Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16886 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 11/08/2020), n.16886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 15101-2012 R.G, proposto dalla società

Acsi Web srl, rappresentata e difesa dall’avv.to Rocco Falotico,

elettivamente domiciliata in Roma Viale Giulio Cesare n. 78.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dei Lazio

n. 808/14/11 depositata il 21 dicembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

La società ACSI WEB srl ha proposto ricorso per cassazione della sentenza della CTR dei Lazio n. 808/14/11 depositata il 21/12/2011.

La vicenda tra origine dalla notifica dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004, per maggiori IRES, IRAP e IVA.

La società impugnava l’atto impositivo alla CTP di Roma che accoglieva il ricorso.

Viceversa, il gravame dell’Ufficio alla CTR del Lazio sortiva esito ad esso favorevole, con la pronuncia oggetto dell’impugnativa in esame.

Il ricorso è basato su due motivi.

Il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, sul presupposto che l’accertamento fiscale, per le modalità che lo avevano caratterizzato, avrebbe dovuto essere ricondotto all’ipotesi di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, assicurando al contribuente il contraddittorio, invece omesso.

Il secondo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per “omessa motivazione su un punto rilevante” e per “contraddittorietà della sentenza”.

Non ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso, costituitasi solo per la eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Il primo motivo è da ritenersi infondato.

La società ricorrente sostiene che l’Ufficio abbia basato il suo accertamento sull’applicazione degli standard tratti dal sistema informatico “(OMISSIS)” e quindi utilizzando gli studi di settore, nella specie quello denominato TG66U.

Tale assunto appare errato. l’Ufficio, infatti, non ha fondato il suo accertamento sul solo scostamento tra i parametri dello studio di settore e quanto dichiarato. Come, del resto, si rileva dallo stesso avviso di accertamento, inserito nel ricorso per cassazione in esame, l’Amministrazione ha avviato la verifica in base all’esame della stessa contabilità aziendale, che esponeva un andamento economico assai modesto nel periodo immediatamente precedente e successivo all’anno d’imposta considerato, il 2004.

In particolare, nell’arco di tempo dal 2002 al 2005, le perdite di esercizio risultano aver superato gli utili e il solo anno 2003 registra un saldo positivo. Nondimeno, la società, nello tale lasso a saldo negativo, ha incrementato in misura consistente l’impiego di forza lavoro, per numero di unità lavorative e per i costi inerenti a tale voce. Nell’esercizio 2004 i costi assommano ad Euro 165.000,00 a fronte di ricavi dichiarati pari a Euro 186.000,00 circa, con evidente sproporzionata incidenza percentuale.

La ricorrente ha contestato che, fra gli indici valutabili nel caso in esame, potessero essere incluse anche le perdite di esercizio relative all’anno 2005 (quello con maggiori perdite per oltre 15.000,00 Euro), perchè diverso dall’anno oggetto dell’accertamento, cioè il 2004. La deduzione non appare aver pregio ed è, anzi, da ricordare come questa Corte abbia affermato che “ove l’amministrazione finanziaria proceda, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), alla rettifica della dichiarazione presentata dal contribuente, le vicende relative alla situazione patrimoniale di quest’ultimo, anche se di anni diversi da quelli in contestazione, possono costituire legittimi indici di capacità contributiva allorchè si riflettano sui periodo fiscale interessato, traducendosì in ulteriori ed autonomi indici contributivi” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7163 /2014).

Il principio, ancorchè affermato in tema di accertamento tributario delle persone fisiche, ben può trovare applicazione anche in caso di accertamento del reddito d’impresa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d).

L’Ufficio, esaminata la contabilità aziendale, ha, quindi, ritenuto, come esplicitato nell’avviso di accertamento, che il quadro emerso desse luogo a presunzioni semplici, ma corredate dei necessari connotati di gravità precisione e concordanza, inferendone che i ricavi e i volumi di affari non fossero proporzionati ai costi. Circostanze tali da porre ai verificatori l’interrogativo di come la società avesse potuto e potesse sopravvivere, se non ipotizzando una capacità reddituale non dichiarata.

Su tale premessa, ha proceduto ad accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, pervenendo a determinare il maggior reddito non dichiarato e non contabilizzato, indicato nell’avviso di accertamento.

Nè urta con l’adozione di tale procedura di accertamento il mero ausilio dei coefficienti tratti dal software “(OMISSIS)”, per calcolare il margine percentuale operativo lordo medio e raffrontarlo con quello applicato.

Al fine di valutare la corretta valutazione effettuata dalla CTR sull’operato dell’Amministrazione è da ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia più volte affermato che “in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per rantieconomicità del comportamento dei contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave (ex multis Sez. 5 Ord. n. 27552 del 30/10/2018).

