Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16906 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 13/01/2020, dep. 11/08/2020), n.16906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1612/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Mario

Garavoglia e Claudio Lucisano, con domicilio eletto in Roma, via

Crescenzio, n. 91, presso lo studio di quest’ultimo;

– controricorrente –

e sul ricorso incidentale proposto da:

Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Mario

Garavoglia e Claudio Lucisano, con domicilio eletto in Roma, via

Crescenzio, n. 91, presso lo studio di quest’ultimo;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 48/29/11 depositata il 14 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 gennaio 2020

dal Consigliere Giuseppe Nicastro;

udito l’Avv. dello Stato Gentili Paolo per la ricorrente e l’Avv.

Mario Garavoglia per la controricorrente e ricorrente incidentale;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbiti i

restanti motivi, e il rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo (hinc anche: “la Fondazione”), titolare del 21 per cento delle azioni della Cassa di Risparmio di Cuneo s.p.a., chiedeva all’Agenzia delle entrate, Ufficio locale di Cuneo, il rimborso della maggiore IRPEG indebitamente versata per i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997, 1997-1998 e 1998-1999 (più esattamente, rispettivamente, 1 ottobre 1994-30 settembre 1995, 1 ottobre 1995-30 settembre 1996, 1 ottobre 1996-30 settembre 1997, 1 ottobre 1997-30 settembre 1998 e 1 ottobre 1998-30 settembre 1999) in conseguenza dell’erronea applicazione dell’aliquota ordinaria della suddetta imposta in luogo di quella agevolata, ridotta alla metà, a essa asseritamente applicabile ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6.

Dopo avere emesso dei provvedimenti relativi ai crediti per i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 (atto prot. n. 59545/2003 del 16 settembre 2003) e 1998-1999 (atto prot. n. 36242 del 12 luglio 2004) – con la sola eccezione, dunque, del periodo d’imposta 1997-1998 – l’Agenzia delle entrate, Ufficio locale di Cuneo, emetteva provvedimenti di diniego dei rimborsi richiesti in riferimento a tutti e cinque i periodi menzionati, asserendo che l’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, non spettava alla Fondazione.

2. Con ricorso cumulativo, la Fondazione impugnava tali provvedimenti davanti alla Commissione tributaria provinciale di Cuneo (hinc anche: “CTP”), che accolse il ricorso della contribuente.

La CTP ritenne l’efficacia nel giudizio del giudicato esterno delle sentenze n. 180/2000 e n. 92/2001 con le quali la stessa Commissione, pronunciandosi sui ricorsi proposti dalla Fondazione avverso due avvisi di accertamento a essa notificati dall’Ufficio locale di Cuneo per i periodi d’imposta 1992-1993 e 1993-1994 – per i quali la Fondazione aveva applicato l’aliquota agevolata – aveva riconosciuto il diritto della contribuente all’applicazione di tale aliquota.

La CTP affermò altresì che, per i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 e 1998-1999, il diritto ai rimborsi richiesti si era “consolidato (…) a seguito delle (…) attestazioni fornite dalla Agenzia ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 (che) qualificava (…) come riconoscimento di debito (…) ai sensi dell’art. 1998 C.C” (così la sentenza impugnata).

Il giudice di primo grado, infine, asserì anche che “la ricorrente (ha)dimostrato (…) di aver svolto, anche nelle annualità di cui trattasi, una attività prevalente, se non esclusiva, di promozione sociale e culturale, mentre non vi è alcun concreto elemento che consenta di affermare che la Fondazione abbia interferito, quale socio di maggioranza, nelle decisioni prese dagli organi amministrativi della Cassa di Risparmio di Cuneo”.

3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Cuneo, propose appello alla Commissione tributaria regionale del Piemonte (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò con riguardo ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 e 1998-1999 (confermando l’illegittimità del diniego dei rimborsi richiesti per questi periodi), mentre lo accolse con riguardo al periodo d’imposta 19971998 (affermando la legittimità del diniego del rimborso richiesto per quest’ultimo periodo).

La CTR rigettò anzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate sollevata dalla Fondazione per il difetto di specificità del primo motivo concernente l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001.

Nel merito, la CTR accolse tale motivo con la motivazione che Cass., S.U., 16/06/2006, n. 13916, pur riconoscendo la capacità espansiva del giudicato in materia tributaria, reputò che essa “non può certo estendersi a valutazioni di fatto relative all’attività dell’ente o a loro effetti, valutazioni che devono certamente soggiacere alla possibilità di mutevole giudizio in relazione non solo a mutate situazioni di fatto o a mutate disposizioni legislative ma anche a mutate sensibilità economiche e politiche. In tale categoria va posta la questione oggetto del presente procedimento, se cioè il possesso di una partecipazione di maggioranza da parte di un ente non avente scopo di profitto in una società commerciale possa essere qualificata attività di impresa; in questo caso infatti non si discute delle natura giuridica dell’ente (…), il quale, ai sensi delle sue norme statutarie, può ben essere definito ente non avente scopo di profitto, ma (…) si discute se la sua partecipazione a società avente scopo di lucro in posizione di predominanza possa essere definita attività di impresa. Questa valutazione ben può dare luogo a giudizi diversi in distinti periodi temporali per mutate sensibilità politiche ed economiche; nel caso di specie, trova rilievo l’argomento posto a base del motivo di appello, relativo a giurisprudenza comunitaria che, sia pure relativa a situazioni diverse, ha stabilito che il giudicato esterno non possa essere utilizzato per consentire violazione del principio di divieto di aiuti di stato alle imprese”.

Ritenuto di dovere quindi affrontare “ex novo” la questione dello svolgimento o no di attività d’impresa da parte della Fondazione, con riguardo ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 e 1998-1999, la CTR, rilevato che, per gli stessi, “l’Agenzia delle Entrate (…) aveva attestato la certezza e liquidità del credito vantato dalla Fondazione ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 10″, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, reputò che all'”attestazione” a norma di tale articolo dovesse riconoscersi la stessa efficacia (quanto a irretrattabilità per l’amministrazione finanziaria) attribuita dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, alla risposta all’interpello del contribuente, atteso che, “allorchè la Amministrazione rilascia non un semplice attestato di “regolarità” della dichiarazione, ma uno specifico attestato che il credito portato in tale dichiarazione è certo e liquido, la detta attestazione costituisce atto conclusivo del procedimento di accertamento e liquidazione del tributo, atto ad esaurire il rapporto giuridico relativo alla dichiarazione del contribuente e a precludere alla Amministrazione Finanziaria ogni possibilità di revoca o annullamento della detta attestazione”, dovendosi altresì sottolineare che, poichè lo stesso art. 10 “autorizza (e non obbliga) la amministrazione a una risposta”, se la stessa “decide di dar corso al rilascio della chiesta attestazione, essa ammette con tale atto di avere proceduto al controllo della dichiarazione nella sua parte formale e sostanziale”. Tale conclusione sarebbe convalidata anche dal “fatto che la detta norma è dettata al fine di consentire al creditore di imposta di poter ritenere acquisito il suo diritto al rimborso, in attesa delle pratiche”, sicchè “ammettere che tale attestazione possa essere nel prosieguo revocata o tenuta in non cale significa spogliare di qualsiasi ragionevole contenuto la norma”. Dopo avere ulteriormente rilevato che l’amministrazione finanzaria non aveva emesso nei termini atti di accertamento o di rettifica delle dichiarazioni, che le attestazioni da essa rilasciate non erano mai state esplicitamente revocate e che solo dopo il sollecito della contribuente (presentato dopo quattro anni dalle suddette attestazioni) l’amministrazione finanziaria aveva emesso dei provvedimenti di diniego con esse contrastanti, la CTR concludeva che tali provvedimenti violavano sia la L. n. 212 del 2000, art. 10, sia il D.L. n. 269 del 2003, art. 10. Pertanto, “per le quattro annualità (…), deve ritenersi (…) intervenuta preclusione per la Amministrazione alla rettifica della attestazione già rilasciata, per cui per tale motivo la sentenza impugnata deve essere confermata”.

