Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16892 del 02/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 02/08/2011), n.16892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.R., elettivamente domiciliata in Roma, via Panama n.

74, presso lo studio dell’Avv. Iacobelli Gianni Emilio, che lo

rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’Avv. Fiorillo Luigi, che la rappresenta e

difende per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4570/2008 della Corte d’appello di Roma,

pronunziata in causa n. 5004/06 r.g. lav., depositata in data

4.05.2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 25.05.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

CESQUI Elisabetta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- S.R. chiedeva al giudice del lavoro di Roma di dichiarare nullo il termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.6-31.7.98, stipulato per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, ai sensi dell’art. 8 del CCNL per i dipendenti postali 26.11.94.

1. Rigettata la domanda e proposto appello dalla lavoratrice, la Corte d’appeDo di Roma, con sentenza depositata in data 4.5.09, rigettava l’impugnazione per un duplice ordine di motivi.

Innanzitutto era realizzato l’effetto estintivo del rapporto di lavoro per mutuo consenso, atteso che l’azione giudiziaria era stata intrapresa dopo più di cinque anni e che, in ragione dell’unicità del rapporto, il lavoratore non aveva mai dato segno di interesse al ripristino.

Il giudice rilevava inoltre che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8, comma 2, del CCNL Poste 26.11.94. Per la legittimità dell’assunzione era, dunque, chiesto non che il lavoratore fosse assunto per sostituire un dipendente nominativamente indicato o che fosse indicata la causa specifica della sostituzione, ma solo che l’assunzione era stata necessitata da esigenze di servizio che non potevano essere soddisfatte per l’assenza per ferie del personale nel periodo giugno-settembre.

3.- Avverso questa sentenza S. proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva Poste Italiane con controricorso.

Il consigliere relatore ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c. ha depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza.

S. ha depositato memoria.

4.- I motivi dedotti da S. possono essere sintetizzati come segue.

4.1.- violazione degli artt. 100, 101, 112 e 418 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. in quanto il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare di ufficio l’avvenuta decadenza di Poste Italiane dalla domanda di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, atteso che la società non aveva chiesto la fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c..

4.2.- violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 416 e 418, 434, 436 e 437 c.p.c., dato che il giudice, pur in mancanza di domanda riconvenzionale (o di appello incidentale), è andato extra petitum pronunziando sull’eccezione di risoluzione del rapporto.

4.3.- violazione degli artt. 1421 e 1422 c.c., degli artt. 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., atteso che l’azione di nullità è imprescrittibile e che il decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione dell’azione di per sè non costituisce elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà della parte di risolvere il rapporto. In ogni caso, le circostanze risultanti agli atti non avrebbero dovuto condurre il giudice a ritenere esistente il mutuo consenso.

4.4.- violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697 e 2729 in tema di onere della prova, e degli artt. 1362 e segg. c.c. per errata interpretazione dell’art. 8 del CCNL 1994 e conseguente violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1, 2 e 3, in relazione a: mancanza di prova dell’effettiva fruizione delle ferie da parte del personale in servizio; sostituzione del personale in ferie con personale a termine; mancata indicazione del nominativo del lavoratore da sostituire;

4.5.- violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alla L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 3, per la violazione del principio di legalità costituzionale e del diritto del lavoratore e dell’interprete di procedere al controllo di legalità tra la fattispecie astratta indicata nella clausola contrattuale e la fattispecie concreto oggetto di giudizio.

4.6.- violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 1994 ed all’art. 2074 c.c., e dell’art. 2727 c.c., non essendo stato esaminata ex officio dal giudice di appello la questione dell’inapplicabilità della clausola dell’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.97, che non avrebbe potuto trovare applicazione, essendo stato il contratto de quo stipulato dopo il 31.12.97, data di cessazione del vigore del contratto collettivo.

