Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16875 del 15/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/06/2021, (ud. 15/01/2021, dep. 15/06/2021), n.16875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7971/2018 promosso da:

San Marco s.p.a., (affidataria del servizio di accertamento e

riscossione dell’imposta comunale di pubblicità e dei diritti sulle

pubbliche affissioni del Comune di (OMISSIS)) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Luigi Ceci 21, presso lo studio dell’avv. Paolo Borioni, che la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Dadem s.p.a., (già Dadem Automatica s.r.l.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Lavinio 15, presso lo studio dell’avv. Giovanni Bizzarri, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Francesco Pollini, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3489/2017 della CTR della Lombardia,

depositata il 01/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2021 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 3489/2017, depositata il 01/09/2017, la CTR della Lombardia ha confermato l’accoglimento del ricorso proposto dalla Dadem Automatica s.r.l. contro l’avviso di accertamento relativo all’imposta sulla pubblicità e le affissioni pubbliche, riferita all’anno 2013, riguardante alcune iscrizioni e cartelli apposti su apparecchi automatici di scatto e stampa foto situati nel territorio del Comune di (OMISSIS).

In particolare, l’adita Commissione ha ritenuto che la cabina fotografica costituisse una sorta di succursale dell’impresa e comunque un luogo in cui si svolge l’attività della stessa, sicchè, in assenza della prova del superamento della òmetratura richiesta, ha considerato operante l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis.

Avverso la decisione della CTR, la San Marco s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di impugnazione.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa delle proprie difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 13 del 2002, art. 2 bis, conv. con modif. in L. n. 75 del 2002, nonchè del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente equiparato l’apparecchio automatico alla sede dell’impresa, trattandosi invece un semplice bene strumentale dell’azienda, aggiungendo che le iscrizioni e i cartelli ivi apposti non contenevano neppure l’indicazione della denominazione della società e quindi non potevano neppure essere considerati insegne, svolgendo solo la funzione di pubblicizzare il prodotti e i servizi offerti.

Con il secondo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente ritenuto che le iscrizioni e i cartelli in questione fossero riconducibili alla nozione di insegna d’esercizio, trattandosi invece di mezzi pubblicitari che pubblicizzavano i servizi e i prodotti offerti.

Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente ritenuto operante l’esenzione ivi prevista, applicabile invece solo alle insegne che contraddistinguono la sede (legale o affettiva) in cui si svolge l’attività, essendo invece le apparecchiature in questione dei semplici beni strumentali, non qualificabili neppure come beni pertinenziali della sede stessa.

2. La controricorrente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente indicato le parti della sentenza impugnata, limitandosi a riproporre l’integrale suo contenuto, lasciando al giudice l’onere di individuare le parti censurate.

La censura è infondata, tenuto conto che dalla stessa lettura del ricorso si evincono chiaramente le parti della decisione impugnate, le ragioni dell’impugnazione e gli argomenti a sostegno di queste ultime.

3. Per ragioni di ordine logico, occorre preliminarmente esaminare il secondo motivi di impugnazione, che si rivela fondato.

3.1. Com’è noto, i presupposti applicativi dell’imposta sulla pubblicità sono disciplinati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, a mente del quale “la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto. Ai fini dell’imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato”.

Il medesimo D.Lgs., art. 17, stabilisce i casi di esenzione dall’imposta, prevedendo al comma 1 bis, (introdotto dalla L. n. 448 del 2001, art. 10), che “l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati”.

Per completezza, si deve considerare che anche il canone per l’installazione di mezzi pubblicitari – che i comuni hanno potuto istituire, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62, comma 1, in sostituzione dell’imposta di pubblicità – prevede un’analoga esenzione, in virtù del D.L. n. 13 del 2002, art. 2 bis, comma 1, conv. con modif. in L. n. 75 del 2002. Di quest’ultimo art., il successivo comma 6, precisa che “si definisce insegna di esercizio la scritta di cui al Reg. di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 47, comma 1, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica. In caso di pluralità di insegne l’esenzione è riconosciuta nei limiti di superficie di cui al comma 1”. E il richiamato D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, comma 1, (regolamento di esecuzione del codice della strada), ai fini della disciplina ivi contenuta, descrive l’insegna come “la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da un simbolo o da un marchio, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta”.

3.2. Tornando al motivo di impugnazione, si deve rilevare che la materia del contendere si incentra sul significato da attribuire alla nozione di insegna di esercizio.

Non è contestato tra le parti che le scritte e i cartelli, che hanno determinato l’applicazione del tributo, riguardino le diciture “fototessera”, “foto per documenti”, apposti su cabine automatiche di scatto e stampa di foto, situati all’interno di un centro commerciale.

Ciò basta per evidenziare che non si tratta di indicazioni che hanno le caratteristiche proprie dell’insegna.

Si deve, infatti, tenere presente che, in generale, l’insegna è il segno distintivo dell’azienda, perchè contraddistingue i locali dell’impresa (ad esempio, lo stabilimento produttivo, un negozio di vendita), svolgendo la funzione di richiamare ivi la clientela, distinguendo i locali in cui è esercitata l’impresa a cui si riferisce da quelli delle imprese concorrenti.

A prescindere dalla verifica dell’esistenza di una nozione ancora più ristretta adottata dal D.Lgs. cit., art. 17, comma 1 bis, appare subito evidente che le scritte e i cartelli sopra riportati non possono essere ricondotti a tale segno distintivo, che, a differenza di queste ultime, non identifica nè il prodotto, nè l’attività svolta dall’imprenditore, ma un bene aziendale presso il quale, o mediante il quale, il prodotto viene realizzato e posto in commercio (v. in tal senso Sez. 1, n. 8034 del 13/06/2000, Rv. 537549-01).

L’indicazione dei servizi offerti mediante le scritte e i cartelli apposti sulle apparecchiature automatiche in questione hanno l’inequivoca funzione di rendere noti al pubblico l’attività e, soprattutto, i servizi e i prodotti che tali apparecchiature sono in grado di offrire, svolgendo in questo modo una indiscutibile attività pubblicitaria, proprio nel senso indicato dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5.

Posti all’interno di un luogo aperto al pubblico, quale è un centro commerciale, tali scritte e cartelli sono finalizzati ad attirare l’attenzione della potenziale clientela che vi accede sui servizi e sui prodotti offerti, rivestendo il carattere di invito o stimolo verso il pubblico alla fruizione del servizio offerto o all’acquisto dei prodotti disponibili.

3.3. Il secondo motivo di impugnazione deve pertanto essere accolto, in applicazione del seguente principio:

“in tema di segni distintivi, l’insegna d’esercizio contraddistingue i locali dell’imprenditore (quali lo stabilimento produttivo o il negozio adibito alla vendita), in cui si svolge l’attività di produzione o di scambio di beni e servizi, non potendo ad essa essere ricondotti le scritte e i cartelli apposti sulle cabine automatiche per fototessera che, invece, rendono noti al pubblico i prodotti o i servizi ivi offerti”.

4. L’accoglimento di tale motivo determina l’assorbimento (proprio) degli altri.

5. E’ possibile decidere nel merito la vertenza, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con il rigetto dell’originario ricorso della, contribuente (art. 384 c.p.c., comma 2).

6. Le spese dei gradi di merito devono essere interamente compensate, tenuto conto dell’assenza di precedenti specifici di legittimità prima della presentazione del ricorso.

Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza.

PQM

La Corte:

Accoglie il secondo motivo di ricorso e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente;

compensa tra le parti le spese di lite dei gradi di merito;

condanna la controricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla ricorrente nel presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 400,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, mediante collegamento “da remoto”, il 15 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2021

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