Con riguardo, infine, al periodo d’imposta 1997-1998, dopo avere richiamato Corte di giustizia, 10/01/2006, in causa C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze contro Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.a., e Cass., S.U., 22/01/2009, n. 1593 (recte: n. 1576), la CTR, premesso che la sentenza di primo grado aveva escluso che la Fondazione svolgesse attività d’impresa sulla sola base della produzione documentale che evidenziava gli interventi da essa operati, rilevò che, dall’art. 3, secondo periodo, dello statuto della Fondazione “edizione 1999”, risultava che a essa “era riconosciuta (…) la possibilità di promuovere progetti e iniziative diretti a stimolare e sviluppare le capacità imprenditoriali e organizzative nella produzione di beni e servizi dai quali trae beneficio la collettività, previsione quindi che potrebbe portare a interventi diretti a sostegno di attività imprenditoriali o di attività della conferitaria; si richiama a titolo esemplificativo la relazione al bilancio preventivo 1994/95 ove si delibera uno stanziamento a favore delle imprese dei privati danneggiati dalla alluvione del novembre 1994, stanziamento da essere impiegato nel pagamento di una semestralità degli interessi sui mutui che la conferitaria avrebbe concesso a tali soggetti”. Inoltre, sarebbe stata soprattutto rilevante la previsione dell’art. 4, quinto periodo, dello stesso statuto, la quale realizzerebbe “una delle condizioni poste dalla giustizia comunitaria a base del giudizio di esercizio indiretto di attività di impresa, dato che la Fondazione, che detiene il 21% delle azioni della società conferitaria, accantona parte rilevante degli utili a riserva al fine di poter sottoscrivere gli aumenti di capitale sociale della società conferitaria, mantenendo pertanto inalterata con tale attività la sua quota rilevante di partecipazione al capitale sociale della conferitaria realizzando quindi con la attività di questo un vincolo di partecipazione che certo assume rilevanza economica di non poco momento”. Da ciò l’affermazione della legittimità del diniego del rimborso richiesto per il periodo 1997-1998.

4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 14 giugno 2011 e notificata il 4 novembre 2011 – nella parte riguardante i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 e 1998-1999, ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 3/9 gennaio 2012, a sei motivi.

5. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo resiste con controricorso, notificato il 17 febbraio 2012. Con lo stesso atto, la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo ha altresì proposto ricorso incidentale, affidato a dieci motivi.

6. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo ha depositato una memoria.

7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 13 gennaio 2020, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, preleggi, per avere la CTR affermato che il provvedimento prot. n. 59545/2003 del 16 settembre 2003, relativo ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997, costituisce un’attestazione ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 – con la sua conseguente asserita irretrattabilità per l’amministrazione finanziaria – così attribuendo a tale disposizione, entrata in vigore solo il 2 ottobre 2003, effetto retroattivo.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(o)messa motivazione su punti di fatto decisivi, anche come omesso esame di documenti decisivi”, per avere la CTR: a) quanto al primo vizio, reputato che i provvedimenti prot. n. 59545/2003 del 16 settembre 2003 (relativo ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 19961997) e prot. n. 36242 del 12 luglio 2004 (relativo al periodo d’imposta 1998-1999) fossero stati emanati a seguito della presentazione, da parte della Fondazione, di richieste ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 – le quali costituiscono il presupposto per l’emanazione dell’attestazione prevista dallo stesso articolo – laddove la Fondazione aveva inoltrato all’Agenzia delle entrate soltanto delle istanze di rimborso e dei solleciti dell’esecuzione dello stesso; b) quanto al secondo vizio (dedotto in via subordinata), affermato del tutto anapoditticamente che la Fondazione aveva presentato delle richieste di attestazione ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 – fatto dal quale dipendeva l’applicabilità di tale disposizione, “che la CTR ha considerato la norma essenziale per definire la controversia” -, omettendo, al contempo, di esaminare le istanze presentate dalla contribuente, dalle quali emergeva ictu oculi che essa aveva chiesto dei rimborsi e non delle attestazioni ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, ex art. 10.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, anche per avere la CTR considerato i riprodotti provvedimenti prot. n. 59545/2003 del 16 settembre 2003 e prot. n. 36242 del 12 luglio 2004 delle attestazioni ai sensi del suddetto articolo, ancorchè con gli stessi – come emerge dalla loro lettura – l’Ufficio di Cuneo non avesse affatto attestato la certezza e la liquidità dei crediti tributari nè la data indicativa di erogazione del rimborso ma si fosse limitato “a certificare che i rimborsi chiesti dalla Fondazione per i vari anni di imposta in contestazione ammontavano alle somme indicate dalla Fondazione stessa nelle proprie istanze”, sicchè il valore di tali “del tutto atipiche” dichiarazioni era, “semmai, solo quello di escludere che l’Ufficio negasse che la Fondazione avesse presentato le istanze, e di vincolare l’Ufficio, una volta che le avesse prese in esame, ad esaminarle con riferimento a quegli importi e a quelle causali, e non ad altro”.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente principale denuncia, in via subordinata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e della L. n. 212 del 2000, art. 11, in quanto, anche qualora si ritenesse l’applicabilità alla fattispecie del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, la CTR: a) ha erroneamente attribuito all’attestazione ai sensi di tale articolo effetti di vincolatività e irretrattabilità per l’amministrazione finanziaria di cui essa è priva – affermando in particolare che, con tale attestazione, l’amministrazione “ammette (…) di avere proceduto al controllo della dichiarazione nella sua parte formale e sostanziale” e che essa “costituisce atto conclusivo del procedimento di accertamento e liquidazione del tributo, atto ad esaurire il rapporto giuridico relativo alla dichiarazione del contribuente e a precludere alla Amministrazione Finanziaria ogni possibilità di revoca o annullamento” – laddove la stessa attestazione, la cui ratio “è da individuarsi solo nella possibilità per il creditore di vantare presso terzi la bontà del suo credito”, fa invece “salvo il potere dell’amministrazione di verificare la sussistenza di tutti i presupposti del preteso credito nel momento in cui procede definitivamente al suo rimborso”, “approfond(endo) l’esame della fattispecie (…) anche alla luce del mutamento della situazione di fatto o di diritto” e, quindi, “di disconoscere motivatamente la propria attestazione, negando il rimborso”; b) ha indebitamene assimilato l’attestazione ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, ex art. 10, alla risposta all’interpello di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 e dell’art. 108, par. 3, del TCE (recte: del TFUE, già art. 88 TCE), per avere la CTR reputato che “le dichiarazioni dell’Ufficio” avessero ingenerato nella Fondazione un affidamento tutelato a norma del suddetto art. 10, nonostante l’amministrazione finanziaria, prima della presentazione delle dichiarazioni della contribuente, non avesse fornito alcuna indicazione nel senso della spettanza dell’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 – avendo essa anzi emanato delle circolari di segno contrario – e nonostante, “vertendosi in materia di possibile erogazione di aiuti di Stato al di fuori delle procedure autorizzatorie previste dall’art. 108 par. 3 del Trattato” CEE, non fosse “configurabile per definizione alcun affidamento tutelabile.

