Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16898 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 11/08/2020), n.16898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 2017 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

F.A.S.A. Center s.r.l., a socio unico, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Marcello Caputo,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Emidio

Perreca, in Roma, Viale di Vigna Pia n. 320;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania n. 124/23/2012, depositata in data 25

maggio 2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 124/23/2012, depositata in data 25 maggio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto parzialmente l’appello proposto da F.A.S.A. Center s.r.l. a socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 240/40/2010 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di (OMISSIS) aveva contestato a quest’ultima, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, un maggiore reddito di impresa imponibile ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno 2004, essendo emersa – sulla base degli elementi indicati nel modello Unico 2005 – una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR – riducendo, in parziale accoglimento dell’appello, di un ulteriore 25% il reddito accertato, già ridotto nella misura del 50% dal giudice di primo grado- ha osservato che, nella specie, l’Ufficio non aveva compiutamente specificato quali fossero stati gli elementi di supporto – che tenessero conto della effettiva realtà aziendale del contribuente – idonei a provare la fondatezza dell’accertamento mediante l’impiego di modelli statistico – matematico (studi di settore) per cui quest’ultimo andava parzialmente censurato, avendo il provvedimento impugnato “tracciato solo parzialmente le motivazioni della rettifica” effettuata sulla dichiarazione prodotta per l’anno 2004;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia “nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 114 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e per omessa e insufficiente motivazione in ordine al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4,” 1) per avere la CTR – dopo avere richiamato la giurisprudenza che subordina la legittimità degli accertamenti basati sugli studi di settore alla sussistenza di successivi riscontri probatori che tengano conto della effettiva realtà aziendale del contribuente- applicato acriticamente gli studi di settore, senza fornire alcuna logica motivazione in merito, violando, così, anche l’art. 112 c.p.c., in mancanza di pronuncia su tutte le domande proposte nell’atto di appello; 2) per avere la CTR, in mancanza dei presupposti di legge, applicato erroneamente l’art. 114 c.p.c.;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia “l’inapplicabilità degli studi di settore per insufficiente motivazione dell’atto impositivo e della impugnata sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per avere la CTR ritenuto erroneamente parzialmente legittimo l’avviso di accertamento basato sugli studi di settore anche se, nella specie, difettava la motivazione di esso quanto alla necessaria indicazione, oltre che dello scostamento tra quanto dichiarato e le risultanze dei calcoli dei parametri, anche degli ulteriori elementi probatori in relazione alla effettiva realtà aziendale oggetto di verifica;

– i motivi – che possono essere trattati congiuntamente per connessione- sono inammissibili sotto più profili di seguito indicati;

– in primo luogo, con il primo mezzo all’esame la ricorrente ha cumulato censure eterogenee (per omessa pronuncia, violazioni di legge e per vizi motivazionali) senza però distinguere tra di essi nell’illustrazione del motivo: in tal modo impedendo un sicuro esercizio nomofilattico. In effetti, non può farsi carico alla Corte di individuare all’interno dell’esposizione ciò che costituisce violazione di legge da ciò che costituisce vizio motivazionale. Difatti (anche dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c.), l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone alla parte sotto il profilo dell’autosufficienza di spiegare quali siano le ragioni della censura. E, appunto, senza che la Corte debba fare opera di supplenza (Cass., sez. 5, n. 2617 del 2015; Cass. sez. 3 n. 18375 del 2010; Cass. sez. 3 n. 12984 del 2006; Cass. sez. 3 n. 21659 del 2005; da ultimo, Sez. 6-3 del 17.7.2017, n. 7009, cfr., anche, Sez. II, 23.10.2018, 6790 secondo cui “in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate”);

– peraltro, con il primo motivo, la ricorrente nel denunciare, da un lato, la carenza motivazionale della CTR quanto alla ritenuta legittima applicazione degli studi di settore – basata solo sulle risultanze dei calcoli dei parametri- e alla correlata omissione di pronuncia su tutte le domande dell’appello, nonchè, dall’altro, la erronea applicazione dell’art. 114 c.p.c., non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata che, lungi dal fare applicazione dell’art. 114 c.p.c., ha chiaramente affermato che il provvedimento impositivo in questione aveva “tracciato solo parzialmente le motivazioni della rettifica effettuata sulla dichiarazione prodotta per l’anno 2004”; pertanto, nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza, sono tali da disvelare quale sia la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, tendendo ogni altra argomentazione sottesa alla proposta censura in ogni caso ad una inammissibile rivalutazione di fatti e risultanze probatorie come accertate dal giudice di appello;

– quanto al secondo motivo, questo si profila, in primo luogo, inammissibile in quanto la ricorrente, sotto le spoglie dell’assunto vizio motivazionale, ha, in sostanza, dedotto un vizio di violazione di legge che non risponde quindi all’archetipo della censura denunciata, non avendo rilevanza un’insufficiente motivazione in diritto (v. da ultimo, Cass. n. 1787 del 2019);

– in ogni caso, la censura tende ad una inammissibile rivalutazione in sede di legittimità di un accertamento di merito effettuato dal giudice di appello che ha ritenuto, nella specie, sussistente una parziale motivazione del provvedimento impugnato quanto agli elementi probatori a supporto del rilevato scostamento tra quanto dichiarato e i risultati della GE.RI.CO; ciò, peraltro, in conformità con l’insegnamento di questa Corte secondo cui “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (da ultimo, Cass. sez. 5, Sentenza n. 9484 del 12/04/2017); peraltro, da ultimo, “La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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