Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16909 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 11/08/2020), n.16909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25895/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Equitalia Nord s.p.a. (già Equitalia Esatri s.p.a.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Giuseppe Fiertler, come da procura speciale in calce al

controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico Cesi

n. 21, presso lo studio dell’Avv. Salvatore Torrisi;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

E contro

M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Pasquale Nardo,

giusta procura speciale in calce al controricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Tazio Nuvolari, n. 252, scala D, presso il

suo studio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 99/20/2012, depositata il 23 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso proposto da M.A. nei confronti della intimazione di pagamento emessa dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 1999, notificata il 3-2-2009, relativa a cartella di pagamento prodromica per la somma di Euro 2.549.760,40. Il giudice di appello rigettava il gravame evidenziando che la cartella di pagamento su cui si basava la successiva intimazione di pagamento non era stata mai notificata al contribuente. Erano, poi, da “condividere le resistenze del contribuente”, come deciso dal giudice di primo grado.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Propone ricorso incidentale Equitalia Nord s.p.a. (già Equitalia-Esatri s.p.a.).

4. Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione sollevata dal contribuente con il controricorso. Per il controricorrente, infatti, sulla prima pagina del ricorso risulta che lo stesso è stato proposto dalla “Agenzia delle entrate”, “in persona del Direttore pro-tempore”, senza alcuna specificazione se della “D.P.” di Milano, della “D.R.” della Lombardia o della “D.C.” di Roma. In tal modo non sarebbe consentito al controricorrente di individuare esattamente da chi è stato proposto il ricorso, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11. Inoltre, in calce al ricorso non risulta la firma autografa del Direttore conferente in carica pro-tempore, e non risulta alcun riferimento al mandato.

Invero, si rileva che ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61, le agenzie fiscali hanno personalità giuridica di diritto pubblico ed il direttore rappresenta l’Agenzia ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 68.

La disciplina di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, che indica le parti le processo tributario che prevede che “sono parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie, oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate che ha emesso l’atto impugnato”, con la precisazione che “se l’ufficio è una articolazione dell’Agenzia delle entrate…è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni del diritto controverso”, si riferisce appunto ai giudizi di merito che si svolgono dinanzi alle commissione tributaria, valendo altrimenti la norma speciale sul giudizio di cassazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62. Invero, per i giudizi devoluti alle commissioni tributarie il legislatore ha voluto che fossero capaci di stare in giudizio i singoli uffici dell’Amministrazione finanziaria periferica che hanno trattato la “pratica” controversa e non soltanto la competente Agenzia, con l’assistenza della Avvocatura dello Stato. Tale deroga, però, vale solo per le fasi di merito che si svolgono dinanzi alle commissioni tributarie, mentre si applica la disciplina generale in caso di ricorso per cassazione.

Nei giudizi di merito, poi, l’Agenzia delle entrate può avvalersi della difesa, oltre che dei propri funzionari, dell’Avvocatura dello Stato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, mentre nel giudizio di cassazione, non essendo espressamente prevista la difesa tecnica affidata ai funzionari dell’ente, la stessa può essere affidata all’Avvocatura generale dello Stato o a professionisti esterni.

Pertanto, avendo l’Agenzia personalità giuridica di diritto pubblico ed essendo rappresentata dal direttore, è corretta la formulazione del ricorso per cassazione presentata dalla Agenzia delle entrate con la dizione “in persona del Direttore pro tempore”, non essendo necessario specificare se trattasi di Direzione regionale o provinciale.

