Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16900 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/08/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 10/08/2016), n.16900

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Belluno, pronunciando ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 57, aveva respinto l’opposizione proposta dal dott. D.M.J. nei confronti dell’ordinanza con la quale era stata dichiarata la legittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli dalla Unità Unità Locale Sodo sanitaria n. (OMISSIS) (ULSS (OMISSIS)) in data 28.12.2012.

2. Con la sentenza in data 30.12.2014 la Corte di Appello di Venezia ha respinto il reclamo proposto dal D.M. e, per quanto ancora oggi rileva, ha affermato che:

il termine di cinque giorni fissato dalla D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3 per la trasmissione, da parte del responsabile della struttura, all’Ufficio competente per il procedimento disciplinare (acronimo U.P.D) non ha natura di termine perentorio e non deve sommarsi al termine di 40 giorni di cui al comma 4;

il dedotto “rischio di opacità” del procedimento disciplinare è escluso dal fatto che il citato art. 55-bis, comma 4 prevede che il termine per la conclusione del procedimento decorre dalla data di prima acquisizione della notizia di infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora; nella fattispecie dedotta in giudizio detto termine non era stato violato, perchè era emerso che, a fronte della prima acquisizione della notizia di infrazione disciplinare in data 28.9.2011 (notifica del decreto di perquisizione e sequestro presso l’Ospedale ove il D.M. prestava servizio), ovvero in data precedente, da collocarsi, comunque, nel mese di settembre 2011 (concidente con la data delle dichiarazioni rese dal testimone Z.), il procedimento disciplinare, sospeso nella pendenza del procedimento penale dal 23.11.2011 al 20.11.2012, si era concluso con l’irrogazione della sanzione espulsiva il 27.12.2012

era stato rispettato il termine di quaranta giorni, previsto dal citato art. 55-bis, comma 4, per la contestazione disciplinare, decorrente dal 13.10.2011, data in cui l’U.P.D. aveva avuto conoscenza del decreto di perquisizione, secondo quanto emergeva dal telefax di ricezione, da parte della Direzione Generale, della copia del decreto di perquisizione, perchè la contestazione era stata effettuata con raccomandata spedita 18.11.2011 e non rilevava la circostanza che essa era pervenuta a conoscenza del lavoratore il 23.11.2011;

la dedotta conoscenza dei fatti da parte di singoli componenti dell’U.P.D. non era idonea a far decorrere il termine di quaranta giorni per la contestazione disciplinare perchè in capo al singolo componente non sussiste il potere di contestazione disciplinare;

l’azione disciplinare era stata proposta tempestivamente in quanto il decreto di perquisizione, a seguito del quale era stato aperto il procedimento disciplinare, aveva fatto riferimento al fatto che il D.M. effettuava visite private durante l’orario di servizio, mentre solo all’esito del processo penale l’Amministrazione datrice di lavoro aveva avuto contezza piena dell’intero sistema di gestione dell’attività libero professionale adottato dal lavoratore all’interno dell’Ospedale e delle condotte ulteriori e ben più gravi rispetto a quella oggetto delle segnalazioni già pervenute alla stessa Amministrazione; tale condotta era ricostruibile solo attraverso i complessi accertamenti eseguiti nell’ambito del processo penale in conclusione, doveva escludersi la tardività dell’azione disciplinare avendo la datrice di lavoro, anche a tutela del proprio dipendente, aperto il procedimento disciplinare al momento di conoscenza del decreto di perquisizione, disposto la sospensione del procedimento disciplinare in corretta applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, avuto riguardo alla particolare complessità dell’accertamento del fatto, riattivato il procedimento disciplinare nel rispetto del termine previsto dal citato art. 55 ter, comma 4, all’esito della pronuncia della sentenza penale, con nota del 20.11.2012, con la quale era stata contestata la condotta accertata in sede penale ed avente rilievo disciplinare;

doveva escludersi che la contestazione disciplinare dei singoli episodi avrebbe indotto il D.M. a desistere dalla condotta illecita, essendo risultato dimostrato che il lavoratore aveva persistito nella condotta illecita anche nel tempo successivo alla notificazione del decreto di perquisizione e di sequestro del settembre 2011.

3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il D.M. con cinque motivi, successivamente illustrati da memoria.

