Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1690 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 20/01/2022, (ud. 09/11/2021, dep. 20/01/2022), n.1690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 1613 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. Fascino gestione produzione teatro, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura

speciale a margine del controricorso, dagli avvocati Luca V. Orsini

e Paolo Caneschi, presso lo studio dei quali in Roma, al viale Bruno

Buozzi, n. 82, elettivamente si domicilia;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 16 novembre 2011, n.

316/22/11;

sentita la relazione svolta dal consigliere Angelina-Maria Perrino

nella pubblica udienza del 9 novembre 2021 tenutasi con le

modalità” previste dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis,

conv., con mod., con L. n. 176 del 2020;

letta la memoria della Procura generale, in persona del sostituto

procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per il rigetto

di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’aspetto tuttora d’interesse del giudizio che emerge dalla sentenza impugnata riguarda l’avviso di contestazione sanzioni per la violazione consistita nell’omissione dell’autofattura e delle conseguenti registrazioni e dichiarazioni concernenti un’operazione resa alla controricorrente da una società irlandese nell’anno d’imposta 2002, e trattata erroneamente come fuori campo iva, cui l’Agenzia ritenne applicabile il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, comma 1, nel testo allora vigente.

La società impugnò l’avviso senza successo in primo grado, mentre la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto parzialmente l’appello, riducendo la sanzione alla misura del 3%.

A fondamento della decisione il giudice d’appello ha ritenuto maturato il diritto di detrazione, che, a suo avviso, aveva determinato la neutralità degli effetti delle operazioni sul saldo dell’iva da versare.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, che affida a un motivo, cui la società replica con controricorso e ricorso incidentale, anch’esso affidato a un motivo.

La società deposita altresì memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorso principale, col quale l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17, commi 2, 3 e 4, art. 21, comma 4, art. 23, comma 1, e art. 25, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, commi 1 e 9-bis e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5-bis, là dove il giudice d’appellò ha affermato la natura formale e non sostanziale della violazione determinata dalle omissioni indicate in narrativa e ha applicato il ius superveniens introdotto dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 155, entrato in vigore dal 1 gennaio 2008 a violazioni commesse antecedentemente, è parzialmente fondato.

1.1. Il regime in questione d’inversione contabile o reverse charge addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta) l’obbligo di assolvere l’iva sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione della fattura nel registro delle vendite e in quello degli acquisiti), riconosce loro il diritto di detrazione per un pari importo. Sicché nessun pagamento è dovuto all’erario.

2.- La disciplina delle violazioni relative era fornita, fino al 31 dicembre 2007, dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, per la quale “Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio”.

A questa disposizione si giustapponeva quella contenuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5-bis secondo la quale “Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.

2.1.- La L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 155, ha poi introdotto, con vigenza dal 1 gennaio 2008, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, il comma 9-bis che “nella sua formulazione originaria, irrogava la medesima sanzione prevista dal comma 1 al Cessionario o committente che “non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile”, e introduceva una sanzione meno gravosa (pari al 3%) ove l’imposta fosse stata assolta, ancorché irregolarmente.

3.- L’individuazione della norma applicabile esige la qualificazione della violazione, per accertarne la natura sostanziale, formale, o meramente formale, al fine di verificarne la sanzionabilità, e la commisurazione della relativa sanzione.

Al riguardo questa Corte anche di recente ha stabilito che, in base alla combinazione dell’art. 10, comma 3, dello statuto dei diritti del contribuente e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis, le violazioni tributarie possono essere sostanziali, se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, formali, se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento, oppure meramente formali, perché non influenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo e non arrecanti pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo; solo tali ultime violazioni non sono punibili per inoffensività (Cass. 17 dicembre 2020, n. 28938).

3.1.- Sicché, si è specificato (Cass. 10 giugno 2021, n. 16450), la distinzione tra violazioni formali e violazioni meramente formali va calibrata sulla relazione tra il bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione, dunque con valutazione ex ante; laddove quella tra violazioni formali e violazioni sostanziali risente dell’accertamento in concreto della produzione di un danno erariale, scaturente dal fatto che la condotta abbia inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo.

