Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16886 del 05/07/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 16886 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: PICCININNI CARLO

Svolgimento del processo
Con sentenza del 20.4.2011 il Consiglio di Stato
rigettava

gli

appelli

proposti

da

Wind

Telecomunicazioni s.p.a., Telecom Italia s.p.a. e
Eutelia s.p.a contro sentenza del TAR Lazio, che aveva
confermato il provvedimento con il quale l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato aveva
riscontrato l’abuso di posizioni dominanti in
violazione dell’art. 82 del Trattato CE ( ora art. 102
del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ),

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Data pubblicazione: 05/07/2013

disponendo le conseguenti misure sanzionatorie.
In particolare il Consiglio di Stato disattendeva nel
merito le argomentazioni degli appellanti finalizzate
ad

escludere

la

sussistenza

dell’addebito

loro

contestato e, per la parte di interesse, non dava corso

Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 del Trattato
CE ( ora 267 TFUE ) la corretta interpretazione
dell’art.

102 TFUE,

rispetto alla quale sarebbe

risultato dubbio, secondo gli appellanti, se ai fini
dell’accertamento

dell’effetto

escludente

fosse

sufficiente la verificazione del fatto in sè ritenuto
illecito, ovvero fosse anche necessario riscontrare la
sussistenza concreta di effetti pregiudizievoli, che
viceversa sarebbero da escludere ove, pur sussistendo
una posizione preminente della società nel mercato ” a
monte “, la stessa posizione non fosse detenuta nel
mercato ” a valle ”
Avverso la detta decisione Wind Telecomunicazioni ha
proposto ricorso basato su un solo motivo ai sensi
dell’art.

111

Cost.,

cui

hanno

resistito

con

controricorso Telecom Italia, che ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso ed ha pure proposto
_

ricorso incidentale anch’esso affidato ad un motivo,
Fastweb s.p.a., Vodafone Omnitel N.V., Eutelia s.p.a.

alla richiesta di sottoporre in via pregiudiziale alla

in amministrazione straordinaria.
Wind, Fastweb ed Eutelia depositavano infine memoria.
La

controversia

veniva

quindi

decisa

all’esito

dell’udienza pubblica del 14.5.2013.
Motivi della decisione

lamentato che il Consiglio di Stato avrebbe
illegittimamente statuito travalicando i limiti della
propria giurisdizione, non avendo dato corso alla
richiesta formulata da essq, ricorrente di investire la
Corte di Giustizia della questione relativa
all’interpretazione di una norma del Trattato di cui
era stata sollecitata l’applicazione.
In particolare,

secondo l’Autorità Garante della

Concorrenza e del Mercato, il comportamento ritenuto
meritevole di sanzione avrebbe avuto ad oggetto la
condotta posta in essere sul mercato all’ingrosso del
servizio di terminazione delle chiamate sulla propria
rete mobile, con effetti in un diverso mercato rispetto
a quello della terminazione mobile.
Si

tratta

cioè

del

mercato

dei

servizi

di

telecomunicazione originati da una rete fissa,
terminati su rete mobile e destinati ad una clientela
di affari, e rispetto alla condotta oggetto di
attenzione l’Autorità aveva ritenuto di accertare che

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Con il ricorso principale Wind Telecomunicazioni ha

la Wind avesse praticato alla proprie divisioni
commerciali condizioni economiche più favorevoli di
quelle praticate agli altri operatori di rete fissa,
con l’ulteriore effetto tendenziale dell’esclusione dei
concorrenti dal mercato dei servizi fisso – mobile.

sviluppato articolate difese, fra le quali quella
concernente l’inidoneità della condotta censurata a
produrre effetti pregiudizievoli per i concorrenti
operanti nel mercato a valle.
Pertanto la configurabilità dell’infrazione contestata
avrebbe potuto essere affermata solo se accertata
l’idoneità della condotta della Wind ad incidere
negativamente sulla capacità competitiva degli altri
concorrenti, accertamento che avrebbe presupposto la
esatta interpretazione dell’art. 102 del Trattato, con
riferimento sia alla corretta qualificazione giuridica
del comportamento censurato ( lettera a ) o c )
dell’art. 102 ), che alla individuazione degli elementi
costitutivi della fattispecie di abuso.
Sui due punti ora segnalati la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea non si sarebbe espressa in termini
univoci, e ciò avrebbe dovuto comportare l’accoglimento
dell’istanza finalizzata a sollecitare alla detta Corte
l’interpretazione del citato art. 102 ai sensi