Resiste la ULSS (OMISSIS) con controricorso, nel quale è spiegato ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso principale

4. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 3 e 4. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere tempestiva la contestazione disciplinare, sul rilievo della non cogenza dell’adempimento previsto dal comma 3, e sulla scorta del non pertinente riferimento al termine decadenziale di 120 giorni previsto dal quarto comma per la conclusione del procedimento disciplinare; che dal combinato disposto dei commi terzo e quarto dell’art. 55-bis, il termine di cinque giorni non potrebbe essere ritenuto irrilevante perchè “esso contribuisce a delimitare temporalmente l’iniziativa datoriale entro un massimo di 5+40 giorni” e ad evitare che l’Amministrazione datrice di lavoro possa “creare un cono d’ombra” in cui nascondere ritardi, inadempimenti, difetti di comunicazione tra le proprie comunicazioni interne sull’acquisizione e sulla trasmissione della notizia disciplinarmente rilevante; che il ritardo nella trasmissione degli atti all’U.P.D. comprimerebbe il successivo termine di quaranta giorni previsto dal comma 4 a pena di decadenza. Deduce la natura imperativa anche del comma 3 e lamenta che esso sarebbe stato sostanzialmente abrogato dalla interpretazione datane dalla Corte territoriale.

5. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 3 e 4, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., sostenendo che, in mancanza della comunicazione di cui al comma 3, la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere provata la data di trasmissione della “notizia” all’U.P.D. Assume, inoltre, che l’adempimento informativo, relativo alla avvenuta trasmissione degli atti all’U.P.D., mira a consentire al lavoratore di individuare il “dies a quo” del termine decadenziale entro cui deve essere effettuata la contestazione disciplinare e a sottrarre il medesimo dal rischio di essere esposto alla “merce” del responsabili di struttura, in merito alla gestione dei tempi di avvio della procedura disciplinare; che il primo “dies a quo” previsto dall’art. 55-bis, comma 4 può essere opposto al lavoratore solo nel caso di completamento della fattispecie delineata nel comma 3.

6. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, sostenendo che la conoscenza pregressa delle infrazioni da parte di due dei componenti dell’U.P.D. farebbe decorrere il termine decadenziale per la contestazione disciplinare. Lamenta che la Corte territoriale, nel fare riferimento alla collegialità dei potere decisionale, avrebbe confuso il momento acquisitivo della notizia con quello deliberativo, concernente la contestazione e assume che la conoscenza della notizia, comunque acquisita dall’U.P.D., anche anteriormente alla trasmissione della medesima da parte del responsabile della struttura, fa decorrere il termine di 40 giorni per la contestazione.

7. Con il Quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1334 e 1335 c.p.c., art. 149 c.p.c., u.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, per avere la Corte territoriale ritenuto tempestiva la contestazione dell’addebito in applicazione del principio della scissione degli effetti della notifica. Sostiene che i principi giurisprudenziali richiamati nella sentenza impugnata non troverebbero applicazione nella vicenda dedotta in giudizio, per essere posto il termine decadenziale a tutela del lavoratore e perchè il caso in esame concernerebbe la decorrenza di un termine decadenziale sostanziale “neppure proiettato verso la prospettiva processuale, come accade per il termine di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6”.

8. Con il Quinto il motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, sostenendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere tempestiva la contestazione dell’addebito nonostante la remota conoscenza da parte dell’Amministrazione dei fatti contestati. Deduce che la Corte territoriale avrebbe fatto riferimento alla gravità ed alla reiterazione della condotta, rilevante solo ai fini della valutazione della entità della sanzione, con riguardo al fatto storico della conoscenza della notizia.

9. Il motivo del ricorso incidentale condizionato

10. Con l’unico motivo la Azienda Sanitaria Locale Socio Sanitaria n. (OMISSIS) denuncia, in via incidentale condizionata all’accoglimento, anche parziale, del quarto motivo del ricorso principale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 153 del 2012, art. 1, comma 51 in relazione agli artt. 420 e 345 c.p.c., deducendo l’erroneo rigetto dell’eccezione di inammissibilità del motivo di reclamo, formulata da essa reclamata sul rilievo della novità della eccezione di tardività della contestazione disciplinare, assunta come effettuata oltre il termine di 40 giorni decorrente dalla notizia dell’illecito.

Esame dei motivi:

11. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.

