Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1688 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. II, 26/01/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 26/01/2021), n.1688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19209-2019 proposto da:

K.L.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

V.VENETO 116, presso lo studio della Dott.ssa ROSA ALTAVILLA,

rappresentato e difeso, giusta delega in calce al ricorso,

dall’avvocato PIETRO CERRO;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO SEZ. 847 DIST. CAMPOBASSO, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 1021/2019 del TRIBUNALE di

CAMPOBASSO, depositato il 13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.L.K., cittadino della (OMISSIS), chiese alla Commissione territoriale di Salerno, Sezione di Campobasso il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria.

1.1. Espose di essere fuggito dal proprio Paese d’origine perchè ingiustamente accusato di omicidio, di essere stato arrestato per tale delitto e detenuto alcune settimane dopo la costituzione del fratello e di un suo amico. Riferì di temere per la propria incolumità perchè il reato era stato commesso da un componente della famiglia e per i contrasti con lo zio; era scappato prima in Libia, dove aveva subito torture, per poi giungere in Italia.

1.2.La domanda venne rigettata dalla Commissione e, a seguito di impugnazione del provvedimento in sede amministrativa, dal Tribunale di Campobasso, con decreto del 13.5.2019.

1.2. Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, il Tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 1998, dell’art. 14, lett. a) e b) per l’assenza di credibilità intrinseca delle dichiarazioni; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 1998, art. 14, lett. c) la domanda è stata rigettata sulla base dell’ultimo rapporto Amnesty International, da cui risultava che in (OMISSIS) non vi era una situazione di conflitto generalizzato. Il giudice di merito non ha ravvisato le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari per assenza di particolari ragioni di vulnerabilità e di un radicamento nel Paese d’accoglienza, non configurabile dallo svolgimento di un lavoro occasionale.

2. Per la cassazione ha proposto ricorso K.L.K. sulla base di due motivi.

2.1. Il Ministero degli Interni ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis perchè il Tribunale non avrebbe valutato il danno grave che sarebbe conseguito in caso di rientro nel Paese di origine, con particolare riferimento alla presenza di una situazione di conflitto indiscriminato. In particolare il Tribunale non avrebbe acquisito le informazioni elaborate dalla Commissione Nazionale per il diritto d’Asilo sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli Esteri e dalle agenzie ed enti di tutela dei diritti umani.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Costituisce principio consolidato, più volte affermato da questa Corte, quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni volte a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate che non contengano una puntuale critica alla soluzione adottata dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia e si risolvano in una mera contrapposizione alla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.3. Nel caso di specie, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, senza censurare specificamente la valutazione negativa della credibilità intrinseca, da cui deriva l’insussistenza del danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

1.4. Quanto poi alle situazione del paese di provenienza, il Tribunale ha accertato che non vi era una situazione di violenza indiscriminata, sulla base del rapporto di Amnesty International, nè il ricorrente ha allegato altre fonti diverse, più attendibili o più recenti, limitandosi ad una generica censura della decisione. Il motivo di ricorso si limita ad una generica doglianza riguardo all’omessa consultazione delle informazioni elaborate dalla Commissione Nazionale per il diritto d’Asilo sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli Esteri e dalle agenzie ed enti di tutela dei diritti umani, ma non illustra il contenuto delle medesime dalle quali risulterebbe che in (OMISSIS) sia in atto un conflitto interno o internazionale, “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE del 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07 e del 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12.

1.5. Con le citate pronunce, la Corte di Giustizia ha affermato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

1.6. L’accertamento circa la sussistenza, in concreto, di siffatto tipo di conflitto implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

1.7. Nella specie, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, manca il richiamo al contenuto di altre fonti, che, per il principio di specificità del ricorso, non può ridursi ad una mera elencazione, peraltro priva delle ragioni per le quali le indicazioni contenute nel sito Amnesty International non fossero attendibili.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perchè il Tribunale non avrebbe valutato i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie con particolare riferimento alle condizioni di vulnerabilità del ricorrente e non avrebbe svolto il giudizio comparativa, alla luce dei principi affermati da Cass. 4455/2019.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

2.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

2.4. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle sezioni semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

2.5. La corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha puntualmente valutato entrambe le condizioni menzionate, ritenendo che il lavoro occasionale non integrasse un effettivo radicamento sul territorio. Inoltre, non ha ravvisato nelle condizioni del ricorrente una situazione integrante la condizione dei “seri motivi” di carattere umanitario, derivante dalla compromissione dei diritti umani fondamentali, il cui accertamento è presupposto indefettibile per il riconoscimento della misura citata (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

2.3. Il ricorso si risolve nella generica indicazione delle disposizioni della normativa che si assume violata, senza un compiuta illustrazione di motivate ragioni dell’ipotizzato contrasto e, quindi, in una mera ed apodittica affermazione delle tesi del ricorrente.

3. Il ricorso va pertanto rigettato.

3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

3.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. IL 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

 

 

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