Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16897 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/08/2016, (ud. 06/06/2016, dep. 10/08/2016), n.16897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4243-2015 proposto da:

F.G., C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE VATICANO 45, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

GABRIELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA CARBONE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.T.A.V. SERVIZI TRASPORTI AUTOMOBILISTICI VIGEVANESI S.P.A. C.F.

00174500181, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa dagli

avvocati RICCARDO FUSCO, ANDREA UBERTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1030/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/11/2014 r.g.n. 1214/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato MOSCA PAOLA per delega Avvocato CARBONE ANTONELLA;

uditi gli Avvocati UBERTI ANDREA e FUSCO RICCARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

i Con la sentenza n. 1030 del 2014, la Corte d’appello di Milano,

decidendo in sede di reclamo nel procedimento promosso ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 ss., andando di diverso avviso rispetto ai giudici di primo grado, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato da S.T.A.V. Servizi trasporti automobilistici vigevanesi s.p.a. a F.G. in data 7 giugno 2013, in ragione della cessazione dell’appalto per il trasporto sulla linea urbana di Magenta cui egli era stabilmente addetto, e condannava il F. a restituire l’importo di Euro 19.250,00 percepito in esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 febbraio 2014, oltre interessi legali dalla data di ricezione della somma sino al saldo. Rigettava le domande proposte dal F. e compensava tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

A sostegno della decisione, la Corte argomentava:

– che l’eccezione del F. d’inammissibilità dell’opposizione proposta da Stav s.p.a non era fondata, in considerazione della mancanza di natura impugnatoria del giudizio di opposizione e del fatto che contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del lavoratore – l’ordinanza resa all’esito della fase sommaria era stata prodotta dalla società nel fascicolo di parte depositato in cancelleria all’atto della costituzione in giudizio, sicchè era del tutto ininfluente il fatto che detto documento non risultasse nell’elenco ad esso allegato;

– che l’assegnazione del F. al servizio in appalto presso il comune di Magenta, effettuata il 5 settembre 2012, rispondeva esclusivamente ad una scelta organizzativa ritenuta necessaria per fronteggiare i servizi in maniera più funzionale;

– che, trattandosi di licenziamento individuale plurimo, l’azienda non era tenuta ad applicare i criteri di scelta previsti dall’art. 5 della L. n. 223 del 1991 nell’individuazione del lavoratore da licenziare, sicchè legittimamente aveva licenziato i lavoratori addetti all’appalto cessato;

– che la società aveva assolto all’onere di dimostrare l’impossibilità del repechage, considerato che nessuna assunzione a tempo indeterminato per mansioni di autista a tempo pieno era stata fatta dall’azienda in epoca successiva al 7 giugno 2013, e che le assunzioni effettuate a termine con orario part-time al 50% erano state determinate dal fatto che a seguito della disdetta da parte delle organizzazioni sindacali in data 12/4/2003 degli accordi aziendali e della conseguente riduzione del nastro lavorativo da 14 a 12 ore, Stav aveva dovuto consentire il cambio di autista prima della ripartenza del mezzo per completare la copertura delle corse, ma che non era possibile sommare le ore marginali in maniera da ottenere un orario a tempo pieno, stante la dislocazione in luoghi e tempi diversi delle tratte di servizio. Ha aggiunto che la società aveva offerto al F. davanti alla Direzione territoriale del lavoro nella fase pre-contenziosa l’assunzione con contratto part-time al 50%, ma che il lavoratore aveva rifiutato la proposta.

Per la cassazione della sentenza F.G. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso

Servizi trasporti automobilistici vigevanesi s.p.a. che ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo, il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 358, 414 e 416 c.p.c. e dell’art. 87 disp.att.c.p.c..

Il motivo attinge la sentenza della Corte d’appello laddove non ha accolto l’eccezione d’inammissibilità dell’opposizione proposta da Stav s.p.a., che era stata già proposta al giudice di primo grado e reiterata in sede di reclamo, in considerazione del fatto che non risultava essere stata depositata al momento dell’iscrizione della causa a ruolo l’ordinanza resa dal primo giudice all’esito della fase sommaria ex L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, che aveva riconosciuto l’illegittimità del licenziamento comminato al F.. Sostiene che l’ordinanza non era stata allegata al fascicolo dell’impugnazione, ma solo attaccata successivamente con del nastro adesivo fuori dal fascicolo di controparte, senza che su tale documento aggiunto fosse stato apposto il timbro attestante l’avvenuto deposito. La Corte territoriale avrebbe dovuto quindi dichiarare l’improcedibilità del giudizio, considerata anche la natura impugnatoria del giudizio a cognizione piena.

