Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16881 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. II, 15/06/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21910/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato ROSA VIGNALI, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la SENTENZA n. 70/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO,

depositata il 16/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che S.M., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

S.M., con ricorso notificato il 16/7/2019, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13, nel testo in vigore ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la richiesta di audizione personale del richiedente, senza considerare che tale audizione, omessa anche nel corso del giudizio di primo grado, pur a fronte delle norme previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13, che la imponevano, era tanto più necessaria poichè l’oggetto della controversia era la veridicità del racconto svolto dal richiedente innanzi alla commissione territoriale ed era, dunque, doveroso richiedere all’interessato, proprio per verificare le incongruenze riscontrate, i chiarimenti del caso.

2.1. Il motivo è infondato. Il giudizio in esame, infatti, introdotto con ricorso del 2/10/2015, risulta assoggettato non già, come pretende il ricorrente, al procedimento disciplinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13, nel testo in vigore prima della sua abrogazione in parte qua disposta del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 20 (a norma del quale, in effetti, la decisione della commissione territoriale era impugnabile innanzi al tribunale che, a norma del comma 5, “sentite le parti”, decideva con sentenza soggetta a reclamo alla corte d’appello la quale, a sua volta, decideva all’esito di un procedimento in cui, in forza del comma 13, trovava applicazione il comma 10 cit.), ma, al contrario, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 36, comma 1 e art. 19, al rito sommario di cognizione, così come regolato dalle norme generali stabilite dagli artt. 702 bis c.p.c. e segg. (D.Lgs. n. 150 cit., art. 1, lett. c) e dalle deroghe previste dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 19: vale a dire norme che, a differenza dell’art. 35, comma 13, cit. (ed a prescindere dal significato che a quest’ultimo dev’essere attribuito, sul quale v. infra), non prevedono più che la corte d’appello prima di decidere debba sentire le parti, potendosi tutt’al più applicare le norme generali, tra cui quella, prevista dall’art. 117 c.p.c., che consente al giudice di merito di disporre in ogni stato e grado del processo la comparizione personale delle parti ed il loro libero interrogatorio sui fatti di causa, per trarne argomenti di prova in ordine ad essi (art. 116 c.p.c., comma 2), fermo restando, però, che la mancata utilizzazione di tale strumento, pur se invocato dal richiedente, non costituisce, in quanto rimesso alla discrezionalità del giudice, causa di nullità della sentenza.

2.2. D’altra parte, con riguardo al D.Lgs. n. 25 cit., art. 35, nel testo in vigore prima della sua parziale abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 34, comma 20, questa Corte ha ritenuto che, nel procedimento d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non fosse ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 cit., art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevedeva l’obbligo di sentire le parti, configurava non un incombente automatico e doveroso ma un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collegava il potere del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. n. 3003 del 2018; conf., Cass. n. 24544 del 2011), avendo riguardo alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale (Cass. n. 14600 del 2019, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame, dove la corte ha ritenuto di escludere la necessità di disporre l’audizione del richiedente sul rilievo, rimasto incensurato, che il richiedente, quando è stato sentito dalla commissione territoriale, “è stato messo nelle condizioni di riferire ogni circostanza utile”.

2.3. La mancata audizione del richiedente da parte del tribunale, invece, ove mai doverosa, può tutt’al più costituire ragione di censura (che, però, nella specie, non risulta proposta) dell’ordinanza che ha definito il relativo giudizio, convertendosi i vizi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c.).

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta dal richiedente semplicemente in forza della non credibilità dello stesso senza svolgere alcun accertamento sulle condizioni del suo Paese d’origine, laddove, in realtà, in presenza di contestazioni relative alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, se del caso utilizzando canali diplomatici, rogatoriali ed amministrativi, attesa la necessità di temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti e dalla difficoltà di fornire la prova dei fatti narrati dal richiedente.

