Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16902 del 20/07/2010

Cassazione civile sez. III, 20/07/2010, (ud. 24/05/2010, dep. 20/07/2010), n.16902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15052/2006 proposto da:

D.L.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIOLITTI 202, presso lo studio dell’avvocato CIAVARELLA DOMENICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CIAVARELLA Pietro giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.S.G.G. (OMISSIS), considerata

domiciliata “ex lege” in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DI MATTIA Gianfranco

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI, Sezione

Terza Civile, emessa il 14/4/2004, depositata il 09/02/2006, R.G.N.

563/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/05/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso dell’8.5.01 L.S.G.G., usufruttuaria di un immobile con annesso giardino in (OMISSIS), concesso in comodato gratuito dall'(OMISSIS) e per la durata di un anno a D. L.P., che aveva continuato a detenerlo dopo la scadenza contrattuale pur dopo la richiesta di restituzione con racc.ta a.r.

del 9.4.01, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia il D.L. per sentirlo condannare al rilascio di detto immobile, libero delle innovazioni arbitrariamente eseguite, ed al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione da liquidare equitativamente.

Il convenuto contestava l’avversa domanda, eccependo la simulazione del comodato, in quanto l’immobile in oggetto era stato concesso in locazione ad una società di fatto, costituita da esso D.L. ed il figlio dell’attrice, G.F., per l’esercizio di un ristorante-pizzeria, al canone di L. 500.000 mensili, oltre la fornitura dei pasti completi quotidiani alla famiglia del G..

Concludeva il convenuto per la declaratoria del proprio difetto di legittimazione passiva o in subordine per l’accertamento della simulazione del contratto di comodato; e in ipotesi di rigetto dell’eccezione di simulazione, spiegava domanda riconvenzionale per sentir condannare la ricorrente al pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale e dell’indennizzo per i miglioramenti e le addizioni apportate all’immobile.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda attrice, condannando il D. L. al rilascio dell’immobile ed al pagamento della somma di L. 4.500.000, con interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento danni.

Il D.L. appellava la sentenza suddetta, mentre l’appellata L. S. resisteva al gravame, chiedendo la condanna dell’appellante al risarcimento degli ulteriori danni per il procrastinarsi dell’illegittima occupazione dell’immobile, indicati in L. 5.000.000 o in quella diversa somma ritenuta di giustizia.

Con sentenza depositata il 9.2.06 la Corte d’appello di Bari rigettava il gravame e condannava il D.L. al pagamento in favore della L.S. della somma di Euro 5.000,00, oltre interessi sino al saldo, a titolo di risarcimento danni per il protrarsi dell’occupazione.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D.L., con tre motivi, mentre la L.S. ha resistito con controricorso, depositando in atti anche una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1414, 1417 c.c., art. 1418 c.c., comma 2, art. 1344 c.c. e art. 447 bis c.p.c., art. 421 c.p.c., nonchè difetto di motivazione ed illogicità manifesta e violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dell’art. 112 c.p.c., per ultra-extrapetizione.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 100 c.p.c., difetto di motivazione ed illogicità manifesta, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 1223 c.c., comma 4, art. 1282 c.c., comma 4 e art. 1591 c.c..

Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., e segg. e art. 96 c.p.c., e difetto di motivazione.

1. I primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono fondati.

Ed invero, si rileva innanzitutto che nel caso di specie la Corte di merito ha fatto corretto governo del principio generale che “in tema di contratto simulato, se il negozio è stato redatto per iscritto, tra le parti trova applicazione la regola generale della limitazione dell’ammissibilità della prova testimoniale; ne consegue che la prova della simulazione, sia essa assoluta o relativa, può essere data soltanto mediante controdichiarazione” (Cass. civ., sez. 3^, 15.1.03, n. 471).

Altrettanto correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che, trattandosi di negozio redatto per iscritto, la prova della simulazione attraverso presunzioni non può essere ammessa contro il contenuto del documento, in quanto in tale caso la prova per presunzioni soggiace ai limiti di cui all’art. 1417 c.c., in base al principio generale disposto dall’art. 2729 cpv c.c..

Nè vale sostenere in contrario che nella specie il contratto di comodato asseritamene simulato sarebbe stato redatto in frode alla legge, giacchè, a norma dell’art. 1417 c.c., l’ammissibilità senza limiti della prova per testimoni e per presunzioni della simulazione è riconosciuta solo quando la domanda, ancorchè proposta dalle parti, sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (per esempio, la donazione tra coniugi).

Neppure appaiono condivisibili le censure addotte nei confronti delle argomentazioni con le quali la Corte di merito ha ritenuto non meritevoli di accoglimento le doglianze circa l’omesso esercizio, da parte del primo giudice, del potere-dovere di ammettere d’ufficio le prove richieste dal D.L..