6. Con il sesto motivo, la ricorrente principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 108, par. 3, del TFUE, per non avere la CTR considerato che tale disposizione osterebbe a una disposizione, come quella del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, o a un’interpretazione di essa, “in forza della quale una mera attestazione di certezza ed esigibilità di un credito fiscale preteso da un contribuente, emessa da un Ufficio dell’Agenzia delle entrate, inibisca all’amministrazione (…) e al giudice di valutare se il preteso rimborso costituisca un aiuto di Stato non autorizzato dalla Commissone Europea ai sensi dell’art. 108, par. 3 cit. e, in ipotesi positiva, di disapplicare l’art. 10 cit. e di negare l’erogazione del rimborso in quanto costituente un aiuto di Stato illegale”.

7. Con il primo motivo (contrassegnato con la lett. A) del ricorso incidentale – condizionato all’accoglimento del ricorso principale e al fatto che questa Corte ritenga che il motivo di appello dell’Agenzia delle entrate relativo ad “applicabilità dell’art. 1988 c.c. Riconoscimento di debito” sia stato implicitamente accolto dalla CTR – la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., atteso che i provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004, anche qualora non si reputino costituire delle attestazioni ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, integrerebbero, comunque, delle ricognizioni di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., con il conseguente onere dell’Agenzia delle entrate, dalla stessa mai assolto, di fornire la prova dell’inesistenza dei crediti della Fondazione.

8. Venendo ai motivi del ricorso incidentale relativi ai capi della sentenza impugnata che hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate e accolto lo stesso negando l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001 e affermando la legittimità del diniego del rimborso richiesto per il periodo 1997-1998 – motivi da “valere eventualmente anche quale ricorso incidentale condizionato avverso gli stessi (…) capi della sentenza per le annualità 1994/95, 1995/96, 1996/97 e 1998/99” – con il secondo motivo (contrassegnato con il numero romano I), la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, per avere la CTR ritenuto la specificità del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate concernente l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001.

9. Con il terzo motivo (contrassegnato con il numero romano II) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – e in subordine rispetto al secondo motivo – “(m)otivazione contraddittoria in ordine (al) fatto controverso e decisivo per il giudizio” della specificità e, quindi, dell’ammissibilità del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate concernente l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001, per avere la CTR affermato la “compiutezza e concludenza” di tale motivo facendo riferimento a elementi che non sono in esso contenuti nè si possono da esso desumere (quale l’affermazione secondo cui “la parte appellante (…) ritiene di applicare il principio ricavabile da tale giurisprudenza (della Corte di giustizia) a tutte le ipotesi di agevolazione concesse a enti che svolgono attività di impresa”) – e che sono, in ogni caso, insufficienti a farne ritenere l’ammissibilità.

10. Con il quarto motivo (contrassegnato con il numero romano III) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità del capo della sentenza che ha negato l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001 per ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR negato detta efficacia “sulla base di un motivo (…) che non era stato proposto dall’ente impositore appellante”, atteso che, mentre quest’ultimo, nel proprio ricorso in appello, avrebbe fatto riferimento “al presunto superamento del principio di ultrattività del giudicato esterno determinato dalla giurisprudenza comunitaria, che ne ha sostanzialmente sancito l’inoperatività nel caso in cui dalla sua applicazione possa derivare un pregiudizio per l’effettività dell’ordinamento Europeo”, la sentenza impugnata avrebbe invece asserito “l’inapplicabilità, in radice, del principio di ultrattività del giudicato al caso di specie, in considerazione del tipo di valutazione operata dalle sentenze ormai definitive rese tra le stesse parti”, in quanto concernenti “valutazioni di fatto relative all’attività dell’ente o a loro effetti” anzichè a “ben specifiche questioni di qualificazione giuridica del soggetto debitore o del bene soggetto a imposta”.

11. Con il quinto motivo (contrassegnato con il numero romano IV) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., atteso che, contrariamente a quanto reputato dalla CTR – secondo cui l’efficacia esterna del giudicato “non può (…) estendersi a valutazioni di fatto relative all’attività dell’ente o a loro effetti” – tale efficacia ben può riguardare anche l’accertamento di elementi di fatto, costitutivi di effetti giuridici, “aventi il carattere della durevolezza nel tempo”, come nel caso, appunto, dell’accertamento compiuto dalle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001, il quale atteneva al tipo di attività esercitata dalla Fondazione e ai rapporti tra la stessa e la Cassa di Risparmio di Cuneo s.p.a. (in particolare, sotto il profilo dell’impossibilità di un’ingerenza della prima nella gestione della seconda), alla luce anche dello norme statutarie della Fondazione, e, quindi, alla non riconducibilità della stessa a un’impresa creditizia. Nè l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001 potrebbe trovare ostacolo sempre ad avviso della ricorrente incidentale – nella sentenza della Corte di giustizia 18/07/2007, in causa C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato contro Lucchini s.p.a., per la duplice ragione che essa: a) “riguarda una fattispecie in cui il giudicato avrebbe impedito il recupero di un aiuto di Stato espressamente e specificamente dichiarato incompatibile con il Trattato da una decisione definitiva della Commissione Europea, che tale recupero imponeva”; b) analogamente alla pure ricordata sentenza della Corte di giustizia 03/09/2009, in causa C-2/08, Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate contro Fallimento (OMISSIS) s.r.l., ha affermato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea dell’efficacia esterna del giudicato in quanto questa avrebbe impedito l’applicazione di tale diritto alle fattispecie di causa mentre nella fattispecie in considerazione “l’accertamento passato in giudicato ha ad oggetto proprio la sussistenza di quei presupposti (…) che escludono in radice che il riconoscimento del diritto della ricorrente incidentale all’agevolazione (…) conduca ad una disapplicazione del diritto comunitario, e/o a una violazione della sua effettività”.

12. Con il sesto motivo (contrassegnato con il numero romano V) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(m)otivazione contraddittoria in relazione (al) fatto controverso e decisivo per il giudizio” dell’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001 (letteralmente, al fatto della “presunta irrilevanza del giudicato esterno nel caso di specie”) sotto i due profili che la CTR: a) a sostegno della propria decisione sul punto ha richiamato Cass., S.U., n. 13916 del 2016, “alla luce (delle cui) affermazioni, il caso di specie dovrebbe senz’altro rientrare fra quelli con riguardo ai quali il principio di ultrattività del giudicato trova applicazione”, atteso che le menzionate sentenze della CTP hanno accertato “elementi di carattere tendenzialmente permanente (anche in quanto dedotti dagli statuti dell’ente), la cui sussistenza si configura senz’altro come preliminare all’applicazione di una specifica disciplina tributaria, ossia quella prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6”; b) ha contraddittoriamente contemporaneamente affermato sia che “l’ultrattività del giudicato non è in radice applicabile in ragione della natura della valutazione resa dalla Commissione provinciale di Cuneo” sia che la stessa ultrattività “sarebbe astrattamente applicabile, ma il principio affermato dalla Corte di giustizia ne impedisce in concreto l’operatività” (citazioni tratte dal motivo di ricorso).

13. Con il settimo motivo (contrassegnato con il numero romano VI) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(o)messa motivazione in relazione (al) fatto controverso e decisivo per il giudizio” dell'”applicabilità al caso di specie della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di giudicato esterno” – in particolare, di quella secondo cui tale giudicato “non p(uò) essere utilizzato per consentire violazione del principio di divieto di aiuti di stato alle imprese” (così la sentenza impugnata) – in quanto la CTR ha affermato tale applicabilità in maniera del tutto anapodittica, laddove anche il fatto (riconosciuto dalla stessa Commissione regionale) che la giurisprudenza della Corte di giustizia riguardasse fattispecie diverse da quella di causa, “avrebbe (…) imposto quanto meno l’illustrazione delle ragioni per le quali, nel caso di specie, l’applicazione del principio avrebbe determinato una simile violazione”.

