Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16878 del 11/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/08/2020, (ud. 14/02/2019, dep. 11/08/2020), n.16878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

T.D., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa a margine del ricorso, dagli Avv.ti Marco Miccinesi e

Francesco Pistolesi del Foro di Firenze, che hanno indicato recapito

PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Paolo

Puri, alla via XXIV Maggio n. 43 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 2.508, pronunciata dalla Commissione

Tributaria Regionale del Lazio, il 17.03.2014, e pubblicata il

giorno 15.04.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier

Paolo Di Marzio.

La Corte osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’odierno ricorrente, T.D., è stato dipendente della Carapelli Spa fino al 12 aprile 2006, rivestendo la qualifica di dirigente. A seguito di intervenuta comunicazione della risoluzione unilaterale del rapporto, notificata dalla società il 6.4.2006, le parti raggiungevano l’intesa che al T. sarebbero state comunque corrisposte somme ulteriori, rispetto a quelle dovute per legge, nella misura di Euro 243.236,00. Su queste somme, in qualità di sostituto d’imposta, la società operava la ritenuta fiscale nella misura integrale, pari ad Euro 143.470,22.

L’odierno ricorrente, tuttavia, ritenendo che le ulteriori somme gli fossero state corrisposte quali incentivi all’esodo, invocava il disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 (T.U.I.R.), art. 19, comma 4bis (già art. 17), e proponeva istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate, sostenendo che la tassazione avrebbe dovuto essere ridotta del 50%. Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, T.D. adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che riteneva fondate le sue ragioni, e pertanto illegittimo il rifiuto dell’Agenzia di corrispondere il domandato rimborso.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione di primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Roma, la quale accoglieva il ricorso ritenendo che il contribuente non avesse dato prova della sussistenza dei presupposti di fatto perchè la sua istanza potesse essere accolta, in quanto la somma in questione gli era stata corrisposta dopo che la società Carapelli aveva notificato al T. il licenziamento. La stessa pertanto, doveva qualificarsi “come la liquidazione di un indennizzo in via di transazione, finalizzato ad evitare una futura controversia per licenziamento”, e non quale incentivo all’esodo.

Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Roma ha proposto ricorso per cassazione T.A., affidandosi a due motivi di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione tardivo, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Mediante il suo primo motivo di ricorso, il contribuente censura la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere incorsa nella violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 19, comma 4 bis, – nel testo applicabile ratione temporis, prima della sua abrogazione ad opera del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23 – in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 17 (già 16), comma 1, lett. a), ed anche in relazione all’art. 115 c.p.c., avendo la Ctr ritenuto di negare il rimborso del tributo al ricorrente perchè le somme, ulteriori rispetto a quanto di sua spettanza, non sarebbero state corrisposte dalla società a titolo di incentivo all’esodo.

1.2. – Con il secondo motivo di ricorso T.D. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la nullità della sentenza impugnata per la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Commissione Tributaria Regionale impugnata implicitamente ritenuto che le somme, ulteriori a quanto dovuto, corrispostegli dal datore di lavoro a seguito della cessazione del rapporto di impiego, avessero natura risarcitoria, avendole qualificate come un “indennizzo in via di transazione”.

2.1. – Il contribuente, con il suo primo motivo di ricorso, contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale per aver ritenuto che le somme, ulteriori rispetto al dovuto, a lui accordate dalla società in conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro, non avessero la natura di incentivi all’esodo.

La censura appare mal proposta, e risulta, per il resto, infondata.

Occorre premettere che, in virtù della normativa transitoria adottata dal legislatore, non è in discussione che, tenuto conto della data di cessazione del rapporto di lavoro (12.4.2006), e di erogazione del versamento pattuito tra le parti per cui è causa (4.7.2006), le somme per cui è causa potrebbero astrattamente rientrare in quelle per le quali avrebbe potuto trovare applicazione l’agevolazione tributaria domandata, in virtù della prevista disciplina transitoria, con riduzione dell’imposizione al 50%, sebbene la norma agevolativa sia stata abrogata, con riferimento ad epoca successiva, dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 23, come conv. Tuttavia, la CTR ha ritenuto che il contribuente non avesse diritto a fruire del regime fiscale di favore, perchè le somme gli erano state corrisposte non quali incentivi all’esodo, ammessi a godere dell’agevolazione, bensì quale indennizzo, corrisposto “in via di transazione, finalizzato ad evitare una futura controversia per licenziamento”. La questione che si pone, pertanto, attiene all’interpretazione del patto stipulato tra le parti, ed avrebbe dovuto essere contestata nella forma della violazione delle regole legali di interpretazione del contratto.

