Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16892 del 10/08/2016
Cassazione civile sez. III, 10/08/2016, (ud. 06/06/2016, dep. 10/08/2016), n.16892
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – rel. Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12327-2013 proposto da:
C.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GUIDO RENI 2, presso lo studio dell’avvocato MARINA SARACINI, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AZIENDA TERRITORIALE EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA COMUNE ROMA in
persona del Direttore Generale pro tempore P.R.,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLUCCI DE CALBOLI 20-E,
presso lo studio dell’avvocato EDMONDA ROLLI, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5574/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 21/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/06/2016 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;
udito l’Avvocato ATTILIO TERZINO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine
per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 21 novembre 2012, con la quale è stato confermato il rigetto della opposizione al decreto di rilascio di un immobile sito nel Comune di Roma emesso dall‘ATER il 5 marzo 2008.
Il ricorso è articolato in due motivi
Resiste con controricorso l’ATER.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.La Corte d’appello di Roma ha ritenuto che la ricorrente ed il di lei marito, M.D., non avessero diritto al subentro nella concessione dell’immobile intestata M.A., padre di D., in quanto non vi era la prova della stabile e continua occupazione dell’alloggio da parte della signora C. e del suo nucleo familiare prima del decesso del suocero.
A tal fine ha dato rilievo alla circostanza che secondo il rapporto dell’allora Istituto Autonomo case popolari della provincia di Roma, redatto pochi giorni prima della morte dei coniugi M. avvenuta in Jugoslavia, l’appartamento in questione risultava occupato dai medesimi e da un ospite straniera di cui veniva indicato il nome, mentre tutti certificati anagrafici attestavano la residenza nell’appartamento di M.D. e della C. solo in date successive al decesso; che inoltre non era avvenuto il subentro nella concessione avendo il legislatore regionale previsto, a tutela della destinazione sociale del patrimonio residenziale pubblico, la procedura di ampliamento del nucleo dei conviventi aventi diritto all’eventuale subentro, procedura che non c’era stata.
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
3. Il motivo è infondato ed in parte inammissibile.
Infatti la censura non coglie la ratio decidedi della motivazione, là dove afferma che le risultanze anagrafiche sono confortate anche dal rapporto redatto dall’Istituto Autonomo case popolari pochi giorni prima della morte dei coniugi occupanti dell’immobile che accertava l’esatta composizione del nucleo familiare di cui faceva parte solo un ospite straniero.
Il ricorso non contiene nessuna contestazione sul contenuto ed efficacia del rapporto dell‘IACP.
Inoltre la ricorrente denunzia un vizio di motivazione nella vigenza del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 ed il vizio non è formulato secondo il modello legale introdotto dalla modifica legislativa ed applica bile alla sentenza impugnata in considerazione della data di pubblicazione.
4. Con il secondo motivo si censura la violazione della L.R. Lazio n. 33 del 1987, artt. 20 e 21 il luogo della L.R. Lazio n. 42 del 1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
5. Il motivo è inammissibile in quanto introduce una questione nuova che non risulta proposto con il motivo di impugnazione.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
PQM
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016