12. Ad avviso del Collegio la ricostruzione del dato normativo, costituito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69, costituisce necessaria premessa per l’esame delle questioni sottoposte dal ricorso.

13. Come già affermato da questa Corte, nella recente decisione n. 11632 del 2016, la regola della “competenza” caratterizza, come il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, nel testo antecedente le modifiche apportate dal citato decreto del 2009, l’intero impianto della nuova disposizione, che ripartisce, con previsione, in parte sovrapponibile al contenuto dell’originario art. 55, il potere disciplinare tra il responsabile della struttura avente qualifica dirigenziale (comma 1) e l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari – U.P.D. – (comma 4), in relazione alla gravità della sanzione, attribuendo al primo la competenza per le sanzioni di minore gravità (dal rimprovero scritto alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione sino a 10 giorni) ed al secondo quella per le sanzioni più gravi (dalla sospensione da 11 giorni a sei mesi al licenziamento).

14. Ad essa è affiancata una serie di disposizioni che regolano il procedimento (comma 2), secondo una disciplina che esclude, diversamente da quanto previsto nell’originario testo dell’art. 55, l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti per legge, ed introduce una sequenza di attività volte, nel complesso, ad assicurare tempestività di contestazione, contraddittorio, e celerità di definizione del procedimento disciplinare, secondo regole comuni (comma 4), quale che sia l’organo competente, salvo il raddoppio dei termini perentori nel caso di procedimento gestito dall’U.P.D..

15. In particolare, per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art. 55 bis contiene due previsioni: con la prima (comma 3), è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto” e la contestuale comunicazione all’interessato; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni).

16. Il quarto comma dispone che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare.

17. La “ratio” della norma è da individuare, in primo luogo, ma solo per i procedimenti relativi a fatti puniti con sanzioni più severe, nella esigenza di assicurare al dipendente maggiori garanzie di “terzietà”, quali sono indubbiamente assicurate dall’U.P.D..

18. Ulteriore “ratio” 55 bis è da individuare nell’esigenza di rendere più veloce l’esercizio del potere disciplinare, attraverso la previsione di regole che mettono in correlazione, funzionale e temporale, le attività e le fasi del procedimento, anche nei casi in cui queste si svolgano davanti ai due diversi organi individuati come “competenti”, tant’è che il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento gestito dall’U.P.D. viene fatto decorrere dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, “anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

19. Questa Corte, con riguardo a fattispecie ricadenti nell’ambito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, nel testo originario vigente prima della riforma attuata con il D.Lgs. n. 150 del 2009, ha precisato che i termini per segnalare il fatto illecito all’ufficio per i procedimenti disciplinari (ex art. 24, comma 4, CCNL compatto Ministeri) e per contestare l’addebito (20 giorni, art. 24, comma 2, CCNL cit.) dovessero reputarsi ordinatori, e non perentori e che la loro inosservanza non comportasse un vizio della sanzione finale.

Tanto sul rilievo che, in un assetto disciplinare contrattualizzato, gli effetti decadenziali non possono verificarsi in mancanza di una espressa previsione normativa o negoziale che preveda detti effetti (Cass. 6091/2010, 5637/2009, 20654/2007, 23900/2004). Il principio è stato, da ultimo, ribadito nella decisione n. 24529 del 2015, sempre con riferimento all’art. 24, comma 2, del CCNL del comparto Ministeri del 16 maggio 1995.

20. Successivamente, e con riguardo a fattispecie, quale quella in esame, disciplinata “ratione temporis” dall’art. 55 bis, questa Corte, nella sentenza n. 17153 del 2015, ha affermato che ” Per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art. 55-bis contiene due previsioni: con la prima (comma 3) è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto”; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni).

Lo stesso comma 4 dice che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare. E’ evidente perciò che la decadenza sanziona soltanto l’inosservanza del termine oggetto della seconda previsione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente”.

21. A detto orientamento questo Collegio ritiene di dare continuità, aggiungendo l’ulteriore considerazione che la fase delineata dal comma 3 non costituisce ancora avvio del procedimento, come è confermato dalla distinzione operata dalla disposizione in esame tra la “trasmissione”, atto interno non avente rilievo disciplinare vero e proprio, e la “contestazione” costituente, invece, primo atto del procedimento disciplinare (Cass. 2168/2004).