Del resto, stante la natura impugnatoria del processo tributario, la parte necessaria è sempre l’autorità che ha emesso l’atto o provvedimento impugnato, sicchè ove l’ente non si sia avvalso nei gradi di merito del patrocinio dell’Avvocatura (per ogni singolo procedimento), essendo l’Agenzia delle entrate rappresentata dal suo direttore, il ricorso per cassazione, proposto nei confronti della Agenzia, dovrebbe essere notificato, in via di principio, al direttore presso la sede centrate dell’ente in Roma. Identica conclusione concerne la notifica della sentenza conclusiva della fase di merito. Tuttavia, poichè la disciplina speciale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, attribuisce la capacità di stare in giudizio agli uffici finanziari che hanno emesso l’atto impugnato, la stessa capacità deve essere conferita in modo concorrente ed alternativo, secondo un modello simile alla preposizione institoria di cui agli artt. 2203 e 2204 c.c., sia all’ufficio centrale che a quello periferico. Pertanto, anche gli uffici periferici dell’Agenzia devono essere considerati, una volta che l’atto ha come destinatario l’ente, come organi dello stesso, che al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza in giudizio. La notifica della sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, può essere, quindi, indifferentemente effettuata all’Agenzia presso la sua sede centrale oppure presso il suo ufficio periferico (Cass., 14 gennaio 2015, n. 441; Cass., 24 novembre 2016, n. 23985; Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22641).

Non è, poi, necessaria una specifica procura alla Avvocatura Generale, in assenza di una disposizione normativa vincolante anche nei confronti dei terzi, anche se il ricorso a tale patrocinio deve avvenire in relazione al singolo procedimento (Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116; Cass., sez.un., 2006/3118).

1.1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 546 del 1002, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto l’impugnazione ha ad oggetto una intimazione di pagamento che non è atto autonomamente impugnabile. Inoltre, l’intimazione di pagamento, essendo relativa ad una cartella correttamente notificata e non impugnata nei termini, era inammissibile per vizi attinenti alla cartella (e non vizi propri dell’intimazione di pagamento), ed in particolare al difetto di legittimazione passiva dell’amministratore in relazione ad una ripresa fiscale nei confronti della società.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto mentre nel ricorso per riassunzione (dopo la sentenza di incompetenza per territorio da parte del giudice di prime cure) il contribuente ha contestato solo l’inesistenza giuridica della notificazione della previa cartella di pagamento, perchè effettuate dal concessionario con la notifica “diretta” a mezzo di posta ordinaria, senza seguire il procedimento specifico di cui alla L. n. 890 del 1982, nelle controdeduzioni in appello il contribuente ha contestato la inesistenza materiale della notifica, in quanto era stata prodotta in giudizio solo la fotocopia dell’avviso di ricezione della raccomandata, senza alcuna certificazione della conformità all’originale. Trattasi, quindi, di domanda nuova inammissibile.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto, ove dalla motivazione della Commissione regionale si volesse intendere che era stata dichiarata la inesistenza “giuridica” della notifica della cartella di pagamento, perchè effettuate al contribuente con raccomandata con ricevuta di ritorno, senza il rispetto delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1982, il giudicante non ha spiegato in alcun modo le ragioni del suo convincimento, incorrendo nel vizio di radicale ed assoluto difetto di motivazione.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e della L. n. 890 del 1982, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, è norma speciale che consente la notificazione “diretta” della cartella al contribuente con raccomandata con ricevuta di ritorno, senza la necessità della relata di notifica e senza osservare le formalità di cui alla L. n. 890 del 1982, artt. 3 e 14.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il giudice di appello si limita ad affermare che non vi è prova della avvenuta notificazione della cartella di pagamento, mentre entrambe le parti sono concordi nell’affermare che è stata prodotta in atti la fotocopia dell’avviso di ricezione della raccomandata relativa alla cartella di pagamento, notificata il 28-9-2004. Peraltro, il contribuente non ha mai contestato la conformità all’originale dell’avviso prodotto in fotocopia.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e del principio di definitività degli atti impositivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha affermato che “sono da condividere le resistenze del contribuente, come già deciso in primo grado”. Il giudice di prime cure, però, ha accolto il ricorso avverso la successiva intimazione di pagamento, evidenziando il difetto di legittimazione passiva del contribuente. Tuttavia, una volta non impugnata la pregressa cartella di pagamento, il ricorrente non può poi impugnare la successiva intimazione di pagamento per vizi relativi alla cartella, come appunto il difetto di legittimazione passiva del contribuente, che era solo l’amministratore della società e non poteva, quindi, rispondere dei debiti tributari a carico della stessa.

7. Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto con avviso di accertamento erano state irrogate sanzioni, per l’anno 1999, alla società Europa 2000 di cui il M. era legale rappresentante e, dunque, obbligato solidale in quanto effettivo autore della violazione. Il giudice di primo grado ha ritenuto il difetto di legittimazione passiva dell’amministratore. Il giudice di appello ha confermato la sentenza del giudice di prime cure con una motivazione meramente apparente, affermando del tutto apoditticamente di condividere “le resistenze” accolte in primo grado.

8. Con il primo motivo di ricorso incidentale la Equitalia Nord s.p.a. deduce la “violazione degli art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4; dell’art. 161 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”, in quanto dalla motivazione della sentenza del giudice di appello non si comprende in alcun modo la ragione per cui erano da condividere “le resistenze” del contribuente, in punto di difetto di legittimazione passiva. La motivazione per relationem è ammissibile solo se è possibile il controllo della motivazione.

9. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la Equitalia Nord s.p.a. deduce la “violazione dell’art. 112 (art. 360 c.p.c., n. 4)”, in quanto il giudice di appello non ha esaminato la deduzione della ricorrente in ordine alla rituale notificazione della cartella di pagamento prodromica alla intimazione di pagamento.

10.Con il terzo motivo di impugnazione la Equitalia Nord s.p.a. deduce la “violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e del D.Lgs. n. 546 del 1002, artt. 19 e 21 (art. 360 c.c., n. 3)”, in quanto la concessionaria può effettuare la notifica “diretta” ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, a mezzo di posta ordinaria con raccomandata con ricevuta di ritorno.

11.1. Il primo motivo di impugnazione del ricorso principale della Agenzia delle entrate è infondato.

Invero, l’intimazione di pagamento di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, che è un atto vincolato, in quanto redatto in relazione ad un modello ministeriale ed avente come contenuto l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni (Cass., n. 28689 del 2018), è atto impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27882; Cass., 21045/07; Cass., sez.un., 8279 del 31 marzo 2008), anche ove non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento.

L’intimazione di pagamento, in realtà, è l’equivalente normativo dell’avviso di mora, ancora indicato al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. e). L’intimazione di pagamento di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, ha uno spessore sostanziale, rappresentando pur sempre l’atto terminale di una azione di prelievo, che ha natura provvedimentale, a fronte della quale chi ne è destinatario ha l’onere di impugnazione entro sessanta giorni dalla notificazione, sotto pena, in difetto della impugnazione, della inoppugnabilità, con tutte le conseguenti preclusioni.

Pertanto, se non v’è stata la previa notifica della cartella di pagamento, con l’impugnazione della successiva intimazione di pagamento possono farsi valere vizi anche della cartella; se, invece, v’è stata la previa notificazione della cartella di pagamento l’intimazione può essere impugnata esclusivamente per vizi propri di quest’ultima.

12.1. I motivi terzo, quinto e settimo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

12.1. Invero, mentre nel ricorso per riassunzione presentato dal contribuente, dopo la pronuncia declinatoria della competenza per territorio da parte del primo giudice adito, il M. ha dedotto esclusivamente l’inesistenza “giuridica” della notificazione della prodromica cartella di pagamento, in quanto effettuato in forma “diretta” dalla concessionario, a mezzo posta ordinaria, con raccomandata con ricevuta di ritorno, senza il rispetto delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1982 (relata di notifica; apposizione del numero di registro cronologico del registro delle notifiche; firma dell’agente notificatore), solo in sede di controdeduzioni nel giudizio di appello, a seguito dell’accoglimento del ricorso da parte della Commissione provinciale, per difetto di legittimazione passiva del contribuente, quale amministratore della società, il contribuente ha dedotto l’inesistenza “materiale” della notifica. In particolare, il contribuente ha rilevato che la concessionaria si è limitata a produrre in giudizio la mera fotocopia dell’avviso di ricezione, senza però l’attestazione di conformità della stessa all’originale.

