Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16888 del 10/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/08/2016, (ud. 05/05/2016, dep. 10/08/2016), n.16888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18757-2013 proposto da:

A.A., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE MASALA, ANTONIO MARIA COCCO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del Presidente e

legale rappresentante Dott. P.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL CONSOLATO 6, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO SERRA, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale in al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2013 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata

il 08/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 75 del 2011 il Giudice di pace di Pattada (SS) accoglieva la domanda proposta da A.A. in data 22.07.2010 nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (già AXA Sim s.p.a., cui è subentrata la MPS Sim s.p.a., infine Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. di seguito, brevemente, “Banca MPS”) ai sensi dell’art. 2049 c.c. e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, n. 3 per la condotta del promotore finanziario AXA Sim C.S., che non aveva trasmesso i contratti stipulati con l’attore e incamerato i relativi investimenti; condannava, quindi, la convenuta al risarcimento dei danni in ragione di Euro 5.000,00.

La decisione, gravata da impugnazione della Banca MPS, era riformata dal Tribunale di Sassari, il quale con sentenza m. 23 in data 08.01.2013 rigettava la domanda, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale tempestivamente proposta dalla Banca e condannava l’appellato alla restituzione dell’importo percetto in forza della sentenza di primo grado, nonchè al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A., svolgendo due motivi.

Ha resistito la Banca MPS, depositando controricorso e deducendo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale, muovendo dalla considerazione che sulla base delle deduzioni in citazione e della ricostruzione dei fatti emergente dall’istruttoria dibattimentale e dalla prodotta documentazione, la condotta posta in essere dal promotore era riconducibile all’art. 640 c.p., ha:

innanzitutto escluso che rilevassero gli altri reati contestati al promotore finanziario e per i quali era stato giudicato, giacchè l’applicabilità del più lungo termine previsto dall’art. 2947 c.c., comma 3 postula la coincidenza tra l’illecito civile e quello penale;

quindi, rilevato che – una volta esclusa, per il principio del favor rei, l’operatività del termine di sei anni di prescrizione conseguenti a interventi legislativi successivi al fatto per cui è causa – il termine di prescrizione applicabile, decorrente dalle singole truffe e quindi, dalla stipula dei contratti, era quello quinquennale (coincidente con quello dell’illecito civile);

infine – considerato che l’ultimo contratto con relativa consegna dei contanti, risaliva alla data 20.12.2000 ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione tempestivamente proposta dalla Banca MPS, per la considerazione che il primo atto interruttivo era individuabile nella lettera 31.01.2006 pervenuta in data 15.02.2006, oltre il termine quinquennale, precisando che nessuna valenza interruttiva poteva ascriversi alla presentazione della denuncia-querela e alla missiva 19.02.2001, avente ad oggetto solo la trasmissione della documentazione richiesta dalla SIM per poter accertare i rapporti di investimento in essere con l’investitore.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, artt. 61 c.p., nn. 2 e 11 e art. 81 cpv. c.p., artt. 157, 416 e 640 c.p. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente deduce che il Tribunale ha errato nel non valutare il fatto dannoso costituente reato commesso dal promotore finanziario che, considerato in ogni suo elemento costitutivo, avrebbe dovuto essere qualificato come truffa continuata e pluriaggravata, dal concorso delle circostanze di cui all’art. 61 c.p., nn. 2 e 11 con l’ulteriore circostanza fattuale che tale reato era stato commesso in forma associativa; di conseguenza il termine di prescrizione sarebbe stato di anni 10 e in base alla L. n. 251 del 2005 di anni 9, con la conseguenza che al momento della diffida del 31.01.2006 non era ancora decorso; osserva che la valutazione operata dal Tribunale è altresì illegittima in quanto nel procedimento con rito abbreviato conclusosi a carico del C. con sentenza Tribunale Sassari n. 481 del 2009, l’ex promotore finanziario era imputato dei medesimi reati (art. 416 c.p., commi 1 e 2, art. 81 cpv., art. 110 c.p., art. 646 c.p., commi 1 e 3, art. 61 c.p., n. 11, art. 81 cpv c.p., art. 110c.p., art. 640c.p., commi 1 e 3, art. 61 c.p., nn. 2 e 11, D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 110, art. 166, comma 2, art. 110 c.p., D.Lgs. n. 58, art. 116, comma 2) di cui erano imputati i suoi complici giusta sentenza n. 1878 del 2009 depositata dalla resistente; osserva che da siffatta qualificazione il giudice civile non avrebbe potuto discostarsi.

1.1. Il motivo è, per una parte, infondato e, per altra, inammissibile.

1.1.1. Sotto il primo versante si osserva che la tesi assunta nella decisione impugnata – secondo cui non rilevano i termini di prescrizione eventualmente maggiori relativi ad altri reati (e in specie al reato-mezzo di associazione per delinquere) pure contestati al promotore finanziario, ma estranei, alla singola fattispecie che ha visto quale persona offesa l’odierno ricorrente – è conforme a principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, in ragione del quale ai fini dell’applicabilità della più lunga prescrizione eventualmente prevista dalla legge penale, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3 deve operarsi un raffronto tra il fatto illecito dedotto in giudizio ed il fatto-reato, escludendo dal raffronto l’interesse penale protetto (Cass. 04 dicembre 1992, n. 12919; Cass. 28 luglio 1975 n. 2918).