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A fronte di detto addebito essa/ ricorrente aveva dunque

dell’art. 267 TFUE, nel quale era stato trasfuso il
precedente art. 234 TCE.
Il Consiglio di Stato aveva invece provveduto ad
interpretare direttamente la norma europea, così
sostituendosi alla Corte di Giustizia ed asseritamente

Identica censura ha poi formulato Telecom Italia con il
ricorso incidentale, con il quale la società ha per
l’appunto denunciato l’illegittimità della statuizione
del Consiglio di Stato, sotto il profilo dell’indebito
travalicamento della propria giurisdizione.
Ed infatti con il ricorso era stata rappresentata la
necessità di analizzare le offerte nel loro complesso,
anzichè limitatamente alla ” terminazione on net “, in
quanto le pretese discriminazioni rilevate in
quest’ultimo settore non avrebbero necessariamente
precluso ” la possibilità di competere ad armi pari nel
mercato dei servizi finali ”
Nella giurisprudenza comunitaria, tuttavia, il concreto
effetto escludente sarebbe stato ” talvolta considerato
elemento costitutivo della fattispecie dell’abuso ex
art. 102 TFUE, talaltra come un mero elemento di
valutazione della gravità dell’infrazione e ciò
avrebbe

dovuto

comportare

la

sottoposizione

pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE

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esorbitando dall’ambito della propria giurisdizione.

della questione concernente l’interpretazione dell’art.
102 TFUE, per stabilire se la norma impedisca o meno di
proporre offerte ” on net ” aventi prezzi inferiori
alla propria tariffa di terminazione, anche ” quando le
offerte formulate nel mercato ( a valle ) dei servizi

replicabili dai concorrenti ”
Osserva il Collegio che va innanzitutto disattesa
l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata
dalla Telecom Italia in ragione del fatto che
l’impugnazione sarebbe stata proposta oltre il termine
di sei mesi indicato dall’art. 327 c.p.c.
Al riguardo occorre infatti rilevare che il citato art.
327 stabiliva, per quanto qui interessa, che il ricorso
per cassazione non potesse essere più proposto una
volta decorso un anno dalla pubblicazione della
sentenza ed il detto termine è stato poi ridotto nella
misura sopra specificata, per effetto dell’art. 46,
comma 17 1. 18.6.2009, n. 69.
L’art. 58 di quest’ultima legge ha però limitato
l’applicazione dei nuovi termini ai giudizi instaurati
dopo l’entrata in vigore della legge ( avvenuta il
4.7.2009 ), dovendosi a tal fine fare riferimento al
momento dell’introduzione originaria della lite, e non
già a quello riferito all’inizio del giudizio di

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di fonia fisso – mobile siano nel loro complesso

impugnazione ( C. 12/22838, C. 12/17060, C.12/6007 ).
Nella specie la sentenza del TAR, successivamente
confermata dal Consiglio

di Stato con la decisione

oggetto di impugnazione, è stata pronunciata il
7.4.2008, e ciò comporta che nel caso in esame il

cassazione era di un anno.
Ne discende ulteriormente che, essendo stata pubblicata
la sentenza impugnata ( che non risulta essere stata
notificata )
cassazione,

in data 20.4.2011, il ricorso per
notificato

il

4.6.2012,

è

certamente

tempestivo.
Nel merito la questione prospettata, rappresentata
dalla ricorrente con articolate argomentazioni,
essenzialmente consiste nella configurabilità o meno di
una violazione da parte del Consiglio di Stato dei
limiti della propria giurisdizione, in relazione al
fatto che il parametro di riferimento normativo, ai
fini del sollecitato accertamento dell’inesistenza di
una posizione dominante, sarebbe stato individuabile
nel disposto dell’art. 102 TFUE, e l’interpretazione di
quest’ultima norma avrebbe dovuto essere devoluta, come
richiesta pregiudiziale, alla Corte di Giustizia
Europea.
Il Consiglio di Stato, viceversa, avrebbe interpretato

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termine lungo per la proposizione del ricorso per

direttamente la disposizione in questione e quindi,
indipendentemente da ogni giudizio in ordine alla
fondatezza della soluzione adottata, il vizio ravvisato
sarebbe stato individuabile nel fatto che la soluzione
della questione interpretativa era stata data

essere data dalla Corte di Giustizia ” ( p. 14 del
ricorso ).
A quest’ultima competerebbe infatti, ai sensi dell’art.
267 TFUE, la giurisdizione esclusiva in materia di
interpretazione finale delle disposizioni dell’Unione
Europea, e la difforme decisione adottata nella specie
dal Consiglio di Stato integrerebbe gli estremi della
violazione

