Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16883 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 11/08/2020), n.16883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21092/2012 R.G. proposto da:

C.B., rappresentata e difesa, come da procura speciale in

atti, dall’Avv. (OMISSIS) con il quale è elettivamente domiciliata

in Roma, Via Ferrari n. 4.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso iscritto al n. 21093/2012 R.G. proposto da:

D.P.D., rappresentato e difeso, come da procura speciale in

atti, dall’Avv. (OMISSIS) con il quale è elettivamente domiciliato

in Roma, Via Ferrari n. 4.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso iscritto al n. 21094/2012 R.G. proposto da:

C.B. e D.P.D., quali soci della Fratelli D.P.

s.n.c., rappresentati e difesi, come da procura speciale in atti,

dall’Avv. (OMISSIS) con il quale sono elettivamente domiciliati in

Roma, Via Ferrari n. 4.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso le sentenze nn. 29-27-28/35/12 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositate in data 2.02.2012 e non notificate.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La controversia trae origine da una verifica dell’Amministrazione finanziaria nei confronti della società Import Car di d.D., da cui esiti è nata l’ulteriore verifica nei confronti della società Fratelli D.P. s.n.c. di cui erano soci, ciascuno per la quota del 50%, C.B. e D.P.D., a seguito della quale, la società Fratelli D.P. s.n.c. ed i suoi due soci venivano raggiunti da distinti avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2004 e 2005, con i quali venivano richiesti, tra l’altro, maggiori IVA ed Irap per operazioni commerciali, consistenti nella fornitura di autovetture da parte di Import Car di d.D. alla società Fratelli D.P. (di seguito, per brevità, “società”), che l’Amministrazione finanziaria inquadrava nell’ambito delle cd. frodi comunitarie in quanto realizzanti operazioni inesistenti.

La società e i due soci impugnavano gli avvisi, con distinti ricorsi, innanzi alla Commissione provinciale di Roma, che, con tre distinte sentenze, accoglieva i ricorsi ritenendo mancante un quadro probatorio idoneo per addebitare ai soci ed alla società il disegno fraudolento ipotizzato dall’Ufficio.

L’Amministrazione finanziaria proponeva appello avverso tutte e tre le sentenze innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio (di seguito, per brevità, CTR), la quale accoglieva il gravame; in particolare, con la sentenza n. 29/35/12, emessa nei confronti della società, i giudici di appello ribaltavano completamente la decisione dei primi giudici, confermando, sulla base degli elementi scaturenti dalla verifica, la frode ipotizzata dall’Ufficio (“… da quanto risulta in atti, nonchè dalle indagini della Guardia di Finanza, nel caso de quo, la Import Car ha rivestito la qualifica di soggetto interposto tra l’esportatore comunitario e la Fratelli d.P. instaurando la sussistenza di operazioni di triangolazione commerciale”); quanto all’onere probatorio, sul presupposto che spetta al contribuente l’onere di provare la sua estraneità “adducendo prove di egual valore, ma di segno opposto a quello dell’Ufficio”, ritenevano che “le irregolarità accertate rendono di conseguenza inattendibili nel loro complesso le scritture contabili per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità retta ed ordinata”.

La stessa CTR del Lazio emetteva nei confronti dei soci altre due sentenze (nn. 28-27/35/12) che si allineavano alla decisione n. 25/2012 emessa nei confronti della società, sull’assorbente rilievo che trattandosi di reddito di partecipazione, l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio nei confronti della società, determinava l’accoglimento dell’appello proposto anche nei confronti dei soci.

C.B., D.P.D., in proprio, e la Fratelli D.P. s.n.c., hanno proposto distinti ricorsi per la cassazione delle sentenze riportate in epigrafe affidandosi a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Con ordinanza del 26/02/2019, il Collegio, evidenziando la sussistenza della connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi autonomamente proposti dai soci e dalla società – sul rilievo che nel processo tributario sussiste il litisconsorzio necessario tra società di persone e soci, stante l’unitarietà dell’accertamento dei relativi redditi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, – ha rinviato a nuovo ruolo per la trattazione congiunta dei giudizi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Preliminarmente, si dispone la riunione dei ricorsi nn. R.G. 21093/2012 e 2194/2012 al ricorso n. R.G. 21092/2012.