22. Va, inoltre, escluso che la affermata natura ordinatoria del termine di cui al citato art. 55-bis, comma 3 vulneri le esigenze di celerità del procedimento funzionali alla difesa del lavoratore incolpato, e che condizioni negativamente la trasparenza dell’attività della Amministrazione datrice di lavoro, perchè queste ultime sono garantite dal fatto che, ai sensi del comma 4 dell’art. 55-bis “la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

23. Sulla scorta delle considerazioni svolte e in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale espresso nella già citata sentenza di questa Corte n. 1781 del 2015, il primo motivo va, quindi, rigettato, dovendo ribadirsi il principio secondo il quale “In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3, nel disciplinare i tempi della contestazione, impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, gli atti all’ufficio disciplinare e prescrive a quest’ultimo, a pena di decadenza, di contestare l’addebito entro il termine di giorni 40 dalla ricezione degli atti. Va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione sollecitatoria, comporti, di per sè, l’illegittimità della sanzione inflitta, assumendo rilievo la sua violazione solo allorchè la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito”.

24. L’ultima parte citato art. 55 bis, comma 3 dispone che il responsabile della struttura, alla quale è addetto il pubblico dipendente, quando trasmette gli atti relativi al fatto disciplinarmente rilevante, ne dà “contestuale comunicazione all’interessato”.

25. A giudizio del Collegio, gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente, in quanto la comunicazione “all’interessato” ha una funzione meramente informativa, senza alcun pregiudizio per le garanzie difensive, le quali vengono in considerazione solo se ed in quanto venga avviato, dall’organo competente, il vero e proprio procedimento disciplinare.

26. Al riguardo va rilevato che la norma non contiene alcun alcuna previsione sanzionatoria in relazione ai casi in cui la comunicazione al lavoratore sia stata omessa e che manca qualsiasi espressione che ricostruisca l’adempimento come cogente, non essendo esso costruito in termini di “obbligo”; obbligo che non sarebbe nemmeno configurabile, atteso che tutto il materiale relativo alla “notizia” del fatto disciplinarmente refluisce nella contestazione.

27. Nessun pregiudizio dei diritti di difesa del sottoposto a procedimento disciplinare potrebbe, pertanto, derivare dall’eventuale mancanza della comunicazione preliminare informativa da parte del soggetto che vi è tenuto, ove si consideri che il lavoratore, nei cui confronti sia, poi, avviato il procedimento disciplinare, ha il diritto di accedere agli atti istruttori, anche per potere verificare il rispetto dei termini perentori, come è espressamente previsto dall’ultima parte dell’art. 55 bis, comma 5 (“Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori riguardanti il procedimento”).

28. Sono, quindi, prive di pregio le deduzioni che correlano alla violazione dei termini e dell’attività previsti nel citato art. 55 bis, comma 3 la violazione degli oneri probatori, che la Corte territoriale, con accertamento in fatto incensurabile in questa sede (ex plurimis, Cass.SSU 24148/ 2013, Cass. n.1541/2016, 15208/2014), ha ritenuto assolti con la produzione del fax di trasmissione recante la data di trasmissione degli atti all’U.P.D..

29. Sulla scorta delle considerazioni svolte, il secondo motivo di ricorso va rigettato, con affermazione del principio di diritto secondo cui: “In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, la comunicazione all’interessato della trasmissione degli atti da parte del responsabile della struttura all’U.P.D., prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, ha una funzione meramente informativa, sicchè gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente”.

30. Il terzo motivo è infondato.

31. Questa Corte nelle decisioni n. 24157 e n. 20733 del 2015 ha già affermato che l’art. 55-bis, al comma 4, là dove fa riferimento alla “data nella quale l’Ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione si riferisce non a qualsiasi ufficio dell’amministrazione ma soltanto all’ufficio per i procedimenti disciplinari e/o del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora.

