Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16899 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 10/08/2016), n.16899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12322-2015 proposto da:

V.I.M. C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato AGOSTINO FULVIO LICARI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

INTERBUS S.P.A. P.I. 00626840862, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. FERRARI 11, presso lo studio dell‘avvocato IGNAZIO CASTELLUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI CIMINO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2015 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 20/02/2015 R.G.N. 469/2014;

udita la relazione, della causa svolta nella pubblica udienza do

11/05/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANN1 PATTI;

udito l’Avvocato CIMINO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 20 febbraio 2015, la Corte d’appello di Caltanissetta rigettava il reclamo di V.I.M. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza dello stesso Tribunale, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, di improcedibilità delle sue domande di accertamento del rapporto di lavoro alle dipendenze di Interbus s.p.a. e di illegittimità del licenziamento intimatole (tale da qualificare il recesso comunicato il 1 febbraio 2013), per tardività di proposizione, oltre il termine di decadenza di centottanta giorni stabilito dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, compensando interamente le spese del grado tra tutte le parti.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la decorrenza dalla data di spedizione (nel caso di specie: 28 marzo 2013) dell’impugnazione del licenziamento (rectius: disdetta dall’incarico) intimato il 1 febbraio 2013 del termine di centottanta giorni per il deposito del ricorso (nel caso di specie: 29 settembre 2013): con la conseguente sua improcedibilità, in quanto proposto oltre il suddetto termine.

Con atto notificato il 21 aprile 2015, V.I.M. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste Interbus s.p.a con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1334 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 6, commi 1 e 2 (come novellato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis e dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 38), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la corretta individuazione della decorrenza del termine di proposizione del ricorso dalla data di ricevimento dal datore di lavoro (non già di spedizione) dell’atto di impugnazione del licenziamento del lavoratore, in sintonia con la previsione della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, tenuto conto della natura di atto unilaterale recettizio, così come del licenziamento, dell’atto di sua impugnazione, produttivo di effetti soltanto una volta conosciuto dal destinatario e pure rettamente inteso il richiamato arresto delle Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 8830/2010, nel senso della tutela dell’interesse del lavoratore, onerato di un termine decadenziale e non già di esclusione della natura recettizia dell’atto di impugnazione.

I due motivi sono infondati.

In proposito, basti ribadire, sulla scorta di recente arresto di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità siccome condiviso, come il termine di decadenza previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 38, decorra dalla trasmissione dell’atto scritto d’impugnazione del licenziamento stabilito dal comma 1 dell’articolo citato (tenuto anche conto della già affermata sufficienza, ai fini della tempestività di questo, della consegna dell’atto all’ufficio pubblico che cura la spedizione: Cass. s.u. 14 aprile 2010, n. 8830) e non dal perfezionamento dell’impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro (Cass. 7 ottobre 2015, n. 20068). Ed infatti, come correttamente ritenuto, l’impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell’ultimo intervento di riforma, costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto di impugnativa vero e proprio. La norma non prevede infatti la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi (dunque già pervenuta al destinatario) per effetto della successiva intempestiva attivazione dell’impugnante in sede contenziosa, ma impone un doppio termine di decadenza affinchè l’impugnazione stessa sia in sè efficace.

La locuzione “L’impugnazione è inefficace se…” sta infatti ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionamento (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. Il primo termine si avrà per rispettato ove l’impugnazione sia trasmessa entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti indicati da parte del lavoratore, il quale quindi, da tale momento, avendo assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore, sempre imposta a pena di decadenza, di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato (Cass. 20 marzo 2015, n. 5717; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21410). Sicchè l’impugnazione, per essere in sè efficace e poter raggiungere il proprio scopo tipico (ferma ovviamente la sua ricezione da parte del datore di lavoro), richiede il rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante.

Tale soluzione, oltre che con la lettera del testo normativo, è altresì coerente con la finalità acceleratoria che ha improntato la novella legislativa n. 92 del 2012 e non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, che è anzi perfettamente in grado di conoscere il dies a quo per l’instaurazione della fase giudiziaria (egli essendo il soggetto che impugna giudizialmente il licenziamento, dopo averne fatto comunicazione di impugnazione stragiudiziale).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la statuizione sulle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso e condanna V.I.M. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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