Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16880 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 11/08/2020), n.16880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 21905-2012 proposto da:

S.F. rappresentato e difeso dalli avv. Luigi Manzi e dal

prof. Avv.to Cesare Glendi con domicilio eletto in Roma via F.

Confalonieri n5;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi 12

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sardegna-sezione di Sassari n. 143 depositata il 28/06/2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 8 ottobre 2019

dal Consigliere Dott. Catello Pandolfi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Renzis Luisa che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

Udito per l’Avvocatura Generale dello Stato l’Avv. Marinella di Cave

e per il ricorrente l’Avv. Gianluca Calderara su delega dell’avv.

Manzi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.F. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria della Sardegna – sezione di Sassari n. 143/11, depositata il 28 giugno 2011.

La vicenda tra origine dalla notifica dall’avviso di accertamento, notificato al ricorrente in data 23/12/2002, con cui l’Agenzia delle entrate gli contestava un maggior reddito per l’anno 1996, conseguente alla plusvalenza, assoggettata ad imposta sostitutiva, maturata a seguito della cessione di quote della società Kenzia (della quale era rappresentante legale) s.r.l. a suoi congiunti e da questi rivendute, dopo breve tempo, e ad un prezzo sensibilmente maggiore, a due società.

Tale seconda vendita era caratterizzata dalla cessione delle quote entro la percentuale del 10%, ciò consentendo l’applicazione dell’imposta c.d. forfettaria (pari al 15%), in luogo di quella c.d analitica ben più onerosa (pari al 25%), con evidente risparmio. In presenza di tali circostanze, quali i rapporti tra il ricorrente ed i primi cessionari, il breve tempo intercorso tra la prima e la seconda cessione, il cospicuo risparmio di imposta conseguito con le modalità dell’operazione; avevano indotto l’Ufficio a ravvisarvi una preordinata attività elusiva dell’imposta sui redditi da plusvalenze ex D.L. n. 27 del 1991(convertito dalla L. n. 102 del 9199).

Peraltro, una preliminare richiesta di chiarimenti inoltrata dall’Ufficio al contribuente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, punto 3, restava priva di riscontro.

Il ricorrente aveva opposto l’atto impositivo con ricorso alla CTP di Sassari, che l’accoglieva.

L’appello dell’Ufficio ribaltava il primo giudizio con la decisione che S. ha impugnato in questa sede.

Il ricorso è basato su tre motivi.

Con il primo, il ricorrente lamentava violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 2 e 7.

Con il secondo, il ricorrente ha ravvisato nella decisione della CTR violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 7, comma 1, e art. 9, comma 5, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1970, art. 37 bis, comma 4.

Con il terzo, ha dedotto la violazione o falsa applicazione della L. n. 408 del 1990, art. 10.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Ha presentato memoria il ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ritiene questo Collegio che il ricorso non possa trovare accoglimento per i motivi che seguono.

Con il primo motivo, il S. ritiene che pur se la pretesa tributaria mossagli, derivava dall’accertamento svolto nei confronti della società Kenzia e non direttamente nei suoi confronti, ciò non escludeva che anche a suo carico doveva ritenersi essere stata espletata una “sostanziale attività di verifica”. Comprovata dall’invio della raccomandata di richiesta di documenti, da ritenersi costituire l’atto con cui aveva avuto inizio un’ulteriore attività accertativa, che in quanto tale avrebbe implicato l’adozione delle modalità indicate dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 2 e 7, invece disattese. Nè il giudice d’appello ha dato conto delle ragioni per cui le doglianza sul punto non fossero fondate.

Il motivo non ha pregio.

L’art. 12 invocato, infatti, attiene alle procedure di accertamento riguardanti direttamente uno specifico contribuente. Diverso è il caso in cui dall’accertamento nei confronti di persone fisiche o giuridiche, scaturiscano elementi tali da giustificare, ed anzi imporre all’Amministrazione, l’inoltro di un atto impositivo ad un soggetto diverso da quello in verifica. Elementi cioè che consentano di rivolgere, al contribuente “altro”, una pretesa fiscale già connotata nei suoi termini in esito alla verifica a carico del primo. Nella situazione data/ l’Ufficio non ha ritenuto necessario avviare un accertamento (anche) nei confronti del S., ritenendo di dovergli notificare un avviso di accertamento già in base agli elementi acquisiti dalla verifica a carico della società Kenzia. Nè modifica tale cornice l’invito, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, rivolto al ricorrente a fornire documenti. Invito che costituisce solo un ulteriore contributo per completare un quadro già connotato (ed implicante comunque la contestazione) e non l’atto di avvio di un nuovo percorso d’indagine.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 7, comma 1, e art. 9, comma 5, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1970, art. 37 bis, comma 4.

Giova ricordare che il D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 7, comma 1, ha aggiunto al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, l’art. 37 bis con cui sono definite le c.d. disposizioni antielusive, per individuare atti, fatti e negozi, inopponibili all’amministrazione finanziaria in quanto diretti ad aggirare obblighi e divieti e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, in realtà indebiti.

Lo stesso D.Lgs. n. 358, art. 9, ha disposto, al comma 5, che le suddette disposizioni di cui all’art. 7 comma 1, si applichino agli atti, fatti e procedimenti posti in essere dopo l’entrata in vigore del decreto stesso.

Il ricorrente sostiene che tale indicazione non debba ritenersi riferita anche all’art. 37 bis, comma 4, avente carattere procedimentale e quindi applicabile immediatamente, anche a periodi d’imposta antecedenti all’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 358.