32. E’ stato osservato che il dato letterale richiama soltanto l’U.P.D. e il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora ed è stato anche rilevato che la scansione del procedimento stesso, e la decadenza dall’azione disciplinare, prevista come sanzione per il mancato rispetto del termine entro il quale l’iter deve concludersi, richiede necessariamente un’individuazione certa ed oggettiva del “dies a quo”. Individuazione impossibile, ove si ritenesse di agganciarlo ad una qualsiasi notizia pervenuta a qualunque ufficio o persona dell’amministrazione, magari anche privi di veste formale e di protocollazione. La contraria opinione, inoltre, collide con la “ratio” della fissazione d’un termine finale entro cui concludere il procedimento, che è quella di far sì che il dipendente non vi resti assoggettato per un tempo indefinito. Ciò significa che, se esigenze di certezza sono a base della tutela del dipendente, le medesime esigenze vanno rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche avuto riguardo alla posizione dell’Amministrazione, il che non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente verificabile il “dies a quo” da cui far decorrere il termine in discorso. Nè va trascurato che il valore costituzionale di regole che assicurino il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da un’interpretazione che lasciasse nel vago il “dies a quo” del procedimento, rimettendolo, in ipotesi, anche a notizie informali o comunque pervenute ad uffici periferici di amministrazioni di grandi dimensioni.

33. E’ stato anche affermato (Cass. 24157/2015) che, nei casi in cui, come quello in esame, l’U.P.D. sia costituito da un organo Collegiale, anche a volere, in ipotesi, ritenere che tale collegio non sia perfetto e che, quindi, non necessariamente debba operare con la contemporanea partecipazione di tutti i suoi componenti, ad ogni modo, in nessun caso un collegio imperfetto può ridursi sino ad essere considerato come organo monocratico.

34. Al richiamato indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità, aggiungendo l’ulteriore considerazione che la conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti, per essere correlata ad una serie di attività da realizzarsi dall’organo nella sua istituzionale consistenza, postula un’attività di ufficializzazione, anche attraverso un autonomo sistema di formale protocollazione, che è propria dell’Ufficio nel suo complesso, nella sua veste istituzionale, che prescinde dalle attività effettuate e/o ricevute dai singoli componenti dell’organo sia esso individuale o collegiale.

35. Sulla scorta delle considerazione svolte va rigettato il terzo motivo di ricorso dovendo affermarsi il principio di diritto secondo cui “In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, secondo e terzo periodo, la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione – dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall’azione disciplinare, il relativo procedimento coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, la collegialità dell’U.P.D. rilevando, infatti, non solo per i suoi provvedimenti ma anche per le sue conoscenze, e pertanto restando irrilevante la conoscenza acquisita non dall’Ufficio in sè, sede dell’organo collegiale, ma dai suoi singoli componenti”.

36. Il quarto motivo

37. L’art. 55-bis, al comma 4 prevede che l’U.P.D. “contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’art. 55 ter”.

38. Nei casi, quali quello in esame, in cui si verte in materia di sanzione espulsiva, il termine per la contestazione disciplinare è di quaranta giorni, che decorre, per quanto sopra osservato, dalla data di ricezione da parte dell’U.P.D., degli atti trasmessi dal responsabile della struttura.

39. Come sopra evidenziato, il citato art. 55 bis, comma 4 dispone, nella sua ultima parte, che “la violazione dei termini di cui al presente comma comporta per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

40. La Corte territoriale ha affermato che era stato rispettato il termine di quaranta giorni perchè, a fronte della trasmissione degli atti all’U.P.D. in data 13.11.2011, quest’ultimo aveva spedito al D.M. la contestazione disciplinare con raccomandata in data 18.11.2011. Ha ritenuto irrilevante la circostanza che la lettera raccomandata fosse stata ricevuta dal lavoratore il successivo 23.11.2011, in applicazione dei principi affermati da questa Corte nelle decisioni delle SS.UU. n. 8830 del 2011 e nella sentenza n. 12457/2011, secondo cui, in base ai principi generali in tema di decadenza, l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione, demandato ad un servizio, idoneo a garantire un adeguato affidamento, sottratto alla sua ingerenza.

41. La statuizione è corretta in quanto il Collegio ritiene di dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, già confermato nella più recente sentenza n. 14352 del 2015.

42. Avuto riguardo alla funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè sulla base del principio generale desumibile dall’art. 384 c.p.c., deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata o infondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente prospettata dalle parti e della quale si è discusso nei gradi di merito, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti esposti nel ricorso per cassazione, principale o incidentale, e nella stessa sentenza impugnata e fermo restando che l’esercizio dei potere di qualificazione non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (in tal senso Cass. 14.2.2014 n. 3437; Cass. 17.4.2007 n. 9143; Cass. 29.9.2005 n. 19132).