14. Con l’ottavo motivo (contrassegnato con il numero romano VII) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 e dell’art. 107 TFUE (alla luce del quale lo stesso art. 6 dovrebbe essere interpretato), sotto i due profili che: a) poichè una parte del credito tributario relativo al periodo d’imposta 1997-1998 (pari a Euro 1.872.130,44) derivava dall’applicazione dell’aliquota ordinaria e non dell’aliquota agevolata dell’IRPEG, le argomentazioni addotte dalla CTR per negare il rimborso di detta parte sono del tutto inconferenti; b) per quanto riguarda gli ulteriori importi, la CTR avrebbe escluso l’applicabilità dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, affermando che la Fondazione esercitava attività d’impresa, nonostante avesse riconosciuto che la stessa Fondazione aveva dimostrato “che tutte le operazioni da lei concluse avevano finalità di sostegno e incentivo a iniziative sociali e culturali”, ponendosi così in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (è citata, in particolare, Cass. 02/04/2010, n. 8082) secondo cui detta agevolazione deve essere riconosciuta qualora la fondazione bancaria dimostri di avere svolto un’attività prevalente o esclusiva di promozione sociale o culturale.

15. Con il nono motivo (contrassegnato con il numero romano VIII) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 107 TFUE, come interpretato da Corte di giustizia 10/01/2006, in causa C-222/04, sotto i due profili che la CTR: a) ha affermato che la Fondazione esercitava attività d’impresa sulla base delle due circostanze che, in base al suo statuto, ha “la possibilità di promuovere progetti e iniziative diretti a stimolare e sviluppare le capacità imprenditoriali e organizzative nella produzione di beni e servizi dai quali trae beneficio la collettività” (come esemplificato dalla “relazione al bilancio preventivo 1994/95 ove si delibera uno stanziamento a favore delle imprese dei privati danneggiati dalla alluvione del novembre 1994, stanziamento da essere impiegato nel pagamento di una semestralità degli interessi sui mutui che la conferitaria avrebbe concesso a tali soggetti”) e deve “accantona(re) parte rilevante degli utili a riserva al fine di poter sottoscrivere gli aumenti di capitale sociale della società conferitaria, mantenendo pertanto inalterata con tale attività la sua quota rilevante di partecipazione”, circostanze, la prima, che “non può assumere alcun rilievo, neppure presuntivo, ai fini che qui interessano” e, la seconda, che “non può determinare di per sè la sussistenza di un intervento diretto o indiretto della fondazione nella gestione della società bancaria, tale da integrare lo svolgimento di attività di impresa”, in assenza “di qualsiasi altra considerazione che possa oggettivamente definirsi rilevante in ordine all’effettiva ingerenza della Fondazione nell’esercizio dell’attività bancaria” (ingerenza del resto esclusa sia dal fatto che lo statuto della Fondazione non prevedeva alcun obbligo che membri degli organi di gestione e di controllo della stessa fossero presenti nei corrispondenti organi della società bancaria, sia dal fatto che la Fondazione aveva provato nel corso del giudizio di merito che tale presenza non si era in concreto verificata in alcuno dei periodi di imposta in considerazione); b) ha negato il riconoscimento dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, per la pretesa incompatibilità di essa con il divieto di aiuti di Stato previsto dall’art. 107 TFUE sulla base del solo fatto che la Fondazione avrebbe esercitato attività d’impresa, laddove, per poter ritenere detta incompatibilità, sarebbe stato necessario verificare altresì il carattere selettivo della medesima agevolazione.

16. Con il decimo motivo (contrassegnato con il numero romano IX) del ricorso incidentale, la Fondazione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “(i)nsufficiente motivazione in relazione (al) fatto controverso e decisivo per il giudizio” della “riconducibilità della Fondazione ad un’impresa ai sensi del diritto Europeo della concorrenza” in quanto la CTR, ai fini di tale riconducibilità nel periodo d’imposta 1997-1997, ha fatto riferimento allo statuto approvato dalla Fondazione solo nel 1999 e a una (irrilevante) delibera adottata nel periodo d’imposta 1994-1995 e, comunque, a circostanze inconferenti, tanto più con riguardo alla parte del credito tributario che derivava dall’applicazione dell’aliquota ordinaria.

17. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla controricorrente per non avere l’Agenzia delle entrate censurato una delle distinte e autonome rationes decidendi della sentenza impugnata, segnatamente, quella che i provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 integravano anche delle ricognizioni di debito, ai sensi dell’art. 1988 c.c. e che l’Agenzia delle entrate non aveva assolto l’onere, che su di essa conseguentemente gravava, di fornire la prova dell’inesistenza dei crediti della Fondazione.

L’eccezione non è fondata perchè, contrariamente a quanto affermato dalla controricorrente, la riconducibilità dei citati provvedimenti a delle ricognizioni di debito, ai sensi dell’art. 1988 c.c., non costituisce una ratio decidendi della sentenza impugnata.

Dalla lettura di questa risulta infatti che tale argomento è menzionato dalla CTR soltanto in quanto ratio decidendi (una delle rationes decidendi) della sentenza di primo grado (“La sentenza impugnata ha ritenuto tale attestazione un atto di ricognizione di debito, che, ai sensi dell’art. 1998 c.c., riconosce al creditore la possibilità di agire per il riconoscimento del suo diritto rilevandolo dall’onere della prova, che in questo caso viene trasferito al debitore.

Non avendo l’Agenzia assolto tale onere, i primi giudici hanno ritenuto per tali annualità consolidato il diritto alla restituzione di quanto richiesto”).

Nella successiva esposizione delle ragioni del rigetto dell’appello dell’Ufficio (il quale aveva censurato anche tale ratio), la sentenza impugnata non si fonda, tuttavia, su di essa, ma esclusivamente sulla distinta ratio – reputata, evidentemente, assorbente – che i provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 integravano delle attestazioni ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e che i susseguenti provvedimenti di diniego dei rimborsi avevano violato sia tale disposizione sia la L. n. 212 del 2000, art. 10.

Ne consegue che l’Agenza delle entrate non aveva alcun onere di censurare una ratio decidendi che era stata utilizzata dalla sentenza di primo grado ma non da quella della CTR oggetto del ricorso per cassazione.

18. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

La motivazione del capo della sentenza impugnato con tale motivo si fonda sulla formale qualificazione dei provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 (relativo ai periodi d’imposta 19941995, 1995-1996 e 1996-1997) e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 (relativo al periodo d’imposta 1998-1999) quali “attestazioni dei crediti tributari” a norma del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e, quindi, sugli effetti giuridici (asseritamente “preclu(sivi di) ogni possibilità di revoca o annullamento”) che sarebbero propri di tali “attestazioni”.

Tanto premesso, va rilevato che il provvedimento prot. n. (OMISSIS) (relativo ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997) è stato emesso, come detto, il 16 settembre 2003, cioè in una data anteriore a quella di entrata in vigore, il 2 ottobre 2003, del D.L. n. 269 del 2003 e, quindi, anche del suo art. 10.

Dalla natura evidentemente procedimentale di tale disposizione discende che essa, in ossequio al principio tempus regit actum – al quale, in quanto tale, è soggetta – e nel rispetto della regola generale dell’irretroattività della legge stabilita dall’art. 11, comma 1, preleggi, poteva trovare applicazione solo con riguardo a atti emanati successivamente alla data della sua entrata in vigore, non certo con riguardo a procedimenti già conclusi e a provvedimenti già emanati prima della stessa data.