Invero l’art. 2946 c.c., comma 3, prima parte, invocato da parte ricorrente – disponendo che “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile” – postula la coincidenza degli elementi soggettivi e oggettivi del fatto dedotto a fondamento della pretesa risarcitoria con quella del reato di cui si invoca la prescrizione più lunga, ancorchè l’evento di danno che integra l’illecito civile non debba necessariamente coincidere con l’interesse protetto dalla norma penale. Tanto emerge dall’inequivoco tenore letterale della norma ed è conforme alla ratio della disposizione che è quella di consentire, a chi avrebbe diritto al risarcimento dei danni, di attendere la definizione del giudizio penale per l’accertamento del reato, con cui coincida l’illecito civile, dal quale è derivato il danno.

In tale prospettiva si rivela all’evidenza non pertinente, riguardando diversa eventualità, il principio richiamato dal ricorrente, secondo cui ai fini dell’art. 2947 c.c., comma 3 non rileva l’eventuale derubricazione dell’originaria imputazione ovvero l’applicazione di attenuanti ritenute all’esito del giudizio penale.

1.1.2. L’inammissibilità del motivo consegue alla genericità delle allegazioni dedotte a fondamento; e ciò sia per la parte in cui si profila l’applicabilità delle aggravanti di cui all’art. 61 c.p., ai nn. 2 e 11 al fatto illecito individuato come produttivo del danno, senza specificamente individuare gli elementi acquisiti al giudizio di merito ed eventualmente pretermessi dal giudice di appello (chè, anzi, dalle stesse allegazioni del ricorrente si evince che non era affatto documentato quale fossero i capi di imputazione contestati al C.); sia per la parte in cui si postula assertivamente la coincidenza tra i capi di imputazione contestati ad “alcuni complici” del C. di cui alla sentenza n. 1878/2009 e quelli contestati allo stesso C. nel giudizio definito con rito abbreviato giusta sentenza n. 481/2009, atteso che manca la specifica indicazione dei contenuti da porre a confronto e – come emerge dall’elencazione dei documenti in calce al ricorso – siffatta documentazione non rientra neppure tra quella specificamente posta a fondamento del ricorso.

In definitiva il motivo va rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 1, artt. 2935 e 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente deduce che il Tribunale ha errato nell’individuare il dies a quo della prescrizione, non tenendo nel giusto conto le prove documentali prodotte in atti; dovendosi aver riguardo al momento di avvenuta conoscenza e percezione del danno, da individuarsi nella lettera 06.03.2001 da parte di AXA Sim s.p.a., con cui la stessa aveva dato notizia ad esso ricorrente del mancato invio dei contratti e dei relativi importi; lamenta, dunque, che il Tribunale abbia contravvenuto al dettato degli artt. 115 e 116 c.p.c., ignorando un documento fondamentale, quale la cit. lettera in data 06.03.2001, che aveva formato oggetto di discussione nel giudizio di appello, sia nella memoria di costituzione e di risposta, che nelle memorie conclusionali.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto – considerato che della specifica questione della conoscenza o conoscibilità della truffa dalla lettera AXA in data 06.03.2001 non vi è traccia nella sentenza impugnata e che, dal canto suo, la resistente rileva che non viene ritrascritto il contenuto del documento nè specificato a quali contratti o importi si riferisca – sarebbe stato onere del ricorrente, nel richiamare la produzione documentale effettuata nel giudizio di merito, di precisare di avere specificamente allegato nel corso dello stesso giudizio i fatti (asseritamente) emergenti dal documento prodotto a sostegno della sua (attuale) prospettazione.

Questa Corte è, infatti, costante nel ritenere che produrre un documento nel processo civile è attività che fa entrare nel processo il documento, ma compete alla parte – salvo il potere del giudice di desumere dal documento i fatti che rappresenta d’ufficio, se si tratta di fatti il cui potere di rilevazione non è riservato alla parte, come invece i fatti costitutivi della domanda o le eccezioni in senso stretto – allegare i fatti emergenti dal documento prodotto a sostegno della sua prospettazione. Inoltre, ove una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 9 aprile 2001, n. 5255; Cass. 12 settembre 2000, n. 12025).

Inoltre il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 in correlazione con l’art. 369 c.p.c., n. 4 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento; tanto al fine di positivamente circoscrivere l’ambito d’inevitabile soggettività della correlativa valutazione (cfr. Cass. 11 febbraio 2011 n. 3522 in motivazione). La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il motivo di ricorso inammissibile.

Nel caso di specie, dunque, sarebbe stato onere del ricorrente di allegare la tempestiva introduzione nel processo, rispetto al giudicante di secondo grado, della questione prospettata con il motivo all’esame, vuoi facendo specifico riferimento al contenuto degli atti difensivi in cui sarebbe stata discussa la questione della conoscenza o conoscibilità del danno dalla lettera di AXA Sim, vuoi riportando quantomeno nei suoi punti salienti il medesimo documento, asseritamente fondamentale. Orbene siffatto onere, rilevante ai fini dell’osservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e, più in generale, della specificità del motivo, non può ritenersi assolto con il generico assunto che il documento, il cui esame sarebbe stato erroneamente pretermesso dal giudice di appello, aveva “formato oggetto di discussione” nella memoria di costituzione, senza la precisa indicazione delle ragioni della discussione; mentre si rivela del tutto indifferente l’ulteriore riferimento alle memorie conclusive, nel quale non avrebbero potuto essere introdotti nuovi temi di dibattito; in ogni caso, resta preclusa qualsiasi valutazione sulla decisività del documento, posto a fondamento del motivo, anche per l’assenza della trascrizione in ricorso del medesimo documento, quantomeno nelle parti ritenute significative.

In conclusione l’esame complessivo dei motivi conduce al rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016

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