Tanto premesso, la CTR ha ricordato che il 6.4.2006 la Carapelli Spa ha comunicato all’odierno ricorrente T.D. la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, pertanto il licenziamento, “a ciò ha fatto seguito un verbale di conciliazione, redatto in data 20 aprile 2006, alla presenza delle rispettive associazioni di categoria. In tale occasione le parti sono addivenute ad una transazione, con la quale la società si è impegnata a corrispondere al dirigente una somma di denaro di Euro 243.236,00. Per contro il dirigente ha rinunziato ad ‘ogni e qualsiasi domanda o pretesa comunque connessa, vicaria o anche solo occasionata dall’esecuzione e cessazione del rapporto…'”. Pertanto, in realtà è intervenuto un licenziamento, non una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, e le parti, al fine di prevenire ogni futura lite o contestazione, hanno stipulato un accordo transattivo, che non assume la natura di incentivo all’esodo, sebbene così qualificato dalle parti. La Ctr non ha poi mancato di ricordare che le disposizioni fiscali le quali prevedono esenzioni o agevolazioni, derogando al generale principio della misura dell’imposizione, che è ancorata alla capacità contributiva, “sono di stretta interpretazione e richiedono, per la loro applicazione, che i relativi presupposti siano oggettivamente e inequivocabilmente verificabili”. I riassunti principi, applicati dalla Ctr, non si discostano da quelli ripetutamente indicati dalla Suprema Corte, la quale ha pure osservato che “in tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore finalizzata all’esodo incentivato di quest’ultimo, l’interpretazione delle relative disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, gravando sul ricorrente l’onere di indicare i canoni di ermeneutica violati e le ragioni dell’asserita incongruità e incompletezza della motivazione”, Cass. n. 22068 del 2007.

Nel caso di specie, dopo aver ricostruito, in maniera incontestata, le vicende della conclusione del rapporto di lavoro, conseguente al licenziamento dell’odierno ricorrente, e del successivo accordo conciliativo, che prevedeva la corresponsione al lavoratore di somme ulteriori rispetto al dovuto, per prevenire future liti o contestazioni, la CTR ha ritenuto di qualificare l’attribuzione patrimoniale quale onere posto a carico del datore di lavoro in conseguenza di un accordo transattivo finalizzato ad evitare future liti e contestazioni, e non quale incentivo ad una risoluzione del rapporto di lavoro già intervenuta, per volontà unilaterale del datore di lavoro e pertanto senza il concorso della volontà del lavoratore. La decisione della CTR risulta pertanto sufficientemente argomentata ed intrinsecamente coerente, e pertanto non merita censure in sede di giudizio di legittimità.

Il motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.

2.2. – Mediante il suo secondo motivo di impugnazione il ricorrente censura, in relazione ai profili della nullità della sentenza e del vizio di motivazione, la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale impugnata, per aver implicitamente ritenuto che le somme per cui è causa avessero natura risarcitoria e non costituissero invece un incentivo all’esodo. Il ricorrente afferma, anzitutto, che una simile qualificazione della natura delle somme si porrebbe in contrasto con il principio di non contestazione, perchè l’Agenzia delle Entrate non ha mai contestato la natura di “corrispettivo alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro della somma corrisposta” (ric., p. XXI), e comunque la Ctr non avrebbe affatto motivato circa il fondamento della propria (implicita) affermazione.

La censura appare mal proposta, per una pluralità di ragioni. Il ricorrente invoca l’applicazione del principio di non contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, in relazione alla qualificazione della somma in questione quale “corrispettivo” da lui proposta. L’esponente non ha però cura di riportare in quale atto processuale e con quale formula, sia pure in sintesi, abbia proposto la propria qualificazione della natura della somma, in modo da consentire al giudice di legittimità di esercitare il controllo che gli compete in materia di tempestività di proposizione delle questioni nel corso del processo e di congruità delle formule utilizzate, ancor prima di doverne stimare la decisività.

Tanto premesso, la qualificazione giuridica degli istituti coinvolti nel processo compete al giudice di merito, indipendentemente da quella proposta dalle parti, e non è censurabile nel giudizio di cassazione quando sia stata effettuata mediante congrua motivazione. Nel caso di specie, peraltro, la Ctr non ha reputato che la somma corrisposta al ricorrente dal datore di lavoro dovesse qualificarsi come un “corrispettivo della risoluzione anticipata del rapporto di lavoro”, ritenendo, piuttosto, con motivazione espressa ed adeguata, che si risolvesse in un onere posto a carico del datore di lavoro in dipendenza dell’accordo transattivo intercorso tra le parti, a seguito della già intervenuta cessazione del rapporto di lavoro, al fine di prevenire liti o contestazioni successive. Il contribuente non coglie, pertanto, la ratio decidendi adottata dalla Ctr, e contesta ipotetiche ricostruzioni del suo argomentare.

Il motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

Non avendo l’intimata Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva, nulla occorre provvedere in materia di spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

 

 

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