dei

limiti

esterni

della

propria

giurisdizione.
Il rilievo è privo di pregio.
Ed infatti la delibazione del ricorso per motivi
attinenti alla giurisdizione presuppone la
delimitazione concettuale della relativa funzione che,
sotto il profilo di interesse, non può non essere
intesa che come sollecitazione nei confronti del
giudice all’attuazione del diritto vigente e al
riconoscimento della fondatezza della situazione
giuridica soggettiva fatta valere, con conseguente
reintegrazione dell’ordine giuridico asseritamente

autonomamente dal Consiglio di Stato, quando doveva

violato.
Nella specie era stata contestata la legittimità delle
sanzioni

irrogate

dall’Autorità

Garante

della

Concorrenza e del Mercato, in relazione a condotte che
le società sanzionate avrebbero posto in essere e che
state

configurabili

come

pratiche

discriminatorie nei rispettivi mercati all’ingrosso.
Tale contestazione era stata dunque azionata presso il
giudice amministrativo

( dapprima TAR e quindi

Consiglio di Stato ) ritenuto deputato a dirimerla,
profilo quest’ultimo sul quale né il giudice adito né
alcuna delle parti ha sollevato riserve di sorta, e che
quindi ne determina l’individuazione quale organo
chiamato a ” iuris dicere ” nella vicenda in oggetto.
Wind Telecomunicazioni, per vero, ha però ritenuto
ugualmente configurabile una questione di giurisdizione
nella vicenda oggetto di giudizio, in relazione al
duplice fatto che la controversia avrebbe dovuto essere
risolta sulla base di disposizione ( art. 102 )
contenuta in corpo normativo ( TFUE ), la cui
interpretazione autentica sarebbe rimessa ad altro
giudice ( Corte di Giustizia Europea ).
L’assunto non è tuttavia condivisibile perché, come
questa Corte ha già avuto modo di precisare,
nell’esercizio del sollecitato potere interpretativo la

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sarebbero

Corte Europea non interviene come giudice del caso
concreto, ma piuttosto si limita ad indicare
l’interpretazione delle disposizioni che il giudice
nazionale ha ritenuto rilevanti ai fini del decidere.
Ne consegue dunque che in capo a quest’ultimo permane

esercizio era stato richiesto con l’atto introduttivo
del giudizio, e che pertanto, tenuto conto del ”
petitum ” sostanziale fatto valere, non è ravvisabile
il denunciato sconfinamento, da parte del Consiglio di
Stato, nell’ambito di altra giurisdizione ( C. 05/26228
).
D’altra parte,

come

considerazione di

carattere

generale non è inutile ribadire che il ricorso per
cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato è
ammesso solo per motivi attinenti alla giurisdizione, e
cioè ai suoi cosiddetti limiti esterni, dal cui ambito
rimane quindi escluso ogni sindacato sul modo di
esercizio della funzione giurisdizionale, veicolato
attraverso la denuncia di violazione di norme di
diritto ( art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. ), di
norme che regolano il processo ( art. 360, primo comma,
n. 4 c.p.c. ), di vizi motivazionali ( art. 360, primo
comma, n.5 c.p.c. ),( C. 12/3236, C. 08/2285, C.
06/13178, C. 06/13786, C. 06/10828, C. 05/8882, C.

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in via esclusiva la funzione giurisdizionale, il cui

99/910, C. 98/7348 ).
In applicazione dei principi ora delineati questa
Corte, dunque, ha già avuto modo specificamente di
affermare l’inammissibilità della doglianza concernente
la violazione del medesimo art. 234 del Trattato,

dell’obbligo di rimettere in via pregiudiziale alla
Corte di Giustizia l’interpretazione di norma
comunitaria.
La detta Corte infatti, così come precedentemente già
rilevato, nell’esercizio del potere ad essa conferito
dall’articolo in questione opera soltanto quale
interprete di disposizioni ritenute di incerta lettura
dal giudice nazionale, e da ciò deriva che il rigetto
della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia ai sensi dell’art. 234 del Trattato risulta
riconducibile al potere decisionale del giudice adito,
sicchè la relativa determinazione non esorbita i limiti
interni della propria giurisdizione, ma è piuttosto
espressione di giudizio, di cui si assume l’erroneità (
C. 12/3236, C. 05/26228 cit., C. 05/8882 ).
Non valgono infine neanche le ulteriori considerazioni
svolte dalla ricorrente Wind a sostegno della proposta
impugnazione, considerazioni essenzialmente
consistenti: nell’autonomia del profilo rispetto al