Qualificando il provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003, emanato prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 26 del 2003, art. 10, un'”attestazione” a norma di tale articolo e facendone discendere i relativi (asseriti) effetti, la CTR ha pertanto palesemente violato la regola generale dell’irretroattività della legge stabilita dall’art. 11, comma 1, preleggi e il principio tempus regit actum, che tale regola sintetizza (insieme con quella della non ultrattività della legge) relativamente alle norme di natura procedimentale.

19. Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, ponendo il problema delle condizioni per la configurabilità l’uno del procedimento di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 10 (con specifico riguardo al suo avvio) e l’altro del provvedimento conclusivo di esso possono essere trattati congiuntamente.

Peraltro, poichè la decisione di accoglimento del primo motivo ha escluso ratione temporis l’applicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, ai procedimenti e al provvedimento relativi ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997, tali secondo e terzo motivo devono essere scrutinati solo con riguardo al procedimento e al provvedimento (prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004) relativi al periodo d’imposta 1998-1999.

19.1. Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità dei due motivi sollevate dalla controricorrente per le ragioni: quanto al secondo motivo, che “la doglianza è fondata contestualmente sulla pretesa violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e sulla asserita omessa motivazione su punti di fatto decisivi (anche come omesso esame di documenti decisivi)”; quanto a entrambi i motivi, che essi postulerebbero una diversa valutazione di qaestiones facti – ai fini del giudizio circa la configurabilità, rispettivamente, di una richiesta di avvio del procedimento di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e di un provvedimento conclusivo di tale procedimento – inammissibile in sede di legittimità.

Le eccezioni non sono fondate.

Circa la prima, si deve rilevare che la ricorrente, pur indicando i due vizi della violazione e falsa applicazione di norma di diritto (D.L. n. 269 del 2003, art. 10) e dell’omessa motivazione nell’ambito della stessa rubrica, nella successiva esposizione li ha nettamente distinti, illustrando il primo vizio al punto 2.1 (pagine da 23 a 51) e il secondo vizio al punto 2.2 (pag. 51) e prospettando altresì quest’ultimo come subordinato. Non vi è pertanto alcuna sovrapposizione nè, tanto meno, mescolanza delle due doglianze, la cui suddetta netta distinzione esclude dunque senz’altro che l’Agenzia delle entrate abbia inammissibilmente demandato a questa Corte il compito – spettante al ricorrente – di isolare le varie censure al fine di ricondurle ai singoli mezzi di impugnazione previsti dal n. 3) e dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1. Da ciò l’infondatezza dell’eccezione.

Circa le altre due eccezioni, dall’esame dell’argomentazione dei due motivi emerge che con essi la ricorrente non contesta la ricostruzione o la valutazione della fattispecie concreta di causa operata dalla CTR ma censura piuttosto la riconduzione, da parte della stessa Commissione, di tali fattispecie concrete, come da essa ricostruite e valutate, alle fattispecie astratte della richiesta (secondo motivo, punto 2.1) e del provvedimento (terzo motivo) di attestazione dei crediti tributari delineate dalla norma di diritto di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 10. Con i due motivi, la ricorrente prospetta pertanto un vizio di cosiddetta sussunzione, il quale, inerendo all’attività di qualificazione in iure della questio facti come ricostruita dal giudice di merito, rientra pacificamente nell’ambito del controllo di legittimità in quanto sotteso alla nozione di “falsa applicazione di norme di diritto” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (Cass., Sez. U., 18/01/2001, n. 5, Cass., 29/08/2019, n. 21772). Da ciò l’infondatezza anche di queste eccezioni.

19.2. Nel merito, i motivi sono fondati.

Il D.L. n. 269 del 2003, art. 10, nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 33, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, stabiliva che, “(s)u richiesta dei creditori d’imposta intestatari del conto fiscale, l’Agenzia delle entrate è autorizzata ad attestare la certezza e la liquidità del credito, nonchè la data indicativa di erogazione del rimborso. L’attestazione, che non è utilizzabile ai fini del processo di esecuzione e del procedimento di ingiunzione, può avere ad oggetto anche importi da rimborsare secondo modalità diverse da quelle previste dal titolo II del regolamento adottato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, 28 dicembre 1993, n. 567”.

Da tale disposizione si ricava dunque, per quanto qui rileva: da un lato, che il procedimento da essa previsto è avviato su iniziativa di parte, in particolare, “(s)u richiesta dei creditori d’imposta” (legittimati ad avanzarla in quanto intestatari del conto fiscale) di rilascio dell’attestazione; dall’altro lato, che il provvedimento che lo conclude contiene l’attestazione della “certezza e (del)la liquidità del credito” nonchè della “data indicativa di erogazione del rimborso”.

Tornando al caso di specie, quanto al primo aspetto – che rileva in relazione al secondo motivo – dall’esame del provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004, riprodotto alle pagine 26-27 del ricorso, emerge che esso fu emanato in riferimento all'”(i)stanza di rimborso IRPEG periodo di imposta 01/10/98 – 30/09/99″ e, più in particolare, “all’istanza prot. n. 29011 del 31/05/2004 (…) nella quale, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, viene chiesta la rideterminazione dell’obbligazione tributaria a seguito rettifiche apportate alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 01/10/98 30/09/99”.

Risulta quindi che la Fondazione controricorrente non aveva presentato all’Ufficio di Cuneo una richiesta di attestazione ma, appunto, un’istanza di rimborso contenente anche la richiesta della (previa) rideterminazione dell’imposta a seguito delle rettifiche della dichiarazione originaria. Tale istanza è un atto evidentemente diverso e non assimilabile a una richiesta di attestazione. Ne deriva pianamente che essa non poteva determinare l’avvio di un procedimento ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, ex art. 10.

Quanto al secondo aspetto – che rileva in relazione al terzo motivo – dall’esame dello stesso provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 emerge che esso contiene l’attestazione che “il maggior credito” (a seguito delle rettifiche apportate alla dichiarazione originaria) “quantificabile” facendo applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 e del D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, art. 12, comma 6, “risulta determinato complessivamente in Lire 11.415.764,000 (…) come da prospetto di calcolo che si allega”; prospetto che consiste nell’indicazione degli importi del reddito complessivo, del credito d’imposta sui singoli dividendi percepiti, dell’imponibile con la relativa aliquota, delle detrazioni d’imposta, del complessivo credito d’imposta sui dividendi percepiti e, infine, “dell’imposta a credito di cui si chiede il rimborso” come risultanti, prima, “dalla dichiarazione originaria mod 760 1998/1999” e, poi, “dalla dichiarazione rettificata mod 760 anno 1998/1999”.

Risulta quindi che il provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 non contiene l’attestazione nè della “certezza e (del)la liquidità del credito” nè, tanto meno, della “data indicativa di erogazione del rimborso” (il che, come si è visto, costituisce il contenuto tipico del provvedimento di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 10), ma soltanto – in coerenza, del resto, con il pure già visto contenuto dell’istanza cui tale provvedimento dava risposta – l’attestazione dell’imposta a credito chiesta a rimborso dalla Fondazione a seguito delle rettifiche da essa apportate alla dichiarazione originaria (consistenti, in particolare, nell’applicazione, da parte della stessa Fondazione, dell’aliquota agevolata di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, oltre che nello scomputo, dall’importo del credito d’imposta sui dividendi, di quelli percepiti da Autostrada dei Fiori s.p.a.). Tale contenuto è dunque anch’esso evidentemente diverso e non assimilabile a quello dell’attestazione di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 10; disposizione, del resto, mai citata dal provvedimento.

Da quanto precede discende che la CTR, col qualificare il provvedimento dell’Ufficio di Cuneo prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 quale attestazione – su relativa richiesta della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo – ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, ha erroneamente sussunto la fattispecie concreta di causa nel paradigma tale norma, così incorrendo nel vizio di falsa applicazione di norme di diritto.