12.2. A fronte di tale complessa fattispecie, che atteneva, da un lato, alla esatta individuazione delle censure sollevate dal contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio (inesistenza giuridica della notificazione della cartella) e in grado di appello (inesistenza materiale della notificazione della cartella),e dall’altro, alla questione del difetto di legittimazione passiva dell’amministratore della società di capitali, in ordine alla irrogazione delle sanzioni contestate alla società, il giudice di appello si è limitato a rigettare il gravame proposto dalla Agenzia delle entrate, senza manifestare in alcun modo le ragioni di tale convincimento. Del resto, è del tutto pacifico tra le parti che la concessionaria ha prodotto in giudizio la fotocopia dell’avviso di ricezione della cartella. L’Agenzia delle entrate ha persino riprodotto nel corpo del ricorso per cassazione l’avviso di ricezione della cartella di pagamento.

In particolare, il giudice di appello ha affermato in modo del tutto apodittico che “come esplicitamente dichiarato dall’appellato, la cartella di pagamento su cui si basa la successiva intimazione di pagamento, non è stata mai notificata al ricorrente”. Aggiunge la motivazione che “secondo il contribuente la contestazione non era stata possibile in quanto non aveva ricevuto alcuna notifica in merito”.

Del resto, anche in relazione alla questione in ordine alla legittimazione passiva dell’amministratore di una società di capitali ad essere destinatario di una cartella di pagamento per sanzioni irrogate alla società, oltre che a quella relativa alla possibilità di effettuare la notificazione della cartella all’amministratore della società di capitali dopo la dichiarazione di fallimento della stessa, il giudice di appello si è limitato, con poche incongrue battute, ad affermare che “sono invece da condividere le resistenze del contribuente, come già deciso in sede di giudizio di primo grado”.

Il riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado, con rifermento ad entrambe le questioni, da parte del giudice di appello, senza mostrare alcun vaglio critico in ordine alle censure mosse dalla Agenzia delle entrate alla sentenza di primo grado con l’atto di appello, e senza palesare le ragioni della condivisione della motivazione della decisione di prime cure, depongono per la nullità della sentenza della Commissione regionale per avere reso una motivazione solo apparente, ma del tutto priva della struttura logica, normativa e ricostruttiva.

12.3. Invero, per questa Corte, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a)si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti… ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass. Civ., Sez. Un., 4 giugno 2008, n. 14815).

Si è, poi, precisato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purchè resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. Civ., 8 gennaio 2015, n. 107; Cass. Civ., 6 marzo 2018, n. 5209; Cass., 21978/2018; Cass. 17403/2018; Cass. Civ., 14 febbraio 2003, n. 2196).

Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. Civ., 22022 del 2017).

Infatti, in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali (Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074). Pertanto, è legittima la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., sez. 3, 11 giugno 2008, n. 15483).

Del resto, per questa Corte, a sezioni unite, si è in presenza di una motivazione meramente “apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e quindi materialmente esistente), come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento (Cass., Sez. Un., 9279/2019; Cass. Civ., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Civ., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16599).

Invero, la ricorrente ha riportato in forma integrale l’avviso di ricezione della spedizione della raccomandata relativa alla previa cartella di pagamento, ove si legge che la raccomandata attiene alla cartella (OMISSIS), notificata il 28-9-2004, indirizzata ad M.A. e ricevuta dal destinatario con sottoscrizione da parte dello stesso.

La Commissione regionale, sul punto, ha reso una motivazione (con sentenza del 23-7-2012, quindi con applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione anteriore alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012) del tutto insufficiente, sì da risultare completamente omessa, limitandosi ad affermare in modo apodittico che “la cartella di pagamento su cui si basa la successiva intimazione di pagamento, non è stata mai notificata al ricorrente”, senza tenere conto che, in realtà, era pacifico tra le parti che nel corso del giudizio vi era stata la produzione della fotocopia dell’avviso di ricezione della raccomandata relativa alla cartella di pagamento.

13. Tutti gli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale sono assorbiti, in ragione dell’accoglimento dei motivi di cui sopra.

14. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie i motivi terzo, quinto e settimo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; rigetta il primo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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