43. Tanto precisato, questa Corte rileva che il motivo è infondato anche sulla scorta delle considerazioni che seguono.

44. Con riguardo all’onere della Pubblica Amministrazione datrice di lavoro di provvedere alla contestazione dell’addebito nel termine di quaranta giorni dalla data di ricezione dei fatti disciplinarmente rilevanti, previsto dal citato art. 55-bis, comma 4, assume rilievo la questione, generale, delle ripercussioni che l’inutile decorso del termine, di decadenza, produce sull’esercizio dei diritti.

45. Questione affrontata dalle SSUU di questa Corte nella decisione n. 8830 del 2010, nella quale è stato affermato che, poichè la decadenza costituisce l’effetto del mancato assolvimento, da parte del titolare dell’interesse giuridicamente tutelato,

dell’onere di tenere un determinato comportamento, è imprescindibile l’individuazione dei contenuti e delle modalità di assolvimento dell’onere – imposto al soggetto interessato – dell’esercizio di un potere entro un dato termine, e, dunque, l’individuazione sistematica delle modalità con cui il soggetto può esercitare il potere entro la scadenza del termine.

46. Le SS.UU., nel rilevare che il comportamento richiesto, come si ricava dall’art. 2966 c.c., si concreta nel compimento di un atto, di regola ben definito dalla legge (ovvero dal contratto, o anche dal giudice, o dall’atto amministrativo), hanno osservato che la rilevanza diretta del comportamento, ai fini dell’impedimento della decadenza, costituisce la regola ordinaria, anche se tale comportamento deve consistere in una dichiarazione recettizia, soggetta alla disciplina di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c..

Tanto sul rilievo che la dichiarazione è già perfetta con la sua emissione, mentre la sua conoscenza da parte del destinatario costituisce un elemento costitutivo, non della dichiarazione, bensì della fattispecie in cui essa si inserisce.

47. Richiamando la decisione di questa Corte n. 12447/2004, hanno affermato l’esistenza di una regola generale, secondo cui l’impedimento della decadenza non richiede la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, ma che la stessa legge, come anche la singola clausola contrattuale, talvolta riconducono tutti gli effetti della dichiarazione recettizia al momento in cui essa perviene al destinatario.

48. Sulla scorta di siffatte considerazioni le SS.UU. hanno tratto la conseguenza che al momento dell’adozione dell’atto, possono dirsi verificati, di regola, gli effetti “quoad auctorem”, precisando che la comunicazione dell’atto può anche rilevare diversamente, nelle varie fattispecie (legali, o contrattuali, o provvedimentali), a seconda del contenuto dell’onere imposto al soggetto titolare del potere, nelle quali la conoscenza del destinatario sia prevista come essenziale per l’effetto impeditivo della decadenza.

49. Le SS.UU. hanno osservato che, in dette ipotesi, l’esclusione di effetti interinali o preliminari conseguenti alla manifestazione di volontà di esercizio del diritto non dipende di per sè dal carattere recettizio di queste dichiarazioni, ma costituisce lo sviluppo di un diverso criterio, che considera essenziale che l’esercizio del diritto sia comunicato al destinatario, precisamente individuato di volta in volta.

50. A questi principi si è ispirata questa Corte nella sentenza n. 5637 del 2009 che, con riferimento a fattispecie regolata dall’art. 24 del CCNL comparto Ministeri del 1995, relativa a questione relativa al rispetto dei termini della conclusione del procedimento disciplinare, ha affermato che “il momento conclusivo del procedimento deve essere individuato nel momento in cui la parte datoriale esprime la propria valutazione ed esaurisce il proprio potere disciplinare mediante l’adozione della sanzione disciplinare, nel mentre la comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, inerisce all’efficacia dell’atto stesso (art. 1334 c.c., comma 2), ma si colloca al di fuori del procedimento disciplinare ormai concluso, dovendosi distinguere tra conclusione del procedimento disciplinare (individuabile, come detto, nell’adozione della sanzione) e momento di perfezionamento e di acquisizione di efficacia della sanzione stessa, ricollegabile alla conoscenza della medesima da parte del destinatario”.

51. I principi sopra enucleati trovano applicazione anche nei casi, quali quello in esame, in cui viene rilievo la questione della tempestività della contestazione degli addebiti, e, dunque, della decadenza della pubblica amministrazione, datrice di lavoro, dall’azione disciplinare, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis.