Questo Collegio dà seguito all’orientamento consolidato di questa Corte (inaugurato con Cass. Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008, Rv. 603330-01), secondo cui l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, sebbene comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario – per il quale scatta l’obbligo per il giudice, investito dal ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, di procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio stesso – non esclude che, qualora l’avviso di accertamento sia stato impugnato autonomamente da tutti i soci e dalla società e, nei gradi di merito, i giudizi relativi, celebratisi separatamente, siano stati esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata, e decisi con un’identica motivazione, sì da potersi escludere ogni rischio di contrasto tra giudicati, la Corte di Cassazione possa legittimamente disporre la riunione dei procedimenti, per connessione oggettiva ex art. 274 c.p.c., piuttosto che l’annullamento delle sentenze di merito, dovendo ritenersi rispettata la “ratio” del litisconsorzio necessario (cfr. Cass. Civ. Sez. 5, Ordinanza n. 26648 del 10/11/2017, Rv. 64621901)

Sull’applicabilità dell’art. 274 c.p.c. ai giudizi di legittimità, le Sezioni Unite hanno da tempo chiarito che la riunione dei procedimenti di cui alla disposizione citata, in quanto volta a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto “risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale” (così, Sez. U., 13/09/2005 n. 18125, Rv. 583091-01; cfr. Cass., 30/10/2018 n. 27550, Rv. 651065-01).

Non v’è dubbio che, nella specie, la riunione dei giudizi sia rispettosa dei suddetti principi, atteso che l’avviso di accertamento, da cui si è originata la controversia, è stato impugnato autonomamente da tutti i soci e dalla società e, nei gradi di merito, i giudizi relativi, benchè celebrati separatamente, sono stati esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata, venendo meno il rischio di contrasto tra giudicati e nel contempo rispettandosi la “ratio” del litisconsorzio necessario; vieppiù, la riunione dei procedimenti garantisce l’economia ed il minor costo dei giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo.

2. Passando al merito dei ricorsi riuniti, in ciascuno dei tre, i ricorrenti, D.P.D. e C.B. in proprio nonchè quali soci della società Fratelli D.P. s.n.c., hanno proposto quattro motivi di gravame, tra loro identici, lamentando, con il primo motivo, l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver i secondi giudici aderito acriticamente alle prospettazioni dell’Ufficio senza motivare sull’inesistenza dell’operazione ed il ruolo delle società; col secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), dell’art. 132 c.p.c., deducendo l’erroneità dalla sentenza impugnata per aver ritenuto provata l’indebita detrazione ai fini IVA di fatture relative ad operazioni inesistenti in assenza di indizi, gravi, precisi e concordanti nei confronti della società, e per aver malamente ripartito l’onere della prova, essendo onere dell’Amministrazione provare, laddove il contribuente abbia documentato la regolarità della contabilità, che la fatturazione è inesistente. Con il terzo motivo di gravame, lamentando la violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in particolare della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, alla luce della entrata in vigore del D.L. 02 marzo 2012, n. 16, art. 8, commi 1, 2, 3, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44, norma quest’ultima che i ricorrenti deducono come applicabile in luogo della L. n. 537 del 1993, art. 14, previgente comma 4 bis, e che determina l’annullamento della contestazione in quanto l’indeducibilità del costo opera solo ove vi sia stato un diretto utilizzo di beni e di servizi, nella specie mancante del tutto. Col quarto motivo di gravame, hanno dedotto, infine, il mutamento dello stato dei fatti a seguito della sentenza del Tribunale penale di Vasto che, in riferimento al procedimento penale a carico della società Import Car “all’udienza dell’11/01/2011 ha dichiarato il non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 416 c.p. ascritto a tutti gli imputati perchè il fatto non sussiste.” (v. ricorsi).

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Le motivazioni addotte dalla Commissione Regionale nelle gravate sentenze, consentono di individuare subito la loro “ratio decidendi”, in quanto enunciano, in maniera obiettivamente adeguata, le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato all’accoglimento dell’appello dell’Ufficio; in particolare, nella sentenza n. 29/35/2012, la Commissione Regionale ha sufficientemente e chiaramente motivato la sua decisione, prima inquadrando la fattispecie nell’ambito delle frodi comunitarie e, poi, ritenendo provata, sulla base dell’accertamento dell’Ufficio (ampiamente richiamato nella sentenza n. 29/2012) la frode triangolare per fatturazione inesistente (v. pag. 3 e 4). Nelle sentenze nn. 2728/2012, la Commissione Regionale, ha accolto l’appello dell’Amministrazione finanziaria motivando che poichè l’avviso di accertamento nei confronti dei soci ha ad oggetto redditi di partecipazione alla società, l’illecito fiscale riguarda anche i soci; nella sentenza n. 29 pronunciata nei confronti della società, i giudici di merito hanno rilevato che la società Import Car “non possedeva alcuna struttura organizzativa”, con ciò confermando la qualificazione di mera società interposta, dato convalidato dalla circostanza che la stessa non aveva mai versato l’Iva.

2.2. E’ evidente, dunque, che la motivazione delle tre sentenze di cui in epigrafe ha esplicitato la “ratio decidendi”, rispettando i canoni di sufficienza, di logicità e di chiarezza.