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prospettata sotto il profilo dell’inosservanza

quale sarebbe evocabile la giurisdizione di un giudice
diverso da quello nazionale; nell’esigenza di
assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei
settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea;
nella necessità che le disposizioni di legge vigenti

detta Unione ai sensi dell’art. 117 Cost.; nella
incostituzionalità dell’art. 92, terzo comma, d.lvo
104/10 per contrasto con gli artt. 25, comma 1, 111,
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 267
TFUE, 6 CEDU, 47 della Carta dei diritti fondamentali,
19 TFUE, ove interpretata la norma nel senso che non
sia consentito proporre ricorso per cassazione ai sensi
dell’art. 111 Cost. contro una sentenza del Consiglio
di Stato che abbia deciso una questione interpretativa
avente ad oggetto l’art. 102 TFUE, senza effettuare il
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea.
Ed invero l’autonomia della questione prospettata,
esterna anche se asseritamente funzionale alla
determinazione della decisione da adottare, non vale ad
incidere sui limiti esterni della giurisdizione del
giudice adito, ove si intenda per quest’ultimo ( come
precedentemente delineato ) l’organo deputato a
dirimere la controversia prospettata dalle parti ( e

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siano conformi ai vincoli derivanti dall’appartenenza a

cioè

il

giudice

amministrativo

);

l’ordinamento

giuridico interno assicura comunque una effettività di
tutela rispetto al pregiudizio ipoteticamente subito a
fronte della lesione di un diritto riconosciuto dal
Trattato Europeo, ben potendo il preteso danneggiato

dedotta questione di costituzionalità ( dell’art. 92,
comma 3, d.lvo 104/10 per contrasto con gli artt. 25,
111 e 117 Cost. ), oltre ad essere ininfluente sulla
decisione, per aver il Consiglio di Stato ritenuto che
i quesiti interpretativi formulati proponessero profili
di merito in relazione ai quali l’applicazione del
diritto dell’Unione Europea non avrebbe legittimato
dubbi di sorta sulla soluzione da adottare, appare
anche manifestamente infondata.
Non è infatti configurabile la violazione dell’art. 25,
primo coma, poiché la Corte Europea, per le ragioni
sopra indicate, non può essere considerato giudice
naturale della controversia in oggetto; non è
ugualmente configurabile la violazione dell’art. 111,
poiché non è in discussione la costituzionalità della
disposizione che ha limitato il ricorso per cassazione
contro le sentenze del Consiglio di Stato ai motivi
inerenti alla giurisdizione, e nella specie l’affermata
esclusione della censurabilità della sentenza oggetto

ottenere il relativo ristoro in sede risarcitoria; la

di esame è riconducibile al fatto che,

quella

– prospettata, non risulta essere questione di
giurisdizione; non è infine configurabile la violazione
dell’art. 117, poiché la formulazione dell’art. 92 del
citato decreto legislativo n. 104 non si pone in

dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali, né può ritenersi che tale contrasto sia
nel concreto ravvisabile per il fatto che il giudice
nazionale, deputato a dirimere la controversia, abbia
stimato sufficientemente chiara la normativa
applicabile ed abbia conseguentemente omesso di
sollecitare i poteri interpretativi della Corte di

Giustizia sul punto, ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Conclusivamente deve essere dichiarato inammissibile il
ricorso

principale,

esito

dal

quale

discende

l’inefficacia del ricorso incidentale tardivo di
Telecom Italia s.p.a., ai sensi dell’art. 334, secondo
comma, c.p.c.
Quanto infine alle spese processuali, il Collegio
ritiene di doverle compensare per quanto riguarda il
rapporto fra Wind Telecomunicazioni, Vodafone Omnitel e
Telecom Italia, essendo la denuncia formulata dalle
.

prime

due

ugualmente

consistente

nella

pretesa

violazione dei limiti esterni della giurisdizione

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contrasto con i vincoli dello Stato derivanti

amministrativa in cui sarebbe incorso il Consiglio di
Stato, per aver deciso una questione che sarebbe stata
riservata alla giurisdizione della Corte di Giustizia,
ed avendo la terza – che pure ha resistito, come detto,
al ricorso Wind prospettato una doglianza

Per il resto devono essere poste a carico della
ricorrente soccombente, nella misura liquidata in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara

inammissibile

il

ricorso

principale

e

inefficace quello incidentale, compensa le spese del
giudizio di legittimità fra Wind, Vodafone e Telecom,
condanna Wind al pagamento delle spese processuali
sostenute da Fastweb ed Eutelia in questo giudizio, che
liquida in 9.200, di cui 9.000 per compenso, per
ciascuno dei due contro-ricorrenti indicati.
Roma, 14.5.2013

sostanzialmente analoga.

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