Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1688 del 24/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1688 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO

ORDINANZA
sal ricorso 2548-2011 proposto da:
AUTOURS DI LATORRE GIUSEPPE & C. SNC, GIANNELLI MARIA,
LATORRE GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA
VIA GIUSEPPE AVEZZANA 6, presso lo studio
dell’avvocato ALBERTO SCALIA, rappresontatleael
dall’avvocato COSIMO DI CAMPI;
– ricorrenti contro
2017
890

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/01/2018

avverso la sentenza n. 133/2009 della COMM.TRIB.REG.
fUty44
dd(B?tftI, depositata il 01/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 17/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Rilevato che a seguito di verifica effettuata nell’ambito del piano
straordinario di accertamento a contrasto dell’economia sommersa ex
art. 1, comma 7, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, avente per
oggetto gli anni dal 1997 al 2002, la Guardia di Finanza di Bari
redigeva nei confronti della Autotours di Latorre Giuseppe & C. s.n.c.
di talune posizioni lavorative con correlati compensi in nero;
che, conseguentemente, l’Agenzia delle entrate emetteva gli avvisi di
accertamento con i quali, in proporzione al costo del personale
irregolare, si accertavano maggiori ricavi e si rideterminavano
l’imponibile ai fini Iva e il reddito ai fini Irpef e Irap;
che i ricorsi proposti dalla società e dai due soci Giuseppe Latorre e
Maria Giannelli avverso gli atti impositivi venivano respinti dalla C.T.P.
di Bari, con sentenza confermata in appello dalla C.T.R. della Puglia
(n. 133/9/2009);
che il giudice di appello riteneva che la verifica operata dalla Guardia
di Finanza rientrasse, contrariamente a quanto sostenuto dai
ricorrenti, nelle competenze alla stessa attribuite dalla legge 7 gennaio
1929, n. 4; con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 1 della
legge n. 383 del 2001, la C.T.R. rilevava che la relativa dichiarazione
di emersione del lavoro sommerso doveva essere effettuata dal
contribuente prima dell’accesso; osservava, inoltre, la C.T.R. che
sussistevano circostanziati elementi da cui si evinceva che la società
aveva commesso gravi e ripetute irregolarità nella tenuta della
contabilità, non avendo contabilizzato i compensi corrisposti in nero a
numerosi lavoratori dipendenti, omettendo di versare le ritenute alla
fonte Irpef; la C.T.R. riteneva, infine, corretta la metodologia adottata
dall’Ufficio nella determinazione dei maggiori ricavi imputati alla
società in proporzione al costo del personale non contabilizzato;
che avverso la suddetta sentenza la società e i soci propongono ricorso
per cassazione, sulla base di due motivi;
che l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
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processo verbale di constatazione, con il quale si rilevava l’irregolarità

considerato che con i due motivi di ricorso – le cui rubriche sono
trascritte in sequenza, seguite poi dalle censure addotte nei confronti
della sentenza impugnata – i ricorrenti deducono omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.
5), cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1
della legge n. 383 del 2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n.
per avere erroneamente escluso che la dichiarazione di emersione
prevista dall’art. 1 della legge n. 383/2001 potesse essere effettuata
anche in corso di attività ispettiva;
che il ricorso, così come formulato, appare inammissibile, posto che
l’impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute
unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate,
e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile,
richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte volto ad
enucleare, dall’insieme delle censure e per ciascuna delle doglianze
sollevate, lo specifico vizio di violazione di legge o il vizio di
motivazione (Cass. n. 21611 del 2013; Cass. n. 18021 del 2016);
che, in ogni caso, il ricorso è infondato;
che, invero, posto che la C.T.R., con accertamento in fatto sorretto da
congrua motivazione, non adeguatamente censurato dai ricorrenti, ha
determinato il maggior reddito in relazione al costo del personale non
contabilizzato, la decisione impugnata risulta conforme
all’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui «la
dichiarazione di emersione di lavoro irregolare, di cui all’art. 1, comma
1, I. n. 383 del 2001, è idonea a produrre gli effetti di cui al comma 3
della stessa norma solo se presentata prima sia di eventuali accessi,
ispezioni e verifiche, sia della notifica dell’avviso di accertamento, in
quanto, ai fini del godimento dei benefici ivi previsti, rileva
esclusivamente la spontaneità dell’iniziativa, sicché ne va esclusa
l’efficacia in caso di accertamenti in atto, di cui l’imprenditore abbia
avuto conoscenza, anche se non ancora conclusi o notificati» (Cass.
n. 22412 del 2015);
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3), cod. proc. civ. Censurano, in particolare, la sentenza impugnata

che, in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore
dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che
Così deciso in Roma il 17/05/2017.
Il Pre ‘dente

liquida in C 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

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