3. Anche il secondo motivo di ricorso, è infondato.

3.1. I fatti di causa originano dalle indagini della Guardia di Finanza che hanno accertato la sussistenza di una triangolazione commerciale per fini fraudolenti: la Import Car, che riveste la qualifica di soggetto interposto tra l’esportatore comunitario e la società Fratelli D.P., effettua gli acquisti di autovetture da un fornitore residente in uno stato UE senza applicazione di IVA, trattandosi di bene comunitario, e poi rivende il bene ad un cessionario italiano ad un prezzo inferiore, ma addebitando l’IVA, ricevendo una fattura e non versando l’IVA. Da tale accertamento, viene spiccata la contestazione nei confronti della società Fratelli D.P., per aver fatturato, per gli anni 2004 e 2005, acquisti di autovetture effettuati direttamente presso il fornitore estero comunitario e non presso il soggetto interposto italiano (Import Car).

3.2. Nonostante l’incerta qualificazione fattane nei giudizi di merito, tale situazione realizza quella che è comunemente definita come un’operazione soggettivamente inesistente, ove, cioè, le prestazioni commerciali sono rese al destinatario che le riceve da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la prestazione rappresentata in fattura. Essa si differenzia, pertanto, dalla frode oggettivamente inesistente, nella quale, invece, le operazioni commerciali non sono mai state poste in essere, sicchè le fatture rappresentano la mera espressione cartolare di eventi mai avvenuti.

3.3. Pur nella diversità dello schema fraudolento, entrambe le operazioni descritte determinano lo stesso illecito fiscale, che si realizza in quanto l’emissione di false fatture, non collegabili ad alcuna attività economica o rese da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura, è fatta al fine fraudolento di incamerare l’IVA addebitata al cliente nella fattura anzichè versarla all’Erario, violandosi, così, il principio di neutralità dell’IVA. In entrambe le ipotesi, quindi, l’IVA non è detraibile proprio perchè versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta.

3.4. La peculiarità di tali fattispecie e del meccanismo fraudolento perseguito nel caso concreto, si riverbera sulla prova e sulle relative regole di riparto dell’onere probatorio.

4. La CTR ha accolto l’appello ritenendo che l’emissione di fatturazione inesistente era stata provata dall’Ufficio attraverso elementi indiziari caratterizzati dalla gravità precisione e concordanza (“(…)dalle accurate indagini è emerso che l’Import Car non possedeva alcuna struttura organizzativa e si rendeva responsabile di non versare l’IVA”, v. sentenza n. 29, pag. 3), mentre il contribuente, dal canto suo, non era riuscito a fornire la prova contraria dell’effettività delle operazioni, prova che, secondo i giudici di secondo grado, non può esser data con l’allegazione della correttezza formale della contabilità ma con la dimostrazione dell’effettività delle operazioni; all’uopo richiamano giurisprudenza di legittimità e in particolare le sentenze nn. 19109/2005, 4046/2007 e 21953/ 2007.

5. Osserva il Collegio che le ragioni addotte dalla CTR a sostegno della decisione, sono conformi ai principi affermati in materia da questa Corte che, in sequenza giurisprudenziale sostanzialmente univoca (cfr. da Cass., 18/06/2014 n. 13800; Cass., 18/06/2014 n. 13803, Rv. 631553-01; Cass., 17/12/2014 n. 26461; Cass. 09/09/2016 n. 17818, sino alle più recenti Cass., 22/05/2018 n. 16469 e 06/07/2018 n. 17788, conf. da Cass. 30/10/2018 n. 27566, Rv. 651269-02), consolidata dalle Sezioni Unite con riferimento al regime del margine (cfr. Sez. U. 12/09/2017 n. 21105), ha affermato che, “qualora sia contestata l’inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 c.c., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonchè la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente.” (Cass. n. 13803 del 2014).

5.2. E’ stato altresì soggiunto, che mentre nelle ipotesi più complesse (come la c.d. “frode carosello”, caratterizzata da una catena di passaggi, con fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, nonchè interposizioni strumentali di società c.d. “filtro”) l’Amministrazione deve dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente, in quelle più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare, come quella ricorrente nel caso in esame), detto onere può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione, trattandosi di elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, stante l’immediatezza dei rapporti; ovvero che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, dell’evasione o frode posta in essere dal cedente, in quanto disponeva di elementi tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto (cfr., Cass. n. 24426 e n. 6229 del 2013 richiamate da Cass. n. 25778 del 05/12/2014).

5.3. Con riferimento alla tenuta regolare della contabilità, è stato precisato che (cfr.: Cass., sez. 5, ordinanza n. 18118 del 2016, Rv. 641109-01; sez. 5, n. 12111 del 2015, Rv. 635724-01; sez. 5, ordinanza n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610-01) “in tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.”.