19.3. La denuncia di omessa motivazione, prospettata in via subordinata con il secondo motivo, resta assorbita.

20. Il quarto motivo del ricorso principale, in quanto formulato in via subordinata, per il caso in cui questa Corte avesse ritenuto l’applicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, alle fattispecie di causa, è assorbito dalle decisioni di accoglimento dei primi tre motivi dello stesso ricorso, le quali hanno escluso tale applicabilità (la decisione sul primo motivo, con riguardo ai procedimenti e al provvedimento relativi ai periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997 e quella sul secondo e terzo motivo, con riguardo al procedimento e al provvedimento relativi al periodo d’imposta 1998-1999).

21. Passando allo scrutinio del quinto motivo del ricorso principale, deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità dello stesso sollevata dalla controricorrente per la ragione che “l’Agenzia delle entrate sviluppa (…) in un unico motivo le proprie (…) doglianze afferenti alla presunta inapplicabilità della L. n. 212 del 2000, suddetto art. 10, al caso di specie, e le censure (…) in merito all’asserita violazione della disposizione Europea (…), mentre esse avrebbero invece dovuto essere oggetto di due distinti motivi, stante la loro evidente eterogeneità”.

L’eccezione non è fondata.

Con tale motivo, la ricorrente censura l’assunto della CTR secondo cui i provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 avrebbero ingenerato nella Fondazione un affidamento tutelabile in ordine alla spettanza dei rimborsi richiesti (asseritamente violato dagli impugnati provvedimenti di diniego degli stessi), deducendo la non configurabilità di un tale affidamento sia per il difetto dei presupposti di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10 (che ha reso esplicito, nell’ordinamento tributario, il principio della tutela del legittimo affidamento) sia perchè si “verte(…) in materia di possibile erogazione di aiuti di Stato” in violazione dell’art. 108 TFUE.

Una siffatta denuncia, in un unico motivo, che uno stesso assunto determina la violazione o la falsa applicazione di diverse norme di legge non può ritenersi inammissibile, avendo la ricorrente chiaramente distinto le ragioni della violazione o falsa applicazione di ciascuna di tali norme (segnatamente, della L. n. 212 del 2000, art. 10, nei primi due dei tre capoversi in cui si articola l’esposizione del motivo e dell’art. 108 TFUE nel terzo capoverso). Da ciò l’infondatezza dell’eccezione.

21.1. Il motivo, nella parte in cui denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, è fondato.

Ai sensi di tale articolo, e alla luce dell’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di questa Corte, la nascita di un affidamento tutelabile del contribuente richiede, quale primo e ineludibile presupposto, un’attività dell’amministrazione finanziaria idonea a determinare una situazione di apparenti legittimità e “coerenza” – nel senso di “non contraddittorietà” o di “non discontinuità” (non mutevolezza nel tempo) – dell’attività stessa in senso favorevole al contribuente (Cass., 10/12/2002, n. 17576, 14/01/2015, n. 537).

Nel caso di specie, dall’esame dei riprodotti provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 – che, ad avviso della CTR, avrebbero ingenerato nella Fondazione un affidamento tutelabile in ordine alla spettanza dei rimborsi richiesti emerge quanto segue.

Quanto al provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003, avente per oggetto “(c)onferma crediti d’imposta”, esso, “(c)on riferimento alla nota n. 1960 del 4/8/2003, pari oggetto, di codesta Fondazione, in merito alle dichiarazioni presentate per i periodi d’imposta dal 1992/93 al 1997/98” – dopo avere rammentato che, per i periodi d’imposta 1992-1993 e 1993-1994, il diritto della Fondazione all’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 (e al conseguente rimborso), era stato affermato da due sentenze passate in giudicato – “afferma”: a) quanto al periodo d’imposta 1994-1995, che “la Fondazione presentava il 19/2/1996 al Centro di Servizio di Torino dichiarazione Mod. 760/95 recante un credito IRPEG di L.. 2.579.762.000 (…), chiesto a rimborso e riconosciuto dall’Ufficio, in quanto non contestato, perchè anche nella circostanza la Fondazione si era avvalsa dell’agevolazione di cui al cit. decreto 601, art. 6”; b) quanto al periodo d’imposta 1995-1996, che “la Fondazione presentava dichiarazione dei redditi Mod. 760/96 in data 24/2/1997 senza avvalersi della suddetta agevolazione, versando un’imposta IRPEG di Lire 312.785.000 (…). In data 2/6/1997, sempre al Centro di Servizio di Torino, veniva presentata dichiarazione rettificativa vantando un credito d’imposta di Lire 5.473.733.000 (…). Inoltre in data 2/6/1997 la Fondazione presentava istanza di rimborso alla D.R.E. Sezione staccata di Cuneo – per le cifre sopradescritte sicchè complessivamente il predetto rimborso ammonta a Lire 5.786.518.000 (…)”; c) quanto al periodo d’imposta 1996-1997, che “la Fondazione presentava, al Centro di Servizio di Torino, in data 20/2/1998, dichiarazione dei redditi Mod. 760/97 nella quale evidenziava un credito d’imposta di Lire 8.640.194.000. Essendo stato riscontrato un errore di calcolo di Lire 1.000.000, l’importo rimborsabile risulta di Lire 8.639.194.000 (…)”. Il provvedimento si conclude con l’affermazione che “(i)n sostanza, come detto, con la presente si confermano tutti i crediti per i periodi d’imposta dal 1992/93 al 1996/97 (…)”.

Dalla lettura di tale provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003, risulta che esso, nella sostanza, contiene solo l’affermazione che la spettanza dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, era stata riconosciuta, per i periodi d’imposta 1992-1993 e 1993-1994, con sentenza passata in giudicato e che la Fondazione, nella dichiarazione originaria per i periodi d’imposta 19941995 e 1996-1997 e nella dichiarazione rettificativa per il periodo d’imposta 1995-1996, aveva applicato la stessa agevolazione, chiedendo quindi il rimborso degli importi indicati, corrispondenti all’imposta a credito che ne risultava. Il provvedimento non contiene dunque alcuna affermazione che, per i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997, ricorrevano i requisiti dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, applicata dalla Fondazione ma solo l’affermazione che tali requisiti e il conseguente diritto all’agevolazione erano stati definitivamente accertati per i due periodi d’imposta precedenti. Lo stesso provvedimento non escludeva perciò che l’amministrazione finanziaria potesse successivamente procedere a una verifica della concreta attività svolta dalla Fondazione in ciascuno dei periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996 e 1996-1997 e, alla luce degli esiti di tale verifica in concreto, eventualmente anche negare l’agevolazione e i rimborsi richiesti in virtù della sua applicazione.

Un’analoga possibilità, per l’amministrazione finanziaria, era evidentemente lasciata aperta anche dal provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 che – come si è visto al punto 19.2 – contiene soltanto l’attestazione dell’imposta a credito chiesta a rimborso dalla Fondazione a seguito delle rettifiche da essa apportate alla dichiarazione originaria per il periodo d’imposta 1999-1999, tra le quali l’applicazione dell’aliquota agevolata di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6.

Pertanto, i provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 non potevano integrare un’attività dell’amministrazione finanziaria idonea a determinare una situazione di apparenti legittimità e “coerenza” – nel senso sopra indicato – dell’attività stessa in senso favorevole alla contribuente e non potevano, perciò, fare nascere un legittimo affidamento, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, in capo alla stessa.

Ne consegue che la CTR, col sussumere le concrete fattispecie di causa nel paradigma normativo (anche) di tale norma, è incorsa nel vizio di falsa applicazione di essa.