52. Nessuna delle disposizioni contenute in detta disposizione prevede che la decadenza dall’esercizio dell’azione disciplinare sia impedita non già dall’adozione della contestazione nel termine di quaranta giorni bensì dal fatto che essa sia portata a conoscenza dell’interessato entro il termine di decadenza.

53. Con la conseguenza che deve ritenersi che l’effetto impeditivo della decadenza dall’azione disciplinare, prevista dall’art. 55-bis, comma 4, si produce con la adozione dell’atto che dà impulso alla azione disciplinare, a prescindere dalla sua successiva comunicazione al lavoratore.

54. Secondo la previsione dell’art. 52-bis, infatti, il momento in cui la contestazione è effettuata coincide con il momento in cui la Amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza ed alla consistenza disciplinare della notizia e la consolida nell’atto di contestazione, la cui comunicazione al lavoratore risulta, nel dettato della legge, estranea al potere dell’Amministrazione di adottare l’atto di contestazione entro il termine previsto, ed è stata collocata al di fuori della fase subprocedimentale che culmina, appunto, nella contestazione degli addebiti.

55. La previsione che, entro il termine prefissato (quaranta giorni nel caso in esame), la pubblica amministrazione datrice di lavoro concluda la fase endoprocedimentale, provvedendo alla formulazione contestazione degli addebiti, e che la successiva comunicazione di siffatta determinazione datoriale sia destinata unicamente a renderla produttiva di effetti nei confronti dell’interessato, per consentirgli di espletare il diritto di difesa nei modo e nei termini compiutamente descritti nel comma 2, è coerente con la “ratio” che sorregge l’intero art. 52-bis” quale individuata nei punti 17 e 18 di questa sentenza.

56. Deve escludersi, poi, che l’eventuale ritardo nella ricezione della comunicazione vulneri il diritto di difesa del lavoratore, perchè i termini per la sua difesa decorrono dal momento in cui la contestazione gli viene comunicata, e che interferisca negativamente, sull’esigenza di celerità del procedimento disciplinare, che resta assoggettato al termine di 120 giorni decorrente dalla data della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti.

57. Va rilevato anche che le esigenze difensive del lavoratore risultano salvaguardate dalla brevità del termine di decadenza imposto all’Amministrazione datrice di lavoro nell’esercizio del potere-dovere di procedere alla contestazione e non dal carattere recettizio della contestazione stessa.

58. In ogni caso, l’eventuale ritardo nella comunicazione potrebbe assumere rilievo, come già, ad altri fini, osservato al punto 23 di questa sentenza, solo allorchè la comunicazione della contestazione venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa.

59. Sulla scorta delle considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio di diritto “In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, ai fini della decadenza dall’azione disciplinare occorre avere riguardo alla data in cui l’amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza e consistenza disciplinare della notizia dei fatti rilevanti disciplinarmente e la consolida nell’atto di contestazione, assumendo rilievo l’eventuale ritardo nella comunicazione solo allorchè detto ritardo sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa”.

60. Il quinto motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza non ha assolutamente sovrapposto, confondendoli, l’aspetto della gravità della condotta con quello del tempo di conoscenza dei fatti disciplinarmente rilevanti, ma ha fatto riferimento alla reiterazione e gravità della condotta solo per evidenziare che di questa la Amministrazione datrice di lavoro aveva potuto avere compiuta conoscenza solo all’esito dell’apertura del procedimento penale e della sua conclusione.

61. Il motivo è inammissibile nella parte in cui, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, il ricorrente mira a provocare una nuova valutazione del materiale istruttorio, in punto di individuazione della data di acquisizione della notizia della condotta disciplinarmente rilevante, e a far riesaminare il merito della vicenda processuale, esame che per consolidato orientamento, questa Corte non ha il potere di effettuare (ex plurimis, Cass.SSU 24148/ 2013, Cass. n.1541/2016, 15208/2014).

62. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso principale va rigettato, mentre resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.

63. Le spese seguono la soccombenza, come di norma.

64. Deve darsi atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quaterper il raddoppio del contributo unificato, salva la verifica del requisito soggettivo di esenzione.

PQM

La Corte

Rigetta il ricorso, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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