4.7.- violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. e degli artt. 1362 e segg. in tema di interpretazione della clausola di contingentamento di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.94, per l’omessa pronunzia sul capo della domanda relativo ed il 1 mancato assolvimento da parte di Poste Italiane dell’onere probatorio circa il non superamento del limite percentuale annuale di assunzione a termine rispetto al personale a tempo indeterminato.

5.- Avendo la sentenza di merito posto a fondamento del rigetto dell’impugnazione un doppio ordine di motivazioni ed avendo la ricorrente impugnato tanto la motivazione formulata a proposito dell’accettazione della risoluzione del contratto (motivi da 4.1 a 4.3), quanto quella in punto di legittimità del termine (motivi da 4.4 a 4.7), il consigliere relatore ha proposto al Collegio un duplice ordine di considerazioni, entrambe dirette al rigetto del ricorso.

Il Collegio, considerato che nel caso le censure mosse nei confronti di una delle argomentazioni adottate dal giudice di merito risultassero infondate l’argomentazione vincente sarebbe di per sè idonea a sostenere il decisum della sentenza impugnata – il che renderebbe superfluo l’esame della censura ulteriore – ritiene opportuno prendere prioritariamente in esame i motivi dedotti contro la parte della motivazione che ha ritenuto legittima l’apposizione del termine (motivi da 4.4. a 4.7).

6.- I motivi quarto e quinto (n. 4.4 e 4.5), da trattare congiuntamente in ragione della connessione tra di loro esistente, sono infondati in forza della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

Il contratto a termine in esame fu motivato dalla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre”, in forza di fattispecie prevista esplicitamente dall’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.3.07 n. 4933), decidendo su una fattispecie analoga ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva è del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla legge n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.u., 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94, per il quale “l’Ente potrà valersi delle prestazioni di personale con contratto a termine …

anche nei seguenti casi: necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre …”, usando una formula diversa da quella della L. n. 230 del 1962 testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di assunzione a termine, in ragione dell’uso dell’espressione in concomitanza, sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno- settembre).

Altre decisioni (cfr. Cass. 6.12.05 n. 26678) hanno, inoltre, confermato le decisioni di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

7.- Il sesto motivo (n. 4.6) è inammissibile. Deve rilevarsi, infatti, che l’impugnazione è priva di autosufficienza, in quanto risulta menzionato, ma non riportato nel testo, l’art. 87 del c.c.n.l. 26.11.94 che, secondo l’assunto di parte, disciplina la decorrenza e la durata del contratto.

Non è precisato, inoltre, se tale testo sia mai stato sottoposto al giudice di merito, il che non consente di valutare se sussista il dedotto omesso esame, atteso che, in mancanza di esplicita deduzione, il giudice non avrebbe potuto prendere cognizione della norma, in ragione della sua natura negoziale.

8.- E’ inammissibile per genericità anche il settimo motivo (n. 4.7).

Al fine di soddisfare il requisito dell’autosufficienza, la ricorrente sostiene di aver dedotto in primo e secondo grado la violazione, da parte del datore di lavoro, della clausola del c.c.n.l. 1994 (art. 8, comma 3) per la quale “Il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine non potrà superare la quota percentuale massima del 10% rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato”, affermando, inoltre, che parte datoriale ha prodotto documentazione insufficiente e inattendibile.

Non risulta in questa sede quale sia stata la posizione della ricorrente, assunta nel giudizio di merito, a proposito dell’erroneità del dato o, quantomeno, della sua inattendibilità, risultando proposta solo la doglianza di mancato assolvimento dell’onere probatorio. Formulata in questi termini, l’impugnazione è generica, in quanto si limita a rimarcare il principio della spettanza a carico del datore dell’onere probatorio, senza prendere posizione sull’idoneità della posizione difensiva da lui assunta per soddisfare l’onere in questione.

8.- In conclusione, il termine deve ritenersi correttamente apposto, il che rende superfluo l’esame dei motivi sub 4.1, 4.2 e 4.3.

Pertanto, assorbiti i motivi primo, secondo e terzo, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30 (trenta) per esborsi ed in Euro 3.000 (tremila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2011

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