21.2. L’esame della denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 108 TFUE resta assorbito.

22. Il sesto motivo del ricorso principale, in quanto muove dalla premessa dell’applicabilità del D.L. n. 269 del 2003, art. 10, alle fattispecie di causa – alla quale osterebbe tuttavia, secondo la ricorrente, l’art. 108, par. 3, TFUE – è assorbito dalle decisioni di accoglimento dei primi tre motivi dello stesso ricorso, con le quali si è già esclusa, per altre pregiudiziali ragioni, la suddetta applicabilità.

23. Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile perchè censura una ratio decidendi – quella che deriverebbe dall’implicito accoglimento del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate relativo ad “applicabilità dell’art. 1988 c.c.. Riconoscimento di debito” – che è estranea alla sentenza impugnata.

Infatti, come si è visto al punto 17, la CTR ha fondato l’affermazione del diritto della Fondazione al rimborso della maggiore IRPEG versata per i periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 1996-1997 e 1998-1999 non sulla riconducibilità dei provvedimenti prot. n. (OMISSIS) del 16 settembre 2003 e prot. n. (OMISSIS) del 12 luglio 2004 a delle ricognizioni di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c. – questione, questa, rimasta assorbita – ma esclusivamente sull’assorbente ratio che i suddetti provvedimenti integravano delle attestazioni ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e che i susseguenti provvedimenti di diniego dei rimborsi avevano violato sia tale disposizione sia la L. n. 212 del 2000, art. 10.

24. Il secondo motivo del ricorso incidentale non è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione prevista, a pena di inammissibilità dell’appello, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, essendo richiesta, invece, soltanto un’esposizione chiara e univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza (Cass., 26/01/2005, n. 1574, 19/01/2007, n. 1224, 08/02/2008, n. 3050).

Ciò premesso, dalla lettura del motivo di appello trascritto dalla controricorrente – consentita a questa Corte in quanto è stato dedotto un error in procedendo – emerge che l’Agenzia delle entrate, dopo avere affermato che l’orientamento di Cass. n. 13916 del 2006 in tema di efficacia esterna del giudicato “può dirsi ormai pienamente superato in materia di IVA (in particolare in materia di aiuti di stato, nella quale può farsi rientrare la causa di specie)”, in quanto, con le sentenze 18/07/2007, in causa C-119/05, Lucchini, e 03/09/2009, in causa C2/08, (OMISSIS), la Corte di giustizia “ha posto dei limiti all’applicabilità dell’art. 2909” c.c., avendo “sostenuto che l’applicazione di tale norma impedirebbe l’attuazione del diritto comunitario in quanto renderebbe impossibile il recupero di una agevolazione (nella specie un aiuto di stato) concesso in violazione del diritto comunitario”, concludeva che la stessa Corte di giustizia ha ritenuto che “(i)I diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art. 2909 C.c. (…) nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di stato erogato in contrasto con il diritto comunitario” e ha “posto precisi limiti agli effetti del giudicato esterno, affermando che laddove la decisione giurisdizionale, divenuta definitiva, sia fondata su un’interpretazione delle norme nazionali in contrasto con il diritto comunitario, l’eccezione del giudicato esterno non può trovare applicazione, essendo in contrasto con il principio di effettività. Di conseguenza, nel caso di specie, che riguarda proprio un’ipotesi di applicazione di norma interna in contrasto con i principi comunitari, potrà senz’altro eccepirsi l’inefficacia del giudicato”.

Da tale lettura, risulta quindi che, con il motivo de quo, l’Agenza delle entrate aveva dedotto che l’illegittimità dell’affermazione, contenuta nell’impugnata sentenza di primo grado, dell’efficacia nel giudizio del giudicato esterno delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001, discendeva a suo avviso dal fatto che, poichè la causa verteva in materia di aiuti di Stato – tale reputando, evidentemente ancorchè implicitamente, l’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, la cui spettanza costituiva la questione in essa dibattuta – alla stregua dei citati precedenti della Corte di giustizia sui limiti all’applicazione, nella predetta materia, dell’art. 2909 c.c., l’efficacia nel giudizio del giudicato esterno delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001 si sarebbe posta in contrasto con la normativa Eurounitaria riguardante gli aiuti di Stato, sicchè l’art. 2909 c.c. avrebbe dovuto essere disapplicato.

Tali deduzioni espongono dunque in modo sufficientemente chiaro e univoco le ragioni della doglianza dell’Agenzia delle entrate, il cui motivo di appello deve quindi ritenersi specifico e, perciò, ammissibile.

25. Il terzo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

Premesso che al presente ricorso si applica l’art. 360 c.p.c.., comma 1, n. 5), nel testo di tale articolo sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, questa Corte ha chiarito che il “fatto”, controverso e decisivo per il giudizio, ivi menzionato deve essere inteso come “un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico” e non è assimilabile, in alcun modo, a una “questione” o una “argomentazione” (Cass., 08/10/2014, n. 21152, 03/10/2018, n. 24035).

Nel caso di specie, la ricorrente incidentale ha dedotto l’asserita contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla valutazione in sè, compiuta dalla CTR, circa la specificità e, quindi, l’ammissibilità del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate concernente l’efficacia esterna del giudicato delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001, cioè circa elementi che, palesemente, non concretano un “fatto” nel senso storico-naturalistico precisato dal ricordato principio di diritto.

La suddetta valutazione poteva essere ammissibilmente contestata deducendo – come è stato effettivamente fatto con il secondo motivo del ricorso incidentale – la nullità del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53; il quale vizio, concernendo un error in procedendo, è riscontrabile da questa Corte, quale giudice anche del fatto, anche mediante l’esame diretto degli atti di causa, non mediato dalla motivazione addotta dal giudice del merito (Cass. 08/03/2007, n. 5351, 28/10/2005, n. 21080, 30/09/2011, n. 20076). Da ciò l’inammissibilità del motivo.

26. Il quarto motivo del ricorso incidentale non è fondato.

Questa Corte ha precisato che il divieto di ultrapetizione, di cui all’art. 112 c.p.c., esclude solo la possibilità del mutamento della causa petendi (che è il titolo giustificativo della domanda) o del petitum, ma non è violato nel caso in cui il giudice, restando nell’ambito della causa petendi e del petitum, sorregga la decisione con argomentazioni o considerazioni proprie, in quanto diverse da quelle prospettate dalla parti (Cass., 29/10/2002, n. 15231, 31/01/2006, n. 2146, 11/10/2006, n. 21745, 31/01/2011, n. 2297).

Nel caso di specie, la causa petendi della domanda di annullamento del pertinente capo della sentenza di primo grado avanzata dall’Agenzia delle entrate con il motivo di appello va identificata nell’allegata inefficacia nel giudizio dei giudicati esterni delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001; ultrattività che era stata invece riconosciuta dal primo giudice.

Tale essendo la questione controversa, alla luce del rammentato principio di diritto, non era precluso alla CTR, nell’ambito della stessa, fondare la propria decisione di accoglimento del motivo su argomentazioni o considerazioni anche diverse da quelle addotte dall’Agenzie delle entrate, ritenute idonee a sorreggere la conclusione che le sentenze, passate in giudicato, con le quali era stato riconosciuto alla Fondazione il diritto all’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 (per periodi d’imposta diversi da quelli di causa) non facevano stato nel giudizio.

Ciò anche a prescindere dal rilievo che la CTR ha in realtà sorretto la propria decisione anche sulle argomentazioni dell’Agenzia delle entrate (“nel caso di specie, trova rilievo l’argomento posto a base del motivo di appello, relativo a giurisprudenza comunitaria che, sia pure in relazione a situazioni diverse, ha stabilito che il giudicato esterno non possa essere utilizzato per consentire violazione del principio di divieto di aiuto di stato alle imprese”), ricondotte, per di più, anch’esse, nel contesto delle argomentazioni e considerazioni proprie della stessa Commissione.