3.2. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, la corte d’appello, dopo aver descritto gli episodi di violenza accaduti in Pakistan e nel Punjab, ha, poi, apoditticamente escluso che, nella zona di provenienza del richiedente, sussista un rischio per la vita o l’incolumità personale così alto da giustificare la protezione sussidiaria, laddove, in realtà, le fonti citate nella sentenza parlano di gravissimi fatti di sangue, specie in danno di cristiani, come il richiedente, sussistendo, dunque, in caso di rientro nel paese d’origine, a fronte della situazione di instabilità riscontrata, il pericolo attuale che giustifica la concessione della protezione sussidiaria previsa dall’art. 14, lett. c), cit..

3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria con motivazione viziata da contrasto irriducibile tra affermazioni tra loro inconciliabili, posto che, da un lato, riporta i gravissimi e ripetuti fatti di sangue in danno indiscriminatamente della popolazione mentre, dall’altro lato, nega il rischio per la vita o l’incolumità delle persone.

4.1. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati.

4.2. Intanto, dev’essere rilevato come il ricorrente abbia, in sostanza, insistito, almeno in via principale, per il riconoscimento soltanto della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c): ed è noto che, in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), del medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020).

4.3. Ciò premesso, ed escluso quindi ogni rilievo impeditivo alla carenza di veridicità delle dichiarazione rese dallo stesso che la corte d’appello ha (incontestatamente e, pertanto, definitivamente) accertato (v. la sentenza, p. 9), rileva la Corte che: – il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), che, in conseguenza degli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione di provenienza, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona (Cass. n. 18306 del 2019); – la sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

4.4. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti.

Innanzitutto, la corte d’appello, con apprezzamento in fatto che (corretto o meno che sia) non è stato specificamente impugnato per omesso esame di fatti decisivi a suo tempo dedotti nel giudizio di merito, ha ritenuto (con motivazione nient’affatto apparente nè contraddittoria) che, alle luce delle informazioni ricavate dalle fonti internazionali a tal fine consultate, nella regione di provenienza del richiedente non sussisteva, pur a fronte di episodi di conflitto, una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità.

La corte d’appello, inoltre, ha ritenuto, in sostanza, che, in Pakistan ed, in particolare, nel territorio del Punjab, i conflitti ivi riscontrati non abbiano determinato una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità, indicando le informazioni pertinenti a tal fine raccolte e le corrispondenti fonti internazionali.

4.5. Peraltro, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (e non, di certo, alle decisioni giudiziarie sul punto favorevoli, come ha fatto il ricorrente), in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019).

5.1. Con il quanto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2005, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul rilievo che la stessa è inammissibile perchè modificata, laddove, al contrario, a fronte del medesimo petitum, si è trattato di mere precisazioni conseguenti principalmente alle contestazioni fatte alla prospettazione del richiedente.

5.2. Il richiedente, peraltro, che si trova sul territorio nazionale da oltre quattro anni, è inserito nel territorio nazionale e versa, dunque, in una situazione di vulnerabilità in caso di rientro nel suo Paese di origine, dal quale è fuggito per sottrarsi al rischio alla propria incolumità personale.

6.1. Il motivo è infondato. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

6.2. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, oltre all’inammissibilità della domanda perchè modificata in appello rispetto alle ragioni allegate nel ricorso introduttivo, l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente, dando, così, luogo ad un apprezzamento in fatto che, come detto, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato come dedotte nel giudizio di merito: a partire dalla condizione d’integrazione sociale che il richiedente avrebbe conseguito, della quale, in effetti, la sentenza impugnata non tratta. Ed è noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie, però, inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

6.3. D’altra parte, escluso ogni rilievo alla denunciata persecuzione che il richiedente avrebbe subito a fronte della inattendibilità (definitivamente accertata dal giudice di merito) della relativa narrazione, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020), in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria.

7. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

8. Nulla per le spese di lite, in difetto di attività difensiva da parte del ministero.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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