Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1691 del 25/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 25/01/2011), n.1691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SORDA SAVERIO GIUSEPPE, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/01/2006 R.G.N. 1232/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato BOMBOI SAVINA per delega COSSU BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 25/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Genova, in parziale accoglimento della domanda proposta da V. M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti per “necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” dal 1-7-1998 al 30-9-1998, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condannava la societa’ a ricostituire il rapporto stesso ed a corrispondere al V. la retribuzione maturata a far data dal 24-7-2002, oltre rivalutazione e interessi.

La societa’ proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Il V. si costituiva e resisteva al gravame.

LL Corte d’Appello di Genova con sentenza depositata il 12-1-2006 respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con quattro motivi.

Il V. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la societa’ ricorrente, denunciando vizio di motivazione e violazione degli artt. 112. 414 e 437 c.p.c., dell’art. 2969 c.c. e della L. n. 56 del 1987, art. 23 in sostanza lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in ultrapetizione ritenendo la nullita’ del termine apposto al contratto citato sotto profili non specificamente dedotti dal V. in relazione al contratto stesso.

Il motivo e’ infondato in quanto – come ha chiaramente rilevato la Corte di merito respingendo il relativo motivo d’appello avanzato dalla societa’ – con il ricorso introduttivo il V., tra l’altro, aveva lamentato che le cause indicate nei contratti di assunzione erano generiche e non rispondenti alla realta’ e che, con evidente riferimento al contratto in esame, non era stato indicato il nome e la qualifica del personale sostituito (p. 12), di guisa che non era possibile ricostruire quale carenza di personale ed in quali posizioni, mansioni, reparti o ufficio le ferie avessero dato origine alla necessita’ di effettuare l’assunzione a termine.

La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, non e’ quindi incorsa nella denunciata ultrapetizione e neppure nel denunciato vizio di motivazione.

Con il quarto motivo – che in ordine logico va esaminato prima del secondo e del terzo – denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, dell’art. 1362 c.c., comma 2, dell’art. 1427 c.c. e segg., dell’art. 697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., e vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito.

Anche tale motivo e’ infondato e va respinto.

In base al principio piu’ volte dettato da questa Corte e che va qui riaffermato, “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinche’ possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11/12/2001 n. 15621).

Peraltro, come pure e’ stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volonta’ chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Orbene sul punto la Corte d’Appello ha ritenuto che il mero tempo trascorso tra la scadenza dell’ultimo contratto e la comunicazione in data 23-7-2002, con cui il V. ha lamentato la illegittimita’ del termine offrendo le proprie prestazioni con la raccomandata in atti, non fosse al riguardo sufficiente a ritenere una risoluzione per mutuo consenso tacito, rilevando che l’inerzia (nella specie non particolarmente lunga) “per avere concreta valenza positiva deve essere consapevole e libera ovvero non condizionata” e che nel caso di specie “e’ presumibile che sia occorso un certo tempo all’appellato, come a qualunque persona che non abbia una specifica competenza giuridica, per avvedersi dei possibili vizi che inficiavano il rapporto di lavoro”.

Inoltre “a fronte dell’incertezza dell’esito di un’impugnativa, egli rischiava di mettere a repentaglio una possibile nuova assunzione”.

Tale motivazione, conforme ai principi sopra richiamati, risulta altresi’ congrua e priva di vizi logici e resiste alle censure della societa’.

Fondati risultano, invece, il secondo e il terzo motivo, con i quali la ricorrente, sotto diversi profili, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto la illegittimita’ del termine apposto al contratto de quo, ritenendo che fosse necessaria la prova della effettiva specifica esigenza della sostituzione del personale assente per ferie, in concreto, con riferimento alla assunzione a termine de qua.

Questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto e’ stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operativita’ fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Infine e’ stato anche affermato (v. Cass. 28-3-2008 n. 8122) che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) e’ quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operativita’ l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonche’ la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unita’ organizzativa alla quale lo stesso e’ stato destinato”.

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano gia’ stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravita’ da esonerare la Corte dal dovere di fedelta’ ai propri precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr., Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703).

In tali sensi vanno quindi accolti il secondo e il terzo motivo e in relazione agli stessi la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione, la quale, statuendo anche sulle spese di legittimita’, provvedera’ attenendosi ai principi di cui sopra ed esaminera’ altresi’ le questioni ulteriori (non trattate nella decisione impugnata in quanto assorbite), riguardanti la legittimita’ o meno del termine apposto al contratto successivo (concluso per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 e acc. 25-9-97 per il periodo dal 12-10-1998 al 31-1-1999) con le relative conseguenze.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo e il quarto motivo, accoglie il secondo e il terzo, cassa la impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2011

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