27. Il quinto motivo del ricorso incidentale non è fondato.

Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, la possibile fruizione, per le cosiddette fondazioni bancarie risultate dal conferimento delle aziende di credito in società per azioni ai sensi della L. 30 luglio 1990, n. 218 e del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356 (cosiddetta riforma Amato) – anteriormente alla cosiddetta riforma Ciampi (di cui alla L. 23 dicembre 1998, n. 461 e al D.Lgs. n. 17 maggio 1999, n. 153) – dell’agevolazione di cui al D.Lgs. n. 601 del 1973, art. 6, richiede la dimostrazione, di cui detti enti sono onerati in base al comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di avere in concreto svolto un’attività, “per l’anno d’imposta rilevante”, di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie (Cass., S.U., 22/01/2009, n. 1576; Cass., 05/07/2013, n. 16842, 20/04/2016, n. 7882, 11/05/2017, n. 11648).

Da ciò deriva la conseguenza – già più volte ribadita da questa Corte – che si deve escludere che la sentenza passata in giudicato con la quale sia stato riconosciuto (o negato) a una fondazione bancaria il diritto a beneficiare della suddetta agevolazione per un determinato periodo d’imposta possa fare stato nella controversia concernente il riconoscimento della stessa agevolazione per un diverso periodo d’imposta, atteso che la spettanza di tale beneficio dipende dalla concreta attività svolta in ciascun periodo e non discende da uno status personale o dall’astratta qualità dell’attività svolta dalla fondazione (Cass., 30/12/2009, n. 28042, 31/05/2013, n. 13758, 03/02/2016, n. 2066). Si deve pertanto ribadire l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione tributaria relativa a un determinato periodo d’imposta rispetto a fatti che – quali quelli che vengono qui in considerazione afferendo alle concrete modalità di svolgimento dell’attività dell’ente ed essendo variabili da periodo a periodo, si siano verificati in un’annualità diversa da quella in relazione alla quale il giudicato si è formato.

Poichè la CTR si è sostanzialmente uniformata a tali principi, il motivo deve essere rigettato.

28. Il sesto motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

La ricorrente incidentale ha infatti dedotto l’asserita contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla valutazione in sè, compiuta dalla CTR, circa l’efficacia espansiva del giudicato esterno delle sentenze della CTP n. 180/2000 e n. 92/2001, cioè circa un elemento che – come nel caso del terzo motivo del ricorso incidentale – palesemente non concreta un “fatto” nel senso storico-naturalistico precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 21152 del 2014, n. 24035 del 2018) ma, piuttosto, una “questione”, concernente la supposta violazione di una regola processuale.

Ne discende l’inammissibilità del motivo per ragioni analoghe a quelle già esposte (al punto 25) in relazione alla dichiarazione di inammissibilità del terzo motivo del ricorso incidentale; ragioni che, per brevità, ci si limita qui a richiamare.

29. Parimenti inammissibile è il settimo motivo del ricorso incidentale.

Anche in questo caso, infatti, la ricorrente incidentale ha dedotto l’asserita omissione della motivazione della sentenza impugnata con riguardo a un elemento, l'”applicabilità al caso di specie della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di giudicato esterno”, che, manifestamente, non concreta un “fatto” nel senso storico-naturalistico in cui tale termine – di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (nel testo di tale articolo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2) – deve essere inteso secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ma, piuttosto, una “questione” o una “argomentazione”.

Da ciò l’inammissibilità della doglianza.

30. Deve ora essere scrutinato, in ordine di priorità logico-giuridica, il decimo motivo del ricorso incidentale.

Tale motivo è fondato.

Come si è detto esaminando il quinto motivo del ricorso incidentale (punto 27), la possibile fruizione, per le fondazioni bancarie risultate dal conferimento delle aziende di credito in società per azioni ai sensi della L. n. 218 del 1990 e del D.Lgs. n. 356 del 1990, dell’agevolazione di cui al D.Lgs. n. 601 del 1973, art. 6, dipende dalla dimostrazione, di cui detti enti sono onerati, di avere in concreto svolto, “per l’anno d’imposta rilevante”, un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anzichè avere (indirettamente) esercitato, attraverso il controllo e governo delle partecipazioni nelle società conferitarie, un’attività di impresa bancaria (Cass., S.U., n. 1576 del 2009; Cass., n. 16842 del 2013, n. 7882 del 2016, n. 11648 del 2017).

Come si è visto al punto 3 dei Fatti di causa, la motivazione della CTR circa il fatto, controverso e decisivo per il giudizio, dello svolgimento in concreto, da parte della Fondazione, di un’attività di impresa bancaria nel periodo d’imposta 1997-1998, si fonda esclusivamente sulla valorizzazione, da un lato, di due previsioni dello statuto della Fondazione “edizione 1999”, dall’altro, di una delibera della stessa Fondazione risultante dal bilancio preventivo dell’esercizio 1994-1995.

Tali elementi risultano però manifestamente inidonei al fine di giustificare l’affermazione dello svolgimento, da parte della Fondazione, dell’attività di impresa nel periodo d’imposta 1997-1998, essendo relativi o a previsioni che, in quanto temporalmente successive, non sono applicabili a tale periodo, o a circostanze che si sono verificate al di fuori di esso. Da ciò la palese insufficienza della motivazione al riguardo.

Gli stessi elementi risultano, inoltre, del tutto inconferenti con riguardo al diritto a quella della parte del credito tributario che – come confermato dalla stessa Agenzia delle entrate (pag. 2, penultimo capoverso del ricorso per cassazione) – era conseguito dall’applicazione, nella dichiarazione originaria, dell’aliquota ordinaria.

31. L’ottavo e il nono motivo del ricorso incidentale sono assorbiti dalla decisione di accoglimento del decimo motivo dello stesso ricorso.

32. In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto in relazione ai suoi primo, secondo, terzo e quinto motivo, con assorbimento del quarto e del sesto motivo. Quanto al ricorso incidentale, deve essere accolto il suo decimo motivo, con assorbimento dell’ottavo e del nono motivo, mentre i suoi primo, terzo, sesto e settimo motivo devono essere dichiarati inammissibili e i suoi secondo, quarto e quinto motivo devono essere rigettati.

La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, affinchè provveda a un nuovo esame della controversia, verificando se la Fondazione abbia dimostrato di avere in concreto svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè, attraverso il controllo e governo delle partecipazioni nella conferitaria Cassa di Risparmio di Cuneo s.p.a., un’attività di impresa bancaria, con riferimento sia al periodo d’imposta 1997-1998, sia a ciascuno dei periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 19961997 e 1998-1999; per i quali ultimi periodi, la questione dello svolgimento di un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale – rimasta assorbita dall’accoglimento della tesi che gli impugnati provvedimenti di diniego dei rimborsi richiesti per tali periodi violavano il D.L. n. 269 del 2003, art. 10 e la L. n. 212 del 2000, art. 10 – potrà essere riproposta davanti alla stessa CTR (Cass., 03/12/1988, n. 6572, 15/01/2016, n. 574). La stessa CTR dovrà altresì provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale in relazione ai suoi primo, secondo, terzo e quinto motivo, con assorbimento del quarto e del sesto motivo; accoglie il decimo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento dell’ottavo e del nono motivo, dichiara inammissibili il primo, il terzo, il sesto e il settimo motivo e rigetta il secondo, il quarto e il quinto motivo dello stesso ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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