Si ricorda che l’art. 37 bis, comma 4, invocato da ricorrente, prevede che l’avviso di accertamento debba essere emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente di chiarimenti. Richiesta con cui l’Amministrazione deve indicare i motivi per cui ritiene applicabili lo stesso art. 37 bis, commi 1 e 2.

In sostanza, il ricorrente sostiene la tesi di un regime temporale “differenziato” tra le previsioni dal D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 9, comma 5, nel senso che mentre la parte sostanziale delle disposizioni di al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, troverebbe applicazione dopo l’entrata in vigore del citato D.Lgs.; la parte procedimentale, in particolare l’art. 37 bis, comma 4, troverebbe applicazione immediata.

La tesi non è condivisibile.

Il suddetto art. 37 bis, comma 4, introduce un requisito prodromico alla emanazione dell’avviso di accertamento, previsto a pena di nullità. La norma sul regime temporale che si vorrebbe scindere è configurata in termini complessivi ed unitari, nel senso che il D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 9, prevede che “le disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, si applicano…dopo l’entrata in vigore del presente decreto… “. Tale decorrenza è riferita, indistintamente, all’applicazione del citato D.Lgs., art. 7, comma 1, e, quindi, a tutto il D.P.R. n. 600 del 1973, aggiunto art. 37 bis, compreso il comma 4.

Il ricorrente vorrebbe, invece, espungere tale ultimo comma da un corpo unitario, decontestualizzandolo, per conferirgli efficacia retroattiva e così applicarlo all’accertamento per l’anno d’imposta 1996, cui fa riferimento l’atto impositivo, oggetto del presente giudizio. Per contro, la tesi non trova una chiave ermeneutica che la sorregga e giustifichi la disarticolazione della disposizione.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 4, non può, pertanto, riguardare l’operazione di cessione di quote avvenute negli anni 1995/1996 e quindi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 358 del 1997, per cui è da escludere la nullità dell’avviso di accertamento in parola, ravvisata sul presupposto errato che, nel caso di specie, avrebbe dovuto già trovare applicazione la disposizione di nuova introduzione.

Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell’arti della L. n. 408 del 1990, per aver la CTR ritenuto, suo dire erroneamente, sussistente nell’operazione da lui posta in essere una condotta fraudolenta con esclusivo scopo di eludere il fisco e con cospicuo vantaggio fiscale personale, consistito nell’applicazione, sulle plusvalenze, dell’aliquota forfetaria in luogo di quella analitica. Il ricorrente nega la sussistenza di tali componenti, ma lo svolgimento della vicenda depone in senso inverso.

E’ giurisprudenza di questa Corte, cui s’intende dare continuità, che “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, che giustifichino la negoziazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente. (Sez. 5, Ordinanza n. 30404 del 2 3/11/2018)

Ora, la CTR ha ritenuto fondate le presunzioni poste dall’Ufficio a base dell’accertamento, desunte da circostanza oggettive quali: a) la prima cessione di quote tra persone legate da rapporti parentali o di affinità; b) la seconda cessione dai primi acquirenti alle due società dopo breve tempo (entrambe le cessioni avvenute nell’arco di pochi mesi dello stesso anno); c) la irrisorietà del prezzo praticato in occasione della prima rispetto a quello enormemente superiore della successiva; d) la meticolosa cura con cui, in occasione della seconda cessione, le quote sono state frazionate in modo che ciascuna non superasse il 10%, consentendo il più favorevole regime forfettario di tassazione.

Circostanze che la CTR ha ritenuto di dover valutare in modo unitario, considerandone la coesistenza, la concatenazione e la perfetta complementarietà nel produrre il vistoso vantaggio fiscale. Elementi che il giudice regionale ha qualificato come presunzioni gravi precise e concordanti per essere risultate non casuali, ma anzi preordinate e strumentali al raggiungimento di un cospicuo vantaggio fiscale, scopo questo da considerare unico in difetto di altre ragioni. Per contro, il ricorrente, sul quale incombeva l’onere di contrastare la palese sintomaticità dei fattori-indice suindicati, non ha fornito prove di segno contrario, nè ha dimostrato la sussistenza di ragioni economicamente apprezzabili, connesse con esigenze familiari o programmatiche o organizzative dell’azienda, in funzioni delle quali potesse inserirsi l’operazione in esame e diversamente valutarla.

Il quadro presuntivo suindicato giustifica poi l’individuazione, nella dinamica dei fatti, di una interposizione nel rapporto tra S.F., quale interponente e le persone a lui legate che, quali interposte, si sono inserite tra la prima cessione e quella da loro poi effettuata alle due società “Vacanze nel mondo” e “I Viaggi del Ventaglio”. Del resto, la brevità dei passaggi di quote, esclude che i primi cessionari abbiano potuto svolgere altro ruolo se non quello di interposti.

E’ poi irrilevante stabilire se nel caso in esame si sia trattato di interposizione fittizia o reale dal momento che questa Corte ha più volte precisato che “In tema di controllo delle dichiarazioni, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, è valido l’accertamento con il quale il fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto, quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che il contribuente ne sia l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale. (Sez. 5 – Ordinanza n. 27625 del 30/10/2018; ma anche n. 15830/2016 e n. 818/2017)).

La stesse modalità in cui l’operazione si è svolta, la circostanza che essa sia stata avviata dal ricorrente, il ruolo puramente strumentale svolto dai primi cessionari nel breve periodo di presenza nella successione dei fatti, rendono, infine, motivato il convincimento del giudice di merito che il S. sia l’effettivo titolare dei redditi conseguiti e l’effettivo beneficiario del risparmio d’imposta che l’Ufficio ha ritenuto di recuperare.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Alla soccombenza segue la condanna alle spese liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in Euro 10.300,00 oltre spese generali nella misura forfetaria del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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