Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16882 del 02/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 02/08/2011), n.16882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25324/2009 proposto da:

CENTRO DI FISIOKINESITERAPIA E RIABILITAZIONE “L’INCONTRO” di DI

STASIO CARLO SAS (OMISSIS) in persona dell’amministratore e

legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL

POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato RIZZO NUNZIO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO ORLANDO

25 (OSTIA), presso lo studio dell’avvocato INFUSO CALOGERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CANNOLICCHIO EUFRASIA, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6404/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

29.10.08, depositata l’1/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il Dott. C.M. e la s.a.s. Centro di fisiokinesiterapia e riabilitazione “L’incontro” di Di Stasio Carlo e l’illegittimità del licenziamento intimato al primo dal datore di lavoro, con le conseguenti pronunce L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

A seguito di appello principale di detto Centro e di appello incidentale del C., la Corte d’appello di Napoli, rigettato l’appello principale, riconosceva il diritto del C. alla rivalutazione e agli interessi sulle retribuzioni di cui alla condanna pronunciata in primo grado.

Riguardo alla natura del rapporto, la Corte di merito premetteva in linea di principio che la distinzione tra rapporti di lavoro subordinato e rapporti di lavoro autonomo non risiede nella natura dei compiti disimpegnati ma nelle modalità con cui gli stessi nel concreto vengono disimpegnati e, in particolare nell’assoggettamento o meno al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, vale a dire ad una direzione eteronoma; e che quando detti elementi non possono essere analiticamente dimostrati soccorrono i c.d. indici secondari della subordinazione; quali lo stabile inserimento nell’organizzazione datoriale, la mancata assunzione del rischio, la retribuzione in cifra fissa e non commisurata al risultato raggiunto.

Con riferimento alla specie il concreto atteggiarsi del rapporto deponeva per la subordinazione. Infatti dall’interrogatorio delle parti era risultato che il C., investito delle funzioni di direttore sanitario, osservava una presenza oraria secondo moduli che in un primo momento erano stati regolati autonomamente dal C. ma poi vennero predeterminati dalla società convenuta in relazione alle sue esigenze, e precisamente a seguito del convenzionamento con il S.S.N. D’altra parte la retribuzione era convenuta in misura fissa mensile e, in sede di deposizioni testimoniali, era rimasto confermato che il Dott. C., pur nei limiti delle prerogative professionali del direttore sanitario, era soggetto al potere direttivo dell’amministratore della società. Egli organizzava il lavoro interno del centro, ma era controllato dall’amministratore della società e non poteva prendere decisioni autonome in ordine a tale organizzazione del lavoro senza interpellare l’amministratore.

La suindicata società ricorre per cassazione con due motivi. Il C. resiste con controricorso.

Ambedue i motivi censurano l’accertamento riguardante la qualificazione del rapporto intercorso inter partes come di lavoro subordinato. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2230 c.c., dell’art. 409 c.p.c., n. 3, e degli accordi collettivi per la disciplina professionale dei medici collaboratori delle case di cura convenzionate del 1984, 1987 e 1997.

Il secondo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi.

Il ricorso appare qualificabile come manifestamente infondato.

Con lo stesso, richiamate le previsioni della contrattazione collettiva secondo cui il personale medico presta la propria attività con le case di cura in regime di subordinazione o di collaborazione libero professionale, e ricordato che era stato stipulato anche un accordo economico collettivo per la disciplina del rapporto libero professionale con il direttore sanitario, si lamenta che nella specie la subordinazione sia stata ritenuta solo sulla base della predeterminazione delle modalità temporali della prestazione, mentre questo è un elemento non decisivo e fisiologico rispetto ad attività come quella del direttore sanitario di un centro di riabilitazione, che deve essere continuativa e coordinata con l’organizzazione del centro, e in particolare connesso con le terapie da prestare ai pazienti. Si lamenta anche che non sia stata attribuita rilevanza alla qualificazione attribuita al rapporto dalle parti stesse e lo svolgimento da parte del medico anche di un’altra attività lavorativa, come guardia medica.

Al riguardo si osserva che in effetti la Corte d’appello risulta avere fatto una adeguatamente motivata applicazione di corretti criteri in merito all’accertamento della subordinazione, facendo riferimento non solo al rispetto di un orario di lavoro predeterminato in base alle esigenze aziendali, ma anche alla mancanza di rischio per il lavoratore, alla retribuzione fissa e non commisurata ai risultati, e all’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, con compiti anche organizzativi, peraltro con assoggettamento in maniera puntuale alle disposizioni del responsabile dell’azienda. Ha poi motivato circa la non attribuibilità di una particolare rilevanza alla menzione “prestazioni libero professionali” in ricevute per i compensi percepiti, peraltro rilasciate nell’ultimo periodo del rapporto. Ha anche correttamente rilevato la non incidenza dello svolgimento di un’altra attività lavorativa con orari ridotti e in fasce orarie notturne o festive, e quindi non interferente con quella presso il Centro fisiokinesiterapia.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio, determinate in Euro trenta per esborsi ed Euro cinquemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2011

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