Sotto questo profilo la sentenza impugnata ha giustamente rilevato la circostanza che nel giudizio di primo grado il D.L. (il quale si era costituito tardivamente nel giudizio stesso ed era quindi decaduto dai mezzi di prova indicati nella memoria difensiva ex art. 416 c.p.c.) non aveva formulato alcuna istanza specifica al giudice perchè sì avvalesse dei poteri istruttori officiosi, pur dopo la dichiarata inammissibilità delle prove da lui articolate, per cui non poteva affatto ritenersi censurabile sia il mancato esercizio di quei poteri che il difetto di motivazione sul punto.

La Corte territoriale ha poi opportunamente sottolineato il principio che per consolidata giurisprudenza il potere istruttorio del giudice non può sostituirsi all’inerzia ed alle omissioni colpevoli delle parti, nel senso cioè che esso va esercitato in funzione sussidiaria dell’attività delle parti stesse ed all’esito dell’istruzione esperita in base alle deduzioni da loro tempestivamente operate e regolarmente ammesse nel giudizio, previa verifica, dunque, che esistano ancora lacune da colmare dal punto di vista probatorio.

Va ancora rilevato che, una volta venuta a mancare la prova a carico del D.L. in ordine alle eccezioni sia della simulazione relativa del rapporto negoziale dedotto in causa dalla L.S. che dell’estraneità dello stesso D.L. al rapporto sostanziale su cui l’attrice aveva fondato la propria domanda, così come ha motivatamente ritenuto la Corte pugliese, non presenta consequenzialmente sul piano logico-giuridico alcun fondamento la censura ulteriore del ricorrente circa l’asserita nullità del contratto di comodato per l’inesistenza della causa ai sensi dell’art. 1418 c.c..

Per quanto riguarda poi la doglianza relativa alla mancata adeguata valutazione da parte della Corte di merito delle prove documentali prodotte in giudizio dal D.L. a sostegno delle proprie eccezioni e della propria domanda riconvenzionale, si rileva innanzitutto che la norma dettata dell’art. 416 c.p.c., comma 3, prevede espressamente la decadenza per la mancata indicazione specifica, nella memoria di costituzione del convenuto, sia dei mezzi di prova dei quali intende avvalersi che dei “documenti che deve contestualmente depositare”.

Risulta comunque dalla sentenza impugnata (v. pagg. 16-17) che i giudici d’appello abbiano – nonostante tale decadenza – esaminato dettagliatamente alcuni dei documenti prodotti in funzione della valutazione circa la fondatezza o meno dell’eccezione dell’odierno ricorrente in ordine alla sua pretesa estraneità al rapporto sostanziale dedotto in giudizio dalla controparte, rilevandone e motivandone l’assoluta inconferenza allo scopo.

In ogni caso, la censura difetta dell’essenziale requisito dell’autosufficienza, in quanto “la parte che denunci con ricorso per cassazione la mancata o inadeguata valutazione, da parte del giudice di merito, di prove documentali ha l’onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto del documento il cui omesso o inadeguato esame è censurato” (Cass. n. 13953/02).

La Corte barese ha anche spiegato, con motivazione del tutto logica ed immune da errori giuridici, le ragioni per le quali ha ritenuto che non sussistesse nel caso di specie il difetto di legittimazione passiva del D.L., facendo correttamente riferimento al fatto che “la L.S., onerata della prova delle circostanze relative alla individuazione nel convenuto del soggetto passivo del rapporto dedotto in causa, ha assolto al suo obbligo producendo il contratto di comodato e trasferendo così sul D.L. l’onere di provare, a sua volta, l’eccepito difetto di titolarità”.

Quanto poi alle dedotte violazioni degli artt. 1223, 1282 e 1591 c.c., a prescindere dall’incomprensibile riferimento all’ultima norma, si rileva che la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato come dalla ritenuta efficacia del contratto di comodato tra le parti in causa discendano inevitabilmente, quali pronuncie consequenziali, le condanne alle spese ed agli interessi, al risarcimento dei danni per illegittima occupazione dell’immobile ed al rilascio di quest’ultimo.

Quanto infine all’ultima censura relativa alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., per ultra-extrapetizione, censura comune ad entrambi i motivi, si rileva che la medesima debba ritenersi inammissibile sìa perchè sollevata in relazione alle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), e non in relazione a quella di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4), (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass. n. 604/03) e sia perchè enunciata in forma assolutamente generica, non risultando alcuna specifica indicazione di questioni che attengano alla violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

2. Il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto la condanna del ricorrente alle spese in entrambi i giudizi di merito resta pienamente giustificata dalla sua totale soccombenza nei medesimi.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della resistente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2010

 

 

 

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