Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1688 del 23/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/01/2017, (ud. 14/12/2016, dep.23/01/2017),  n. 1688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26303-2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI PESCARA, (CF. (OMISSIS)), in persona del

suo direttore generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MONTEFUSCO 4, presso lo studio dell’avvocato DARIO CALVO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BIAGIO GIANCOLA giusta procura

speciale a margine del ricorso e giusta Delib. 24 maggio 2012, n.

176 prodotta in atti;

– ricorrente –

contro

L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 77,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA BARNESCHI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GUGLIELMO MARCHIONNO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 203/2015 della CORTI D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa e depositata il 12/3/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato STEFANIA PAZZAGLIA (delega Avvocato BIAGIO

GIANCOLA), per la ricorrente, che chiede l’estinzione del ricorso e

deposita atto di rinuncia al ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 203/2015, depositata in data 12 marzo 2015, la Corte di appello di L’Aquila, pronunciando sull’impugnazione proposta da Marianna Macchia nei confronti della Azienda U.S.L. di Pescara, in riforma della decisione del Tribunale di Pescara, accertata la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, da quello iniziale relativo al periodo 22/9/2004-20/3/2005, più volte prorogato e rinnovato fino al 20/9/2007, condannava la ASL al risarcimento del danno in favore dell’appellante nella misura di 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori. Riteneva la Corte territoriale che tanto il primo contratto) quanto i successivi rinnovi e proroghe presentassero profili di illegittimità (sia sotto l’aspetto formale sia sotto quello sostanziale) mancando ogni specificazione e prova della temporaneità delle esigenze organizzative aziendali che avevano giustificato l’assunzione a termine e rilevava che gli stessi erano stati utilizzati per sopperire ad ordinarie esigenze necessità del datore di lavoro, correnti, nel tempo immutate. Esclusa, poi, la possibilità di conversione del rapporto, quantificava il risarcimento del danno in applicazione del meccanismo riparatorio di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 secondo il quale il danno non può che essere inquadrato quale pregiudizio derivante dalla perdita di un posto di lavoro assistito da tutela reale e così a termini della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, (cinque mensilità valore minimo – comma 4 più quindici mensilità quale misura sostitutiva della reintegra – comma 5 -).

Avverso tale sentenza l’Azienda U.S.L. di Pescara ricorre per cassazione con due motivi.

L.M. resiste con controricorso.

Con il primo motivo l’Azienda ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4 nonchè dell’art. 12 preleggi in relazione al riconoscimento del risarcimento del danno, peraltro in misura eccedente rispetto ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, che in sè costituisce la conseguenza diretta ed immediata di una conversione del rapporto, pur in mancanza del presupposto della conversione. Rileva, poi, che la condotta contrattuale soddisfatto tutte le condizioni imposte dalla legge atteso che le ragioni poste a sostegno dell’apposizione del termine rispondevano ad esigenze di temporaneità oggettive e verificabili cui la P.A. aveva conferito adeguata evidenza anche in forma scritta.

Con il secondo motivo l’Azienda ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, e della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 12 preleggi in relazione al riconoscimento di un risarcimento del danno in assenza di ogni prova e comunque misura eccessiva rispetto al parametro di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Il ricorso è inammissibile per tardività.

Il giudizio di primo grado è iniziato nel 2011, come si desume dal n. di ruolo generale (2900/2011), e quindi dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009. In mancanza di notificazione, il termine di decadenza dall’impugnazione è quindi quello di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c. nel testo entrato in vigore appunto il 4 luglio 2009.

Si aggiunga che, trattandosi di controversia in materia di lavoro, non opera la sospensione feriale dei termini prevista dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1. Si è, infatti, statuito (Cass. 8 aprile 2002, n. 5015) che “secondo quanto disposto dalla L. n. 742 del 1969 le controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria non sono soggette alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, anche in relazione all’appello e al ricorso per cassazione” (in senso conf. v. Cass. 26 ottobre 2004, n. 20732 la quale “la sospensione feriale dei termini processuali non si applica alle controversie di lavoro e previdenza, neanche nel giudizio di cassazione”, nonchè Cass. 30 maggio 2003, n. 8772).

Ne consegue che, giacchè la sentenza di merito è stata depositata in data 12 marzo 2015 e il ricorso per cassazione consegnato per la notifica solo in data 13 ottobre 2015, dopo la scadenza del termine semestrale, il ricorso medesimo deve ritenersi inammissibile in quanto tardivo.

In conclusione si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Dopo la comunicazione della relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., parte ricorrente ha depositato atto di rinuncia al ricorso per cassazione che è stato notificato alla controparte.

Va, al riguardo, ricordato che il termine utile per rinunciare al ricorso va individuato nel momento in cui è precluso alle parti l’esercizio di un’ulteriore attività processuale e non in quello, antecedente, della notifica agli avvocati della relazione depositata dal consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19514 e successive conformi).

3 – La rinuncia non è stata accettata, ma tale circostanza, non applicandosi l’art. 306 c.p.c. al giudizio di cassazione, non rileva ai fini dell’estinzione del processo.

La rinunzia al ricorso per cassazione infatti non ha carattere cosiddetto accettizio, che richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali (Cass. 23 dicembre 2005, n. 28675; Cass. 15 ottobre 2009, n. 21894; Cass. 5 maggio 2011, n. 9857; Cass. 26 febbraio 2015, n. 3971) ma pur sempre carattere recettizio, esigendo l’art. 390 c.p.c. che essa sia notificata alle parti costituite o comunicata ai loro avvocati che vi appongono il visto (cfr. Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2259). Ciò deriva anche dall’art. 391, comma 4 secondo cui in caso di rinuncia, non è pronunciata condanna alle spese se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente, o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale. L’accettazione della controparte rileva dunque unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo l’art. 391 c.p.c., comma 2 che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.

4 – Va pertanto dichiarata l’estinzione del processo.

5 – La parte rinunziante, in considerazione della sua soccombenza virtuale per le ragioni indicate nella relazione e che il Collegio condivide va condannata alle spese processuali in favore della parte costituita.

6 – Infine, il tenore della pronunzia, che è di estinzione e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità, esclude l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, prevedente l’obbligo, per il ricorrente non vittorioso, di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione, trattandosi di norma lato sensu sanzionatoria e comunque eccezionale ed in quanto tale di stretta interpretazione (cfr. Cass. 30 settembre 2015, n. 19560).

PQM

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio; condanna l’Azienda ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2017

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