1.1. Il motivo non è fondato.

La decisione sull’aspetto in scrutinio è stata fondata dalla Corte territoriale su due concorrenti argomentazioni: la mancanza di natura impugnatoria del giudizio di opposizione, che escluderebbe l’applicazione dell’art. 347 c.p.c., nonchè il fatto che l’ordinanza fosse stata prodotta dalla società, inserita tra i documenti presenti nel fascicolo di parte depositato in cancelleria all’atto della costituzione.

1.2. La critica alla prima argomentazione non è fondata.

Costituisce orientamento di questa Corte (Cass. SU ord. n. 19674 del 2014, Cass. n. 3136 del 2015, n. 4223 del 2016), che ha ricevuto l’autorevole avallo della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 78 del 2015 e ord. n. 275 del 2015 e ord. n. 72 del 2016) quello secondo il quale la fase dell’opposizione prevista dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l’ordinanza: essa non è, in altre parole, una revisio prioris instantiae, ma solo la (eventuale) prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente. In linea con tale orientamento, si è anche affermato (Cass. n. 25046 del 2015) che l’opposizione può investire nuovi profili soggettivi ed oggettivi, tra i quali le eccezioni in senso stretto non sollevate dall’interessato durante la fase sommaria. Ne consegue che i requisiti dell’atto introduttivo non sono quelli previsti per il giudizio di gravame, bensì quelli dell’art. 414 c.p.c., peraltro espressamente richiamato dal sopra richiamato art. 1, comma 51.

1.3. La critica all’ulteriore ratio decidendi è poi inammissibile, in quanto introduce una valutazione meramente contrappositiva alla ricostruzione fattuale della Corte territoriale.

1.4. L’omessa produzione dell’ordinanza non potrebbe comunque determinare tout court l’improcedibilità del ricorso in opposizione, anche ritenendone (il che non è) la natura impugnatoria, considerato che la più recente giurisprudenza di questa Corte, sul presupposto che l’art. 347 c.p.c., comma 2, prevede bensì che l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza impugnata, ma non commina la sanzione dell’improcedibilità (invece contemplata dall’art. 348 c.p.c. per la mancata costituzione nei termini o per la mancata comparizione dell’appellante alla prima udienza ed a quella successiva all’uopo fissata), conclude che il precetto enunciato dall’art. 347 c.p.c., comma 2, mira solo a garantire la possibilità dell’esame della sentenza impugnata da parte del giudice d’appello, che non può pronunciare nel merito esclusivamente se, in ragione della mancata produzione, egli non disponga di elementi sufficienti ad esprimere la propria decisione (Cass. n. 27536 del 2013, n. 238 del 11/01/2010, n. 2171 del 28/01/2009).

2. Come secondo motivo, il ricorrente deduce la manifesta insussistenza del fatto posto a sostegno del licenziamento e l’omessa valutazione degli elementi probatori da lui offerti. Ribadisce la tesi, recepita dal giudice di primo grado, secondo la quale il suo spostamento sull’appalto in essere con il comune di Magenta nel mese di settembre 2012 era del tutto privo di giustificazione ed era stato disposto unicamente al fine di poterlo includere tra i dipendenti in futuro esubero, in considerazione del fatto che alla data del trasferimento l’azienda era ben consapevole del fatto che tale appalto, per una molteplice serie di ragioni e per la sua espressa volontà, non sarebbe stato rinnovato.

3. Come terzo motivo, il F. denuncia omessa e/o erronea pronuncia su di un punto fondamentale della controversia e lamenta che la Corte d’appello abbia totalmente omesso di pronunciarsi in ordine alla rilevata assenza di dimostrazione da parte di STAV s.p.a. circa il numero dei lavoratori necessari a coprire i servizi in appalto con il comune di Magenta. Ribadisce che il giudice di prime cure aveva argomentato che il servizio urbano su Magenta era ormai destinato ad essere dismesso, sicchè non si giustificava il potenziamento del relativo organico con il trasferimento del ricorrente, che sino al 4 settembre 2012 se n’era occupato solo sporadicamente e per lo più in sostituzione di colleghi impediti.

3.1. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, attingendo entrambi la motivazione della Corte territoriale che ha ritenuto che l’assegnazione del F. al servizio in appalto presso il comune di Magenta fosse determinata da effettive ragioni organizzative.

Essi sono entrambi inammissibili.

Occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere oggi censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

3.2. Nel caso, è da escludere che ci si trovi innanzi ad una di quelle patologie estreme dell’apparato argomentativo che i due motivi vorrebbero suggerire, considerato che gli aspetti riguardati sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, sicchè la motivazione non può dirsi omessa, nè può procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

E difatti, la Corte d’appello alle pagine quattro e seguenti della motivazione ha contestato le analoghe argomentazioni proposte in quella sede dall’appellante, evidenziando che il passaggio del F. al servizio in appalto presso il comune di Magenta rispondeva esclusivamente ad una scelta organizzativa, ritenuta necessaria per fronteggiare i servizi in maniera più funzionale. La Corte infatti ha precisato che il F. era andato a coprire la posizione di un collega che era stato mandato altrove, e che la concatenazione di eventi relativi all’appalto non consentiva di sostenere che Stav prevedesse di dismettere il servizio, in considerazione dei reiterati tentativi – purtroppo infruttuosi – di mantenerlo, nè la circostanza che il licenziamento sia stato comunicato al lavoratore un giorno prima della scadenza dell’ultima proroga, che sarebbe stata ignorata dalla Corte d’appello, risulta decisiva al fine di supportare una diversa ricostruzione fattuale. Ha poi accertato che per la copertura del servizio sull’appalto di Magenta si rendevano necessari quattro turni, che erano stati organizzati inizialmente con due operatori fissi ed altri a rotazione, passando poi ad assegnare sulla linea quattro operatori fissi, tra cui F. dal settembre 2012, richiamando le deposizioni testimoniali in tal senso.

4. Come quarto motivo, il ricorrente deduce erronea interpretazione dell’art. 1175 c.c. in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 5, violazione dei criteri di scelta e omessa motivazione. Lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’azienda non doveva operare alcuna scelta tra il personale da licenziare, in quanto solo i lavoratori assegnati all’appalto cessato ne erano stati coinvolti, sicchè nessuna giustificazione avrebbe avuto il coinvolgimento anche di lavoratori che operavano su appalti differenti. Sostiene che la scelta avrebbe dovuto invece essere operata sull’intera compagine aziendale degli autisti (lavoratori aventi mansioni fungibili con le sue) e che in tale ambito avrebbe dovuto svolgersi la comparazione, in applicazione dei criteri di scelta previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5.

4.1. Il motivo non è fondato, avendo la Corte territoriale fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte di legittimità, secondo i quali nell’ipotesi di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo, opera la disciplina dettata per tale tipologia di recesso, e non quella prevista per i licenziamenti collettivi (Cass. n. 1526 del 2003), che impone tra l’altro l’applicazione dei criteri di scelta previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5. Nell’individuazione del soggetto (o dei soggetti) da licenziare, il datore di lavoro deve comunque operare in coerenza con i principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio ed il riferimento ai suddetti criteri, pur non costituendo un obbligo, costituisce uno standard particolarmente idoneo a tenere conto degli interessi del lavoratore e di quello aziendale (Cass. n. 6667 del 09/05/2002, Cass. n. 7046 del 28/03/2011); quando poi, come nel caso, siano licenziati tutti i lavoratori addetti all’appalto, si introduce un elemento di oggettivazione della scelta, coerente con il richiamato precetto normativo, la cui violazione non è stata del resto prospettata dal ricorrente sotto altri profili.

5. Come quinto motivo, si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia disatteso la soluzione sposata da entrambi i giudici di primo grado, che avevano ritenuto che non fosse stata assolta da parte dell’azienda la prova dell’impossibilità di riutilizzare il lavoratore (obbligo di repechage). Lamenta inoltre che la Corte di merito gli abbia addossato l’onere di indicare specificamente la posizione in cui avrebbe potuto essere ricollocato. Sostiene che egli aveva dato dimostrazione non solo della lacunosità delle giustificazioni addotte dall’azienda, ma del fatto che tutte le posizioni in azienda, o perlomeno quelle riguardanti gli autisti, erano tra di loro fungibili e quindi egli avrebbe potuto indistintamente essere ricollocato su una qualsiasi di esse.

5.1 Neppure tale motivo è fondato.

La Corte territoriale ha valutato le emergenze fattuali rilevanti sotto l’aspetto prospettato, ed ha ritenuto che l’azienda avesse dimostrato che non vi era possibilità di utilizzare il F. con orario pieno su altri servizi, in quanto non esistevano posti vacanti a tempo pieno, ma solo posizioni con orario part-time al 50% per le quali l’azienda aveva fatto ricorso nel maggio 2013 a contratti a tempo determinato, nè poteva imporsi all’azienda di modificare l’intera organizzazione del lavoro per creare un posto di lavoro diversamente inesistente. Ha aggiunto che STAV aveva offerto a F. davanti alla direzione territoriale del lavoro nella fase pre-contenziosa l’assunzione con contratto part-time al 50%, proposta che tuttavia egli aveva rifiutato, ed ha ritenuto non significativa l’assuzione per due mesi con orario pieno di altra lavoratrice nel settembre 2013, in quanto determinata da esigenza insorta in quel momento.

5.2. Il motivo quindi si traduce quindi anch’esso nell’inammissibile richiesta di rivalutazione della emergenze fattuali, puntualmente e compiutamente esaminate dalla Corte territoriale.

6. In definitiva, il ricorso dev’essere respinto, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

In considerazione della data di notifica del ricorso, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo unificato per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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