Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16912 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2268-2020 proposzo da:

M.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difeso dall’Avvocato MAURIZIO PIZZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale presso la Prefettura

U.T.G. di Milano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato

e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 9822/2019 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 17/12/2019 R.G.N. 11207/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. con Decreto n. 9822/2019 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da M.M., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di diniego della protezione internazionale e della protezione complementare;

1.1. dal decreto si evince che il richiedente, di religione musulmana, ha motivato l’allontanamento dal Paese di origine, avvenuto nell’anno 2008, con il fatto che i familiari di una ragazza di religione indù, che si era innammorata di lui, avevano tentato di ucciderlo in seguito al suicidio della stessa che aveva rifiutato il matrimonio con un’altra persona impostale dalla famiglia; non era stata presentata alcuna denunzia alla polizia perchè la famiglia della ragazza era ricca e potente;

1.2. il Tribunale ha ritenuto non credibili le ragioni della fuga dal Paese di origine ed escluso che da esse potessero trarsi elementi per il riconoscimento dello status di rifugiato o per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. cit., art. 14, lett. c), le fonti consultate escludevano in relazione all’area di provenienza del ricorrente una situazione di violenza generalizzata determinata da conflitto interno, pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza; non ricorrevano infine i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di specifici profili di vulnerabilità in caso di rientro nel paese di origine, dove il ricorrente aveva importanti legami familiari e svolgeva regolare attività lavorativa; l’attività di lavoro prestata in Italia e la disponibilità di un alloggio autonomo non consentivano, in assenza di situazione di vulnerabilità correlate alla violazione di diritti umani fondamentali nel Paese di origine, il riconoscimento della protezione umanitaria;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.M., sulla base di tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), censurando in sintesi la valutazione di inattendibilità del racconto del ricorrente in relazione alle ragioni dell’allontanamento dal Paese di origine; in particolare critica tale valutazione in quanto frutto della valorizzazione di elementi irrilevanti ed evidenzia che le aggressioni subite erano confermate dalla documentazione prodotta;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c); in particolare contesta la affermazione del giudice di merito sul fatto che gli atti di violenza perpetrati in Bangladesh riguardavano solo categorie specifiche di bangladesi (sostenitori di partiti di opposizione, giornalisti, blogger editori laici) e richiama fonti attestanti tensioni politiche e frequenti attacchi terroristici in Bangladesh;

3. con il terzo motivo di ricorso, deducendo vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censura il provvedimento impugnato perchè nel negare la protezione umanitaria si era limitato a vagliare la posizione personale del ricorrente in Italia e in Bangladesh senza tener conto della situazione oggettiva del Paese di origine nel quale vi era una situazione di gravissima violazione dei diritti umani, e senza considerare che il ricorrente, lontano da casa da oltre dieci anni, era divenuto del tutto estraneo al contesto socio-lavorativo del suo Paese;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

4.1. la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata (da ultimo, Cass. Sez. Un. 33679/2018, 27415/2018, Cass. Sez. Un. 8053/2014) nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.p., comma 2, n. 4, (non denunciata nella fattispecie);

4.2. il motivo in esame non è articolato in conformità dell’attuale configurazione del vizio di motivazione in quanto non denunzia l’omesso esame di uno specifico fatto storico, omissione che avrebbe inficiato la valutazione di non credibilità del racconto, ma si limita a contrapporre alla valutazione del giudice di merito una diversa ed a sè più favorevole valutazione in punto di elementi di attendibilità del narrato del richiedente;

4.3. in concreto, parte ricorrente tende ad una rivisitazione nel merito delle risultanze di causa, neppure evocate nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e quindi a sollecitare un apprezzamento che è precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679/2013, n. 2197/2011, n. 20455/2006, n. 7846/2006, n. 2357/2004);

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto anche in relazione al rigetto della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), parte ricorrente non indica alcun omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva idoneo ad inficiare, con carattere di certezza e non di mera probabilità, l’accertamento fattuale alla base del decisum, di esclusione di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato interno, ma contrappone alla valutazione espressa dal giudice di merito una diversa valutazione attinente alla esistenza di una situazione di violenza diffusa nel Paese di origine;

5.1. chi ricorre, quindi, si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perchè esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse non consentito al giudice di legittimità, come chiarito al paragrafo 4.;

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto anch’esso articolato con modalità non conformi all’attuale configurazione del vizio di vizio motivazione, ed inteso a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento delle risultanze di causa, per cui valgono le considerazioni già espresse al paragrafo 4.;

6.1. la decisione impugnata è coerente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 29459/2019) che condivide l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (Cass. n. 4455/2018, 11110/2019, 12082/2019), puntualizzando però che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072/2018); si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 9304/2019);

7. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata, tardivamente costituitasi, svolto attività difensiva;

8. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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