Nel caso in esame, le circostanze indiziarie individuate sono state fondatamente considerate dal giudice regionale elementi presuntivi tali da giustificare e rendere l’iter procedimentale dell’Ufficio conforme al richiamato principio di diritto.

La società ha ritenuto che le presunzioni tratte dall’Agenzia delle Entrate siano state valutate erroneamente in rapporto alla particolarità dell’attività della ricorrente, non inquadrabile tra le società di software, ma tra quelle esercenti attività di somministrazione di lavoro ((OMISSIS)), alle quali non sono applicabili “i coefficienti di coerenza e congruità del parametro costo del lavoro elaborato per le software house…”. Assume inoltre – la ricorrente – che avrebbe dovuto essere l’Ufficio “a dimostrare che i parametri indicati corrispondono alla media del settore e a dimostrare che l’attività svolta dalla ricorrente rientra proprio nel settore economico individuato dall’Ufficio. Ciò non è stato fatto e non sarà possibile giacchè l’attività di (OMISSIS) è talmente marginale da non poter contare su un numero significativo di imprese”.

In tal modo, però, la società cade in contraddizione in quanto, da un lato, attribuisce all’Amministrazione l’onere di provare i parametri applicabili alla particolare tipologia di attività svolta dalla società, dall’altro, riconosce che tale onere è, in concreto, inesigibile per l’impossibilità di desumere parametri medi nazionali, propri in un settore di nicchia (quello in cui essa opera), che per la sua ristrettezza non offre dati comparabili con altri omogenei.

La ricorrente ha, in sostanza, dato atto che l’Ufficio ha utilizzato gli unici parametri ufficialmente desumibili dalla classificazione ufficiale di settore ATECOFIN, dalla stessa società indicati come in sè esatti, non essendo collocabile diversamente l’attività da essa svolta, ma, nel contempo, non pertinenti. E’ evidente che, in tal modo, implicitamente, afferma che l’Ufficio aveva operato nell’unico modo che fa situazione data consentiva, e quindi correttamente, così contraddicendo la sua stessa censura.

Pertanto, la decisione impugnata appare immune dal vizio di violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, avendo anzi verificato, il giudice territoriale, che l’Amministrazione aveva agito in conformità, ponendo in essere l’atto di rettifica in base alle specifiche circostanze indiziarie innanzi surricordate, specificando gli indici di inattendibilità della contabilità, desumendone una capacità contributiva non dichiarata.

Gli elementi suindicati, giustificano perciò una presunzione di legittimità sull’operato dell’Ufficio, nel senso che null’altro era tenuto a provare, mentre gravava sul contribuente l’onere contrario di provare l’infondatezza delle presunzioni dell’Amministrazione, soprattutto in relazione ai profili di antieconomicità emersi dall’esame delle annotazioni contabili, pur apparentemente regolari (veggasi Sez. 5, Sent. n. 27804/2018).

E’ poi da ritenere che neanche le ulteriori censure mosse sotto il profilo dell’omesso esame di un punto decisivo, siano fondate.

La CTR, infatti, ha adeguatamente motivato il suo rigetto su due elementi fattuali: a) che la società negli anni dal 2002 al 2005 aveva dichiarato costantemente perdite o utili irrisori; b) che nonostante tali risultati negativi la società aveva notevolmente incrementato il numero del personale e i costi relativi. Da tali aspetti oggettivi aveva tratto il convincimento che tale gestione fosse illogica, tanto da far ritenere inveritiera l’esposizione dei valori contabili.

A fronte di tali valutazioni, la ricorrente aveva dedotto che “il costo del personale non costituisce un elemento negativo per le società di (OMISSIS) in quanto le risorse umane vengono reimpiegate e producono ricavi a giornata/uomo con un modesto mark-up”. Affermazione che non è dato confermare in concreto, nè valutarla attraverso la sequenza contabile (non disponibile) dei ricavi per giornata/uomo e la effettiva quantificazione dei mark-up.

Pertanto, non vi è prova della sua fondatezza in concreto e della sua idoneità a contraddire il giudizio di illogicità e antieconomicità della gestione, formulato dai giudice regionale.

La censura, comunque, si colloca sul piano delle deduzioni e delle argomentazioni e non riferita ad un “fatto” inteso in senso storico/naturalistico, cioè come un preciso accadimento. Così come richiesto perchè il motivo sia ammissibile, alla stregua della modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2. (ex multis Sez. 5, Sent. n. 21152/2014).

Il profilo dedotto, pertanto, è inammissibile.

Nè si colgono nella motivazione profili di incongruenza, evocati dalla ricorrente, che renderebbero l’iter logico-giuridico seguito dalla Commissione territoriale, che anzi appare di agevole percezione.

Anche tale aspetto è perciò da ritenere infondato.

Il ricorso va dunque rigettato. Nulla sulle spese, non avendo svolto l’Agenzia alcuna attività defensionale.

P.Q.M.

Rigetta ii ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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