, dopo che era decorso il termine annuale previsto – a pena di decadenza dall’impugnazione – dall’art. 327 c.p.c., comma 1, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modificazione apportata a tale comma dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17), richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, pur sospeso nel periodo feriale, dal 1 agosto al 15 settembre, a norma della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, (anch’esso nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla modificazione apportata a tale comma dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 16, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 162);

a proposito del computo del termine di decadenza dall’impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 e con riguardo anche alla sospensione del decorso dello stesso nel periodo feriale, questa Corte ha chiarito che, “(p)er i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 2 e dell’art. 2963 c.c., comma 4, il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini: in tal caso, infatti, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 cod. cit., comma 1 e della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale” (Cass., 09/07/2012, n. 11491, Rv. 623165-01, 07/10/2013, n. 22699);

inoltre, “poichè il periodo feriale è da ritenersi, ai fini “de quibus”, “neutro”, e deve poter essere rispettato interamente, si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui dopo una prima sospensione il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale” (Cass., 24/11/2005, n. 24816, Rv. 585728-01, n. 22699 del 2013, Rv. 628576-01);

applicando tali principi al caso di specie, posta, come detto, la pubblicazione dell’impugnata sentenza della CTP il 25 giugno 2009, si ha che: il termine annuale dell’art. 327 c.p.c., comma 1, scadeva il 25 giugno 2010; da tale data andavano compiutati i 46 giorni della sospensione feriale; conseguentemente, considerati i residui 5 giorni di giugno e i 31 giorni di luglio (per un totale di 36 giorni) e l’ulteriore sospensione sino al 15 settembre 2010, il termine per la proposizione dell’appello scadeva il 25 settembre 2010; essendo il 25 settembre 2010 sabato, lo stesso termine era prorogato, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, a lunedì 27 settembre 2010;

poichè, come pure si è detto, il ricorso in appello fu notificato solo l’8 ottobre 2010, l’appello del contribuente era inammissibile;

la sentenza impugnata, non avendo rilevato tale radicale vizio processuale, deve essere dichiarata nulla e cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2, in quanto la causa non poteva essere proseguita in secondo grado perchè la CTR avrebbe dovuto dichiarare l’appello inammissibile;

dal rilievo dell’inammissibilità dell’appello del contribuente e dalla cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza della CTR consegue il passaggio in giudicato della sentenza della CTP;

gli ulteriori motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso;

le spese dei giudizi di appello e di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e sono liquidate come indicato in dispositivo.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa senza rinvio la sentenza impugnata; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 1.300,00 e delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, anch’esse, in Euro 1.300,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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