Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16900 del 20/07/2010

Cassazione civile sez. III, 20/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 20/07/2010), n.16900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30422/2006 proposto da:

D.G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA VIGLIENA 2, presso lo studio dell’avvocato CISBANI

Fabio, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato

MARTIRE Roberto, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCHIONI GIANCARLO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 598/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Quarta Civile, emessa il 06/04/2006, depositata il 19/04/2006

R.G.N. 2474/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/05/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito l’Avvocato CISBANI FABIO;

udito l’Avvocato MARTIRE ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 26.1.04 L.U. intimava sfratto per morosità a D.G.A., conduttrice di una villa di sua proprietà in (OMISSIS) in forza di un contratto di locazione del (OMISSIS), che prevedeva un canone annuo di Euro 9.300,00 da pagarsi in trimestri anticipati di Euro 2.325,00, per il mancato pagamento dei canoni dall’ottobre 2003 al 15.1.2004, periodo in cui aveva corrisposto solo Euro 200,00 a fronte dei dovuti Euro 4.425,00, e contestualmente conveniva in giudizio la conduttrice dinanzi al Tribunale di Verbania per la convalida dell’intimazione.

L’intimata si opponeva alla convalida, chiedendo la risoluzione del contratto per fatto e colpa del locatore, di cui chiedeva la condanna alla restituzione dell’ammontare dei canoni corrisposti dal settembre 2002 al novembre 2003, pari a Euro 9.500,00, oltre agli interessi.

Disposta la trasformazione del rito, il Tribunale adito, con sentenza n. 527/05, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del locatore e lo condannava alla restituzione di Euro 3.100,00, oltre rivalutazione ed interessi sino al saldo.

Proposto appello dal L. e costituitasi l’appellata che resisteva al gravame, con sentenza depositata il 19.4.06 la Corte d’appello di Torino, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava la risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’appellata medesima e condannava quest’ultima al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 3.950,00, con gli interessi dal 3.4.04 al saldo, eliminando il capo della sentenza impugnata di condanna dell’appellante al pagamento della somma capitale di Euro 3.100,00 e confermando nel resto la prima sentenza.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la D. G., affidandosi a tre motivi, mentre il L. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio di primo grado, e cioè la pericolosità per la salute di essa conduttrice e dei suoi familiari dell’immobile condotto in locazione.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, avendo la Corte torinese tratto erroneamente il convincimento circa il funzionamento dell’impianto di riscaldamento dal fatto (allegato dal L., ma da lui non provato) che nel corso del primo inverno successivo alla stipula del contratto la conduttrice avrebbe consumato 2000 litri di gasolio.

Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1578 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, e cioè la conoscibilità dei vizi agli impianti elettrico, di riscaldamento e termosanitario.

1. Il primo motivo non è fondato.

Va rilevato, in primo luogo, che la Corte di merito, richiamandosi alla clausola contrattuale n. 9, ha potuto accertare che la conduttrice era perfettamente a conoscenza, al momento della stipulazione del contratto, delle effettive condizioni dell’immobile locato, dando atto del suo buono stato di manutenzione.

E’ altresì pacifico che, sempre al momento della stipula contrattuale, sia l’impianto elettrico che quello di riscaldamento e termosanitario non fossero a norma, e che tale situazione di cose, facilmente riscontrabile ictu oculi, fosse stata accettata dalla conduttrice, così come è altrettanto pacifico che il C.T.U. non è stato in grado in realtà di verificare in concreto la funzionalità degli impianti suddetti a causa della mancanza di collegamenti elettrici.

Giustamente, quindi, la sentenza impugnata ha ritenuto, con motivazione assolutamente logica e scevra da errori giuridici, che, pur essendovi la certezza della mancata messa a norma degli impianti in questione e, perciò, di una loro eventuale possibile pericolosità, tale circostanza non poteva dimostrare da sola che gli impianti stessi fossero in concreto effettivamente pericolosi ai fini dell’art. 1580 c.c., atteso che tale norma richiede una pericolosità effettiva e concreta (“serio pericolo”), mentre detti impianti ben potevano non creare rischi in concreto di pericolo ancorchè non posti a norma.

A ben guardare, la valutazione che da la Corte di merito, circa il carattere meramente potenziale della pericolosità derivante da impianti non a norma, non risulta in realtà “di segno opposto” a quella fornita dal CTU, in quanto essa si traduce in sostanza nella considerazione della irrilevanza della valutazione peritale, che si è arrestata ad un esame di conformità “normativa” degli impianti tecnici, ma privo di un accertamento in punto di rischio effettivo, che costituisce il presupposto per l’applicabilità dell’art. 1580 c.c..

2. Anche il secondo motivo è infondato.

Le censure in merito alla circostanza che il consumo di litri 2.000 di gasolio, nel corso del primo inverno successivo alla stipula del contratto, avrebbe dimostrato il regolare funzionamento dell’impianto di riscaldamento vanno, infatti, disattese sia per quanto riguarda l’asserita violazione delle norme di diritto che per quanto attiene ai dedotti vizi di motivazione.