5.4. Non si è mancato di evidenziare che la peculiarità di tale riparto dell’onere probatorio, discende dalla particolare valenza della fattura nel sistema tributario rispetto al sistema civilistico e ciò in quanto mentre civilmente la fattura rappresenta un documento di formazione unilaterale ex art. 2709 c.c. inidonea in linea generale (salvo l’eccezione di cui all’art. 2710 c.c.) a costituire di per sè prova del rapporto controverso a favore dell’emittente, nel rapporto con il fisco la fattura rappresenta a tutti gli effetti un costo dell’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21. Tale diversità di regime spiega anche perchè l’Amministrazione finanziaria possa avvalersi di presunzioni – che rientrano a pieno titolo nel novero delle prove utilizzabili in giudizio (art. 2697 e ss. c.c.) – al fine di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, ovvero è stata posta in essere tra soggetti diversi (cfr. Cass. n. 25578 del 2014).

6. Ne discende, dunque, l’infondatezza del secondo motivo proposto nei ricorsi riuniti, in quanto la CTR, nel configurare l’inesistenza soggettiva dell’operazione, ha fatto retta applicazione di tali principi rilevando, ex art. 2727 c.c., che la società Import Car non possedeva alcuna struttura organizzativa e, quindi, confermando la qualificazione di mera società interposta, dato convalidato dalla circostanza di non aver mai versato l’Iva; ha, inoltre rilevato, in linea la giurisprudenza di questa Corte, che, a fronte della prova offerta dall’Amministrazione finanziaria (inesistenza della struttura organizzativa della Import Car), solo la dimostrazione dell’effettività delle operazioni da parte del contribuente avrebbe potuto provare il contrario, a nulla rilevando la regolare tenuta delle scritture contabili e l’emissione di fatturazione.

6. Il terzo motivo è fondato.

6.1. Fermo restando la rilevata indeducibilità dell’Iva, il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, sopravvenuto art. 8, comma 2, convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, avendo circoscritto le ipotesi di indeducibilità ai soli costi relativi all’acquisto di beni direttamente utilizzati per la commissione di delitti, ha reso possibile, ai soli fini delle imposte dirette Irpef ed Irap, la deducibilità dei costi (esistenti) ma documentati con fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (fatture false in senso soggettivo), fermo restando che la deducibilità del costo documentato da fatture soggettivamente inesistenti è anch’esso subordinato alla sussistenza dei requisiti generali, che è onere del contribuente provare, in ordine all’inerenza, certezza e determinatezza del costo, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1 (v. relazione ministeriale di accompagnamento al citato D.L.).

6.2. In tal senso questa Corte ha stabilito che, in tema di imposte dei redditi, ai sensi della L. n., art. 14, comma 4 bis.

6.2. In tal senso questa Corte ha stabilito che, in tema di imposte dei redditi, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012), che opera in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “iussuperveniens” con efficacia retroattiva “in bonampartem”,sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass., sez. 6-5, Ordinanza n. 17788 del 06/07/2018, Rv. 649801-01; Cass. n. 26461 del 2014, Rv. 633708-01).

6.3. Le sentenze impugnate non hanno fatto retta applicazione dello ius superveniens più favorevole al contribuente avendo escluso, ai fini delle imposte dirette Irpef ed Irap, la deducibilità dei costi per il semplice fatto che essi erano rappresentati da fatture soggettivamente false, mentre tale dato non è ostativo alla deducibilità dei costi allorchè essi siano conformi ai principi di effettività e determinatezza di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109.

7. Il quarto motivo di gravame è totalmente infondato.

7.1. Va in primo luogo evidenziato che la sentenza citata neppure riguarda un reato tributario, ma riguarda la diversa imputazione di associazione a delinquere, fattispecie del tutto estranea all’oggetto del presente giudizio tributario; inoltre, posta l’autonomia del giudizio tributario rispetto a potrebbe limitarsi a recepirne il decisum, aderendo acriticamente ad esso ma, deve procedere al prudente apprezzamento del contenuto della decisione penale, confrontandola con gli elementi di prova acquisiti nel giudizio fiscale, valutazione rimessa al giudice di merito e insindacabile in questa sede. Infine, i ricorrenti non hanno neppure allegato il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Vasto nè hanno specificato se ed in che termini i soci della Fratelli D.P. sarebbero stati destinatari di tale giudicato, carenze quest’ultime che evidenziano, altresì, profili di inammissibilità della relativa doglianza per violazione del principio di autosufficienza.

8. In conclusione, devono essere rigettati il primo, il secondo ed il quarto motivo di gravame proposti nei ricorsi riuniti; deve essere accolto il terzo motivo ivi proposto, in relazione al quale, le sentenze impugnate vanno cassate con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Riunisce al ricorso n. RG. 21092/2012, il ricorso n. R.G. 21093/2012 e il ricorso n. RG 21094/2012. Accoglie terzo motivo dei ricorsi riuniti e rigetta nel resto; cassa le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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