Tale conclusione trova altresì riscontro nella previsione di una procedura di regolarizzazione in caso di fatturazione omessa od irregolare, la cui effettività è strettamente correlata alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di un immediato Controllo delle operazioni.

4.- Nessuna distonia sussiste, d’altronde, tra la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis.

Seppure la prima definizione di violazione formale risalga alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, che l’ha qualificata come “…mera violazione formale senza alcun debito d’imposta”, proprio la portata eccessivamente ampia della norma, capace d’includere nel proprio ambito anche violazioni idonee a ostacolare o addirittura ad impedire l’esercizio delle attività di controllo del fisco, ha indotto il legislatore a precisarne la portata, profittando dell’art. 16 dello stesso statuto dei diritti del contribuente, che gli consentiva di emanare disposizioni correttive, operazione compiuta con il D.Lgs. n. 32 del 2001 (che, nel secondo periodo della premessa, richiama esplicitamente l’art. 16 cit.) (così, in motivazione, Cass. 15 luglio 2015, n. 14767).

4.1.- Il D.Lgs. n. 32 cit., art. 7, comma 1, lett. a), ha, quindi, precisato e circoscritto la portata della norma dello statuto dei diritti del contribuente là dove, introducendo del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, il comma 5-bis ha stabilito che l’esclusione della punibilità sia limitata alle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio dell’attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.

Ne derivano, dunque, l’unicità e l’univocità della disciplina per l’individuazione delle violazioni meramente formali in quelle carenti di entrambi i requisiti.

5.- E’, allora, indubitabile che la violazione commessa nel caso in esame non abbia natura meramente formale.

Il sistema dell’inversione contabile è sistema di assolvimento dell’iva, che non incide sulla struttura del tributo: l’operazione che vi è soggetta è quindi imponibile (in termini, tra le più recenti, Cass. 14 gennaio 2020, nn. 529 e 530, punti 4.1.).

5.1.- Anzitutto, dunque, nel caso in esame v’e’ stato un vulnus all’azione di controllo, giacché il fatto che la contribuente abbia trattato l’operazione come se fosse fuori campo iva ha impedito all’amministrazione tributaria di controllare l’applicazione del regime dell’inversione contabile, determinando di per sé un rischio di perdita fiscale dell’erario (Corte giust. 6 febbraio 2014, causa C-424/12, Fatorie, punto 38; 26 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas, punto 46).

5.2- L’omissione degli adempimenti dovuti ha poi escluso il tempestivo assolvimento dell’iva, sia pure mediante l’indicato meccanismo di compensazione.

E allora, all’inflizione di una sanzione pari all’iva non assolta perché il soggetto passivo non ha adempiuto nel termine previsto dalla legislazione nazionale il proprio obbligo di contabilizzare e dichiarare elementi rilevanti ai fini del calcolo dell’iva da lui dovuta non è d’ostacolo il principio di neutralità fiscale, perfino qualora, successivamente, egli regolarizzi l’inadempimento e assolva integralmente l’imposta dovuta insieme con gli interessi (Corte giust. 20 giugno 2013, causa C-259/12, Rodopi-M 91 OOD). Diversa è l’ipotesi esaminata dalla sentenza indicata in controricorso (Corte giust. 12 luglio 2012, causa C-284/11, Ems-Bulgaria Transport OOD), che concerneva una sanzione consistente nel diniego assoluto del diritto di detrazione al cospetto di un versamento tardivo dell’imposta.

5.3.-La condotta della contribuente ha inoltre appunto inciso sui tempi di esercizio del diritto di detrazione.

La violazione degli obblighi formali di contabilità e dichiarazione non impedisce l’insorgenza del diritto di detrazione, del quale sussistano i requisiti sostanziali (come ribadito, anche in tema di applicazione del regime d’inversione contabile, da Corte giust. 11 dicembre 2014, causa C-590/13, Soc. Idexx Laboratories Italia); ma se il contribuente, pur essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’iva entro il termine previsto dalla legge, osservando le formalità stabilite dallo Stato membro (tra varie, Corte giust. 11 aprile 2019, causa C-691/17, PORR E’pite’si Kft., punto 33), decade dal diritto (tra varie, Cass. 15 luglio 2015, n. 14767; 3 marzo 2017, n. 2401; 27 settembre 2018, n. 23283; 30 luglio 2020, n. 16367; 9 aprile 2021, n. 9394).

Non v’e’ difatti ragione, quanto alla decadenza in questione, per operare distinzione alcuna tra le ipotesi in cui il meccanismo di autoliquidazione (ossia d’inversione contabile) è applicabile e quelle in cui non lo è (Corte giust. 28 luglio 2016, causa C-332/15, Astone, punto 35).

6.- Nel caso in esame, in cui la società ha trattato come fuori campo iva operazioni che non lo erano, omettendo, quindi, di esercitare il diritto di detrazione da esse scaturente, nessun concreto elemento è stato addotto al fine di escludere che l’omissione sia stata dovuta a negligenza. E la decadenza dal diritto di detrazione dell’iva non ha consentito la compensazione con l’obbligo di versarla (e’ questa compensazione che esclude il pagamento).

6.1.- Come questa Corte ha già avuto occasione di osservare (Cass. n. 14767/15, cit.; 3 marzo 2017, n. 5401; 27 settembre 2018, n. 23283; n. 16367/20, cit.), difatti, la Corte di giustizia, con la sentenza Ecotrade (Corte giust. 8 maggio 2008, cause C96/07 e 97/07), ha chiaramente ed esplicitamente distinto l’ipotesi “in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale” (punto 36) dall’ipotesi, in relazione alla quale si è espressa, in cui il soggetto passivo abbia erroneamente ritenuto che i beni o i servizi ricevuti dal fornitore estero fossero esenti e che, comunque, abbia integralmente versato l’imposta a valle, ossia, presumibilmente, l’iva relativa alla cessione successiva (secondo quel che emerge dalla ricostruzione di fatto riportata nelle conclusioni dell’avvocato generale). Il che ha consentito alla Corte di giustizia di non valutare il peso, più che dell’assenza di malafede, che viene in considerazione quando il contribuente tenti di ottenere un indebito vantaggio fiscale, della sussistenza della buona fede della società, rilevante “laddove sussista, a seguito del comportamento dello stesso, il rischio di perdite di entrate fiscali per lo Stato membro interessato” (punto 71). Del resto, sebbene non sia in contrasto con il diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede, non è necessario dimostrare la malafede del soggetto passivo per negargli il beneficio del diritto a detrazione (Corte giust. 11 novembre 2021, causa C-281/20, Ferimet SL, punto 58; conf., Corte giust. 14 aprile 2021, causa C-108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punti 30 e 31).

La violazione commessa è quindi sanzionabile a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, applicabile all’epoca dei fatti.

7.- Il diritto unionale offre poi i parametri anche per valutare la proporzionalità di questa sanzione.

Giova, quindi, evidenziare che è con riguardo a ipotesi in cui, rispettivamente, il venditore aveva comunque integralmente versato l’iva all’erario, nonostante l’omessa applicazione del regime domestico d’inversione contabile (Corte giust. in causa C-547/15, Farkas, cit.), l’emittente della fattura per operazione oggettivamente inesistente aveva comunque integralmente assolto l’iva (Corte giust. 8 maggio 2019, causa C-712/17, Soc. EN.SA) e l’acquirente di un immobile, dopo aver qualificato erroneamente un’operazione esente da iva come operazione soggetta a tale imposta, aveva rettificato la propria dichiarazione fiscale, indicando un’eccedenza detraibile nettamente inferiore, tenendo conto delle irregolarità constatate dall’autorità tributaria (Corte giust., causa C935/19, cit., punto 14), che la Corte di giustizia ha ravvisato la sproporzione della sanzione e la conseguente necessità di modularne l’entità, in quei casi ragguagliata, rispettivamente, al 50% dell’iva dovuta, all’importo della detrazione operata, e al 20% dell’importo della sopravvalutazione dell’importo del rimborso dell’iva indebitamente reclamato.

Laddove, nel caso in esame, come dinanzi esposto, non è stato scongiurato il rischio di perdita di gettito.

7.1.- Si potrebbe comunque prospettare un profilo di frizione col principio in questione, già evidenziato da Cass. n. 14767/15, cit. (conf., sul punto, Cass. 23 gennaio 2019, n. 1830 e, sul piano dei principi, Corte Cost. 23 settembre 2021, n. 185), in relazione alla fissità della percentuale minima della forbice di commisurazione della misura.

Il legislatore vi ha posto rimedio novellando, col D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 4, il quale nel nuovo testo stabilisce che, “qualora concorrano circostanze – non più eccezionali – che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”. Circostanze che, peraltro, la contribuente non ha allegato.

8.- Ad ogni modo, in memoria la società ha chiesto l’applicazione del ius superveniens introdotto dal suddetto D.Lgs. n. 158 del 2015 già sul piano della violazione e del trattamento sanzionatorio, invocando il principio del favor rei.

E’ stato infatti novellato il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6 rispettivamente mediante la modifica e l’inserimento dei commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3.

8.1.- La disciplina si può applicare ai processi in corso, contrariamente a quanto si obietta in ricorso, sia pure a proposito della precedente novella, giacché il termine posto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 32, comma 1, secondo cui “le disposizioni di cui al Titolo II del presente decreto si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2017” (decorrenza, questa, successivamente anticipata al 1 gennaio 2016 dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133), non ostacola, anzi propizia l’applicabilità della regola stabilita dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3, secondo cui “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di natura diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

La fissazione del termine non stabilisce altro che la data di entrata in vigore della novella, della quale prescrive la decorrenza; e tanto fa, allo scopo di differirla, giacché, altrimenti, la novella avrebbe trovato applicazione in base alla regola generale stabilita dall’art. 73 Cost., comma 3, secondo cui “le leggi… entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”: in mancanza dell’art. 32, comma 1, la nuova disciplina si sarebbe applicata a partire dal 22 ottobre 2015, ossia quindici giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta del D.Lgs. n. 158 del 2015, risalente al 7 ottobre 2015.

Alla medesima finalità, ossia quella di modulazione del termine, risponde la L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133. Ed è l’entrata in vigore della novella, ovvero la sua concreta applicabilità, che consente l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, il quale fissa una regola di diritto intertemporàle e, appunto per questo, postula che sia entrata in vigore la disposizione successiva, che modifica o abroga quella precedente (sulla generale applicazione nella materia tributaria, in tema di sanzioni, della regola del favor rei per le peculiarità che caratterizzano la materia, vedi Corte Cost. 20 luglio 2016, n. 193).

Il diritto intertemporale designa il complesso delle norme e dei principi che regolano la successione delle leggi nel tempo e va a dirimere il relativo conflitto, mediante l’individuazione della norma concretamente applicabile alla fattispecie; la regola di diritto intertemporale stabilita dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, in particolare, comporta che, qualora una norma sanzionatoria più favorevole faccia seguito ad una meno favorevole, si debba applicare quella più favorevole, anche se successiva al compimento del fatto. Il conflitto è appunto determinato dall’entrata in vigore della norma più favorevole contenuta nella novella oggetto del D.Lgs. n. 158 del 2015, per cui è proprio l’entrata in vigore di questa norma che fa scattare il presupposto di applicazione della regola di diritto intertemporale in questione (in termini, fra varie, Cass. 9 giugno 2017, n. 14406).

9.- Il diritto sopravvenuto è presidiato dai principi di effettività, proporzionalità e certezza, i quali hanno ispirato la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 8, comma 1, contenente la delega al Governo per la revisione “del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti”.

La sanzione ha difatti lo scopo d’indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell’imposta e, pertanto, di raggiungere l’obiettivo di garantirne l’esatta riscossione (Corte giust., causa C-935/19, Grupa Warzywna Sp: z o.o., punto 31); e adeguata.e’ una sanzione d’importo elevato, in quanto volta a evitare che lo Stato membro di imposizione sia privato della possibilità di controllare efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta (Corte giust., grande sezione, 3 marzo 2020, causa C-482/18, Google, punto 48).

Si è allora commisurata la gravità del trattamento sanzionatorio all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo.

9.1.- La rilevanza dei canoni della pericolosità e della dannosità emerge dalla previsione di sanzioni in misura fissa per le violazioni meno gravi, perché consistenti nella mera inosservanza degli adempimenti prescritti, e sanzioni proporzionali per le fattispecie più gravi, perché concernenti operazioni non documentate o contabilizzate neppure ai fini delle imposte sui redditi e dunque occultate, sino al trattamento più severo nei casi di comportamenti fraudolenti e indirizzati all’evasione fiscale e in quelli in cui l’imposta non si sarebbe potuta detrarre.

10.- Le singole fattispecie contemplate nell’art. 6, commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 rispondono a criteri di progressività:

a.- il comma 9-bis disciplina l’inosservanza degli adempimenti del reverse charge da parte del cessionario (nell’acquisto di beni) o committente (nell’acquisto di servizi) che agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, e distingue tra 1) sanzioni in misura fissa (primo periodo), riguardanti i casi di irregolare adempimento delle operazioni di reverse charge; 2) sanzioni in misura proporzionale (secondo periodo), riguardanti i casi di omessa annotazione nei registri contabili ai fini delle imposte sui redditi; 3) sanzioni, anch’esse proporzionali, derivanti dall’indebita detrazione e dichiarazione infedele (terzo periodo), riguardanti i casi in cui l’iva non risulti detraibile e scaturenti dall’applicazione, che resta ferma, dell’art. 5, comma 4, e dal comma 6, con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente; le disposizioni si applicano anche in caso di omessa autofatturazione e omessa regolarizzazione della fattura ricevuta dal cedente;

b.- i commi 9-bis.1 e 9-bis.2 regolano le due speculari fattispecie di “concorde errore” dovuto alle difficoltà di qualificare l’operazione ai fini della sottoposizione alla disciplina corretta, consistenti in errori di scelta del regime applicabile, e concernono, quindi, il caso in cui l’iva sia assolta dal cedente benché l’operazione fosse sottoposta al regime del reverse charge, nonché, viceversa, quello in cui l’iva sia assolta dal cessionario mediante inversione contabile sebbene l’operazione fosse sottoposta al regime ordinario. Si tratta, in entrambi i casi, di fattispecie in cui l’acquirente/committente gode del diritto di detrazione. La sanzione è quindi stabilita in misura fissa, conformemente ai principi stabiliti dalla giurisprudenza unionale (Corte giust., causa C-935/19, cit.), secondo cui va distinta la situazione in cui l’irregolarità derivi da un errore di valutazione commesso dalle parti quanto alla natura imponibile dell’operazione, non vi siano indizi di frode, né perdite di gettito fiscale per l’erario, da quelle in cui non sussistono queste particolari circostanze;

c.- il comma 9-bis.3 esclude la sanzionabilità in caso di applicazione dell’inversione contabile a operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette ad imposta, in considerazione della mancanza, in sé, di danno per l’erario, e dispone l’espunzione sia del debito computato nella liquidazione dell’imposta, sia della corrispondente detrazione. L’insidiosità insita nelle operazioni inesistenti, idonee a ostacolare, con valutazione da condurre ex ante, l’azione di controllo del fisco (si veda, al rigurdo, Cass. 7 dicembre 2020, n. 28938), comporta che in questi casi la sanzione è irrogata, nella misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1000,00 Euro.

10.1.- Nel caso in esame, dunque, occorre verificare se sussistano i presupposti per l’applicazione del primo periodo, oppure del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9-bis, secondo periodo nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015.

11.- Il motivo va quindi accolto e le considerazioni poste a sostegno dell’accoglimento comportano l’assorbimento del ricorso incidentale, col quale si deduce la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, là dove si è esclusa la causa di non punibilità data dalla combinazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis.

11.1.- Segue la cassazione della sentenza in relazione al profilo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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