Quanto al primo profilo, perchè i giudici hanno fatto corretta applicazione del principio di non contestazione, che consente loro di ritenere come dato inoppugnabile una questione di fatto (nel caso in esame, l’avvenuto consumo di quel quantitativo di gasolio, menzionato dal Locateli in una lettera del 3.11.03 e confermato nell’atto d’appello) non contestata ex adverso.

Quanto all’altro profilo e cioè quello motivazionale, le censure sono palesemente infondate, in quanto la clausola di gradimento di cui al n. 9 del contratto e l’assenza di qualsiasi contestazione sull’impianto di riscaldamento nel corso di un intero anno dall’inizio della locazione, puntualmente evidenziati dalla sentenza gravata, costituiscono tutti elementi che hanno concorso a determinare il convincimento dei giudici d’appello circa il funzionamento in concreto dell’impianto almeno per quel lasso di tempo.

3. Va disatteso anche il terzo motivo.

Deve, infatti, escludersi innanzitutto che nella specie ricorra la denunciata violazione dell’art. 1578 c.c..

Ed invero, anche volendo prescindere dalla valorizzazione ad opera della Corte territoriale della clausola contrattuale di gradimento (art. 9), si rileva che la Corte medesima ha fondato correttamente il proprio convincimento sul principio per cui, anche ammesso un inadempimento del locatore ad obblighi di riparazione e manutenzione del bene locato (artt. 1575 e 1576 c.c.) ovvero per aver consegnato al conduttore un immobile con vizi tali che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito (art. 1578 c.c.), ciò non avrebbe comunque autorizzato, perdurando il godimento del bene da parte del conduttore, la sospensione del pagamento del canone, perchè tale comportamento non sarebbe proporzionale all’inadempimento del locatore (Cass. n. 8425/06) e la corresponsione del canone costituisce prestazione corrispettiva essenziale per la stessa configurazione del rapporto di locazione.

Infatti, in caso di inadempimenti del locatore, come quelli sopra indicati, compete al conduttore solo agire per la risoluzione del contratto o per la riduzione del corrispettivo (il che non è stato fatto nel caso di specie), essendo ammessa una sospensione totale o parziale dell’adempimento del conduttore circa la corresponsione del canone solo quando sia venuta a mancare totalmente la controprestazione del locatore e cioè la fruizione del bene (Cass. n. 261/08).

Per completezza di motivazione, va evidenziato un recente arresto di questa Corte (n. 25278/09) che esclude comunque l’applicazione della norma di cui all’art. 1578 c.c., allorquando, al momento della stipula del contratto, non vi sia stata alcuna denuncia da parte del conduttore di vizi della cosa locata da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, omissione da considerare come implicita rinuncia a farli valere.

La sussistenza dell’inadempimento della conduttrice nel pagamento dei corrispettivi della locazione deve ritenersi, pertanto, legittimamente affermata dalla sentenza impugnata sul fondamento di un impianto motivazionale che si sottrae ad ogni sindacato di illogicità o contraddittorietà.

Ed invero, le censure relative ad asseriti vizi di motivazione sono manifestamente infondate, in quanto esse non evidenziano nell’esposizione dei motivi del convincimento espresso dai giudici d’appello la presenza di lacune o contraddizioni insanabili o l’omessa valutazione dei punti decisivi della controversia.

Queste considerazioni valgono, ad esempio, per la doglianza secondo cui la Corte di merito avrebbe illogicamente preteso che una persona priva di cognizioni tecniche dovesse riconoscere, nel corso di una semplice visita all’immobile da locare, la non rispondenza a norma dell’impianto elettrico, mentre all’uopo si era resa necessaria la nomina di un CTU: la censura è, infatti, manifestamente infondata, giacchè il quesito posto al consulente non gli richiedeva di accertare la messa o meno a norma degli impianti, bensì la loro pericolosità in concreto (v. pag. 15 della sentenza gravata).

Così come per l’altra doglianza formulata in rapporto all’asserita illogicità del far discendere dall’enunciazione di principi generali di diritto un semplice elemento di fatto, quale la conoscenza da parte della conduttrice dello stato dell’immobile locato.

Non si tratta però, in questo caso, di incoerenza logica, ma di una semplice improprietà lessicale, essendo evidente che la Corte di merito con l’espressione censurata abbia inteso sostenere – come chiaramente dimostra l’esplicito richiamo alla clausola n. 9 del contratto – che la conoscenza delle condizioni dell’immobile era la necessaria conseguenza dell’esame dell’immobile stesso prima della conclusione del contratto locatizio e della successiva affermazione di averlo trovato di proprio gradimento.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, mentre ricorrono giusti motivi, stante la difformità degli esiti dei due giudizi di merito, per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2010

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