Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16906 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2211-2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 86,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SONIA RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNOm – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna – Sezione

di Forlì – Cesena, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 5963/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA,

depositato il 02/12/2019 R.G.N. 5476/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto n. 5693/2019 il Tribunale di Bologna ha respinto l’impugnazione proposta da A.A., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione;

1.1. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il timore di violenza da parte del padre della sua fidanzata, deceduta in ospedale dopo avere cercato di abortire prendendo dei farmaci; per timore di ritorsioni egli era dapprima scappato presso un amica della madre dove aveva appreso che suo padre era stato ucciso dal padre della ragazza e quindi, venuto a conoscenza di essere ricercato dalla polizia, con l’aiuto della persona che l’ospitava aveva deciso di scappare verso la Libia;

1.2. il Tribunale, ritenuto che alla stregua dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le dichiarazioni del richiedente non risultavano credibili per la loro genericità e per alcune contraddittorietà emerse, rimarcato il carattere privato della vicenda, ha escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); in relazione all’ipotesi di cui alla lettera c) dell’art. 14 cit., ha osservano che le fonti consultate non consentivano di ritenere nell'(OMISSIS), regione di provenienza del richiedente, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno; non sussistevano i presupposti per la protezione umanitaria in assenza di una grave e seria condizione di vulnerabilità da tutelare, ulteriormente osservando che il percorso di integrazione intrapreso, pur se apprezzabile, non era significativo e non si configurava quale ostativo al rientro in patria;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Abraham A. sulla base di quattro motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva;

3. parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis..1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo nullità del decreto per violazione del D.L. n. 13 del 2017, art. 35 bis e dell’art. 737 c.p.c., censura il provvedimento impugnato per non essere il ricorrente, in sede giudiziale, stato ascoltato dall’intero Collegio ma da un giudice singolo e perchè tale giudice non aveva composto il Collegio che aveva pronunziato sul ricorso;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c. ovvero dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4; in particolare denunzia apparenza di motivazione in ordine alla credibilità del ricorrente ed in relazione alla presunta assenza di pericoli oggettivi e concreti in caso di rientro nel Paese di origine;

3. con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a) e c), per essersi il giudice di merito limitato a ribadire il ragionamento della commissione, senza porre alcuna domanda di approfondimento sulle questioni non chiare; ciò in violazione dell’obbligo di cooperazione nell’acquisizione e valutazione della prova gravante sul giudice;

4. con il quarto motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, dell’art. 2 Cost., dell’art. 8CEDU – nonchè omessa motivazione su un punto decisivo, censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria;

5. il primo motivo di ricorso è inammissibile non avendo parte ricorrente, mediante l’adeguata esposizione del fatto processuale (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), corredata dalla trascrizione o esposizione per riassunto degli atti di pertinenza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), dimostrato, in conformità del parametro dell’autosufficienza, che l’audizione del ricorrente era stata effettuata da un giudice onorario, non facente parte del Collegio, circostanza quest’ultima non emergente dalla decisione impugnata;

5.1. nè a tal fine può tenersi conto di quanto riportato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c. la quale, per costante giurisprudenza di questa Corte, ha una funzione meramente illustrativa e non integrativa in funzione di sanatoria di eventuali vizi del ricorso per cassazione (Cass. 30760/2018, 17603/2011);

6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in entrambi i profili denunziati;

6.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (v. tra le altre Cass. 7653/2012);

6.2. parte ricorrente pur formalmente denunziando, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, non identifica, come viceversa richiesto dall’esigenza di specificità del motivo di impugnazione, la domanda o la eccezione di merito sulla quale il Tribunale avrebbe omesso di pronunziare; le censure articolate risultano infatti incentrate sulla diretta contestazione della valutazione espressa da giudice di merito in punto di inattendibilità del racconto del richiedente, di esclusione del rischio di grave pericolo in caso di rientro, ecc., doglianze estranee alla corretta deduzione del vizio di cui all’art. 112 c.p.c.;

6.3. non è configurabile il vizio di motivazione apparente, il quale sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum; parte ricorrente, invece, incorrendo in errore di diritto, mostra di collegare tale vizio ad un diverso apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente in punto di specificità ed esaustività del racconto ed in relazione alla situazione del paese di origine, prospettando una mera questio facti la quale già in radice si rivela inidonea a configurare il vizio formalmente denunziato, sostanziandosi (anche in riferimento alla censura relativa alle fonti utilizzate dal Tribunale), in un mero dissenso valutativo sulle risultanze di causa;

7. il terzo motivo è inammissibile;

7.1. la decisione impugnata è coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., n. 15794/2019); una volta esclusa pertanto la credibilità del narrato non è necessario far luogo ad alcun approfondimento istruttorio; tanto giustifica il rigetto della domanda di protezione internazionale e sussidiaria con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) Cass. 20249/2020) le censure non attengono le rationes decidendi sul punto;

8. il quarto motivo è inammissibile in quanto pur formalmente denunziando plurime violazioni di norme di diritto, non risulta incentrato sul significato e sulla portata applicativa delle norme evocate ma investe la ricognizione della concreta fattispecie sulla base delle risultanze di causa, accertamento incrinabile, ai sensi dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto, inteso quale fatto storico fenomenico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione fra le parti, evocato nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. Un. 8053/2014), neppure formalmente prospettato dall’odierno